martedì 29 giugno 2010

Questa volta non vola una mosca. C’è solo una gran puzza di doppiopesismo

4044565266_b46bee0291_z Ve lo ricordate il PD casolano che in Marzo scriveva:  Montecchio Maggiore: pranzo a pane e acqua per nove bambini. Vergogna!  Naturalmente la scure si abbatteva implacabile sul povero sindaco leghista.
Ma sentite un po’ cosa succede a Scandiano, provincia di Reggio Emilia, la culla delle Cooperative, del partito comunista prima, del partito di Bersani ora. E paese natale di Romano Prodi, passato alla storia d’Italia come primo capo di un governo con neo e post comunisti. Insomma, una terra che più rossa non si può.

Niente bus, niente mensa, niente scuola per i bambini se mamma e papà non pagano la retta al Comune pur potendoselo permettere. Il cartellino rosso per i genitori morosi e “finti poveri” è stato annunciato dalla giunta monocolore Pd.
La giunta scandianese del sindaco Alessio Mammi ha stabilito che dal primo settembre i genitori non in regola con i pagamenti vedranno i loro figli esclusi dai servizi comunali. L’assessore alle politiche sociali, Alberto Pighini, ha detto:  “Ci siamo accorti che un numero crescente di famiglie non pagava le rette per asili, mense e trasporti. E non parlo di gente in difficoltà, ma di nuclei familiari perfettamente in grado di sostenere tali spese». In tempi di cinghia da stringere e di sprechi da tagliare, i comuni recuperano dove possono. Senza contare il principio che i cittadini hanno il dovere di pagare le tasse”.

Un principio di buon senso, che dovrebbe essere bipartisan per definizione. Che invece, se applicato da alcune giunte leghiste fa gridare alla discriminazione, al razzismo e quant’altro. Come ad Adro, provincia di Brescia. Lo scorso aprile nel paesino della Franciacorta il sindaco del Carroccio Oscar Lancini annunciò lo stop alla mensa scolastica per i bambini con genitori morosi. Apriti cielo! Interpellanze parlamentari, polemiche politiche, una puntata di Annozero di Michele Santoro che mostrò divisioni e uno strisciante razzismo per le strade del paesino, mettendo sotto accusa il sindaco Lancini.
Montecchio è guidata dalla Lega, come Adro. Adesso alla lista si aggiunge la rossa Scandiano. Allora scandali, interpellanze parlamentari e puntate di Annozero?  Niente, stavolta non vola una mosca.

Ma torniamo all’assessore alle politiche sociali di Scandiano, Alberto Righini, che ha detto: «Il mancato pagamento di quanto dovuto, se non motivato da condizioni oggettive e verificabili, non è corretto nei confronti di tutti quei cittadini che pagano regolarmente e con puntualità. Si tratta di una questione di senso civico: i servizi per la comunità hanno un costo e chi ne usufruisce è giustamente chiamato a contribuire a una spesa che altrimenti ricade su tutti i cittadini».

Delle due l’una. O pagare le rette scolastiche secondo le proprie possibilità economiche è una questione di equità e quindi è giusto che i morosi vengano indotti a pagare, oppure la questione riguarda il colore politico del comune che sceglie la linea dura nei confronti dei morosi.  Inaccettabile doppiopesismo, soprattutto in un momento di casse vuote che impone di dare la caccia ai finti poveri di ogni razza, religione o nazionalità.

lunedì 28 giugno 2010

Parte il federalismo: così si finanzieranno Comuni, Province, Regioni. Una riforma che trasformerà l’Italia … forse

sisifo Fra pochi giorni arriverà in parlamento la relazione governativa sui tanto invocati numeri del federalismo fiscale, con lo stato attuale dei conti locali e i risparmi possibili con il nuovo sistema. Per scriverla, i tecnici hanno passato al setaccio i bilanci territoriali e hanno trovato di tutto: alla voce trasferimenti degli enti locali, per esempio, capita anche che le regioni scrivano somme superiori a quelle che i bilanci di comuni e province registrano in entrata.

La relazione aprirà i lavori dell'attuazione nel cuore vero della riforma federalista: un lavoro in cinque tappe, tante quanti sono i decreti attuativi che secondo il calendario governativo dovrebbero approdare in consiglio dei ministri entro il mese di luglio.

Si tratta di un gigantesco lavoro di messa in ordine dei bilanci, per capire chi è davvero virtuoso e chi non lo è, calcolare il prezzo giusto delle attività locali, di cui va garantito il finanziamento, e arrivare per questa via alla riduzione strutturale della spesa pubblica. A gettare le fondamenta saranno i due decreti più pesanti di tutto il pacchetto, cioè quello sugli standard delle regioni e quello sugli enti locali.

I decreti, non fisseranno costi e fabbisogni standard, ma indicheranno la via per raggiungerli. Per individuare i costi standard di sanità, assistenza e istruzione si chiederà alle regioni di certificare i propri bilanci, unificando i sistemi contabili in un'architettura comune e confrontabile. Una volta definito il prezzo giusto di ogni attività, si fisserà il livello di finanziamento garantito da tributi propri, compartecipazione e perequazione per le regioni meno ricche. Ancora da assumere la decisione politica chiave: se il finanziamento massimo sarà ancorato alle performance della regione più efficiente, gli obiettivi di risparmio per le altre amministrazioni saranno più ambiziosi, mentre con una platea di riferimento più ampia anche i costi standard si riveleranno più morbidi per tutti.

L'obiettivo, comunque, è cambiare drasticamente rotta rispetto al modello attuale.

Nel caso di comuni e province, oggetto del decreto sui fabbisogni standard, il problema non è la varietà dei sistemi contabili ma la veridicità dei dati e l'eterogeneità di un comparto che comprende metropoli e borghi di montagna. Nasce da qui l'idea degli «studi di settore» per gli enti locali, che dovrebbero permettere di vagliare i costi per le funzioni fondamentali alla luce delle 25mila variabili socio-economiche che la Sose ha elaborato per i controlli fiscali. Il sistema, dovrebbe essere in grado di distinguere le spese extra di qualità (ad esempio le aperture al sabato, o la disponibilità di posti negli asili nido) da quelle legate agli sprechi, per evitare di penalizzare i migliori con parametri unici, calati dall'alto, che finiscono per favorire le gestioni meno efficienti. Imposta unica immobiliare (per i comuni) e fisco sull'automobile (per le province) offriranno le basi per il fisco autonomo degli enti locali, mentre per il «superamento» dell'Irap promesso dalla legge delega sul federalismo i tempi si annunciano più lunghi.

I PASSI VERSO L'AUTONOMIA
Tutte le tappe che porteranno al nuovo assetto federale attraverso l'individuazione di fabbisogni (per comuni e province) e costi (per le regioni) standard per poi arrivare alla definizione di rispettivi tributi e compartecipazioni.

FABBISOGNI STANDARD
Il parametro si applica a comuni e province
Si individua il costo massimo finanziato da compartecipazione e perequazione per le funzioni fondamentali

Procedura per l'elaborazione:
a) questionario concordato con Anci e Upi sul costo attuale di ogni funzione
b) ricezione dei questionari ed elaborazione mediante i filtri Sose che tengono conto di modalità di erogazione del servizio (orari di apertura al sabato, maggiore capacità di ricezione della domanda), eventuali esternalizzazioni, scostamenti dei dati che necessitano di correzioni
c) Elaborazione dei fabbisogni di ogni comune per ciascuna delle funzioni, tenendo conto di fascia demografica, caratteristiche del territorio (ad esempio comuni montani)
d) Applicazione progressiva per funzioni

COSTI STANDARD
Il parametro si applica alle regioni
Si individua il costo massimo finanziabile per sanità, assistenza e istruzione

Procedura per l'elaborazione:
a) «inventario delle consistenze» (consuntivo dei costi sostenuti da ogni regione per le funzioni; analisi dei costi per garantire i livelli essenziali di assistenza);
b) verifica dell'inventario da parte dei ministeri dell'Economia e della Salute;
c) elaborazione di linee guida per la nuova governance e nuovo sistema di controlli con regioni, agenzia del Farmaco e agenzia nazionale per i Servizi sanitari
d) elaborazione dei costi standard parametrati al benchmark di una o più regioni “virtuose”; e) applicazione progressiva per funzioni

FISCALITÀ PROPRIA DEI COMUNI
La finalità è individuare i tributi propri e le compartecipazioni che devono sostituire gli attuali trasferimenti statali
Oggetto:
a) Tributi propri “fissi”: definizione dell'imposta unica immobiliare, che dovrà riunire in un prelievo unico il gettito di Ici, Irpef e imposte di registro, ipotecarie e catastali
b) Tributi propri aggiuntivi: disciplina dell'imposta di scopo, da applicare per finanziare specifiche iniziative (ad esempio un'infrastruttura)
c) Compartecipazione: definizione delle quote di compartecipazione ai tributi erariali chiamate a completare il quadro delle entrate proprie: le ipotesi puntano soprattutto sull'Iva, con la finalità di «premiare» le amministrazioni che riescono a favorire meglio il commercio e il turismo.
d) Una quota di compartecipazione dovrebbe riguardare anche l'Irpef

FISCALITÀ PROPRIA DELLE PROVINCE
La finalità è individuare i tributi propri e le compartecipazioni che devono sostituire gli attuali trasferimenti statali
Oggetto:
a) Tributi propri: definizione dell'imposta provinciale, che dovrebbe fondarsi sulle principali voci attuali del fisco collegato alle auto e ai mezzi di trasporto (Ipt, bollo, accise)
b) Compartecipazione: definizione delle quote di compartecipazione ai tributi erariali chiamate a completare il quadro delle entrate proprie: le ipotesi puntano soprattutto sull'Iva. Una quota di compartecipazione dovrebbe riguardare anche l'Irpef

DOPPIO INTERVENTO PER ROMA CAPITALE
Il primo decreto (approvato in consiglio dei ministri il 18 giugno) riguarda l'ordinamento del comune che sarà strutturato nel modo seguente:
a) sindaco, che partecipa alle riunioni del consiglio dei ministri quando discuterà di funzioni conferite alla Capitale
b) giunta, con un massimo di 12 membri
c) consiglio, con un massimo di 48 membri
d) municipi, che saranno al massimo 12
In un secondo decreto saranno contenute le disposizioni relative al conferimento di funzioni a Roma Capitale e alla definizione dei poteri degli organi di governo (sindaco e giunta)

domenica 27 giugno 2010

Presidente Berlusconi, sciolga la corte…prima che il gallo canti

pict001 Presidente Berlusconi, sciolga la corte e riapra le iscrizioni alla classe dirigente del nostro Paese.
Non perda tempo, lo faccia subito. Abbia il coraggio di tornare indietro su alcune nomine infelici, come quella di Brancher, cancelli i ministeri fantomatici, riveda i vertici del suo partito, faccia sloggiare gli abusivi, dal governo o dalle case dei preti, riconosca alcuni errori anche suoi personali e abbracci l’opera necessaria di una bonifica integrale.
Si liberi dai collusi e dalle mezze calzette, o perlomeno li collochi al loro giusto rango, non ai vertici di ministeri, istituzioni e partiti. È quello l’unico modo, comunque il migliore, per disarmare i suoi nemici e i suoi falsi amici, per spiazzare le trame che si ordiscono nei palazzi e le alleanze che serpeggiano alle sue spalle. È quello il modo più efficace per fronteggiare le campagne e la caccia al berlusconiano che si è aperta nei tribunali. Non basta gridare al complotto, all’odio militante dei suoi nemici; come non basta, su altri versanti, deplorare la nascita delle correnti e la slealtà di alcuni ex amici. Bisogna fare un passo avanti, e lei che di coraggio ne ha sempre avuto, non può disarmare o barricarsi in un’autodifesa che rischia l’autocelebrazione.

Lei è entrato nella storia del nostro Paese, non può ridursi a difendere il cortile della casa. So che è in guerra e ogni richiamo di questo tipo viene inteso come fuoco amico o diserzione; ma, mi creda, non remo contro, lo dico solo per il bene del suo governo, suo personale e prima di tutto per il bene di questo paesaccio che nessuna Padania, Toninia o Slovacchia potrà farmi odiare.
Ha tre anni davanti a sé con un’ampia maggioranza e senza competizioni elettorali, ha ancora un seguito ed una fiducia personali molto alti anche se messi a dura prova dalle vicende del suo entourage. Non può giocarsi il consenso e l’agibilità. Se resta sulla difensiva, sotto assedio, alimenta i giochini alle sue spalle e fa un favore ai poteri opachi del nostro Paese che per comandare vogliono un premier ricattato, sotto schiaffo. In questi primi due anni ha fronteggiato bene la brutta crisi economica e finanziaria, ha cercato il più possibile di non gravare sugli italiani; il suo governo ha avviato qualche buona riforma, nell’economia con Tremonti, nella pubblica amministrazione con Brunetta, nel lavoro con Sacconi, agli interni con Maroni, colpendo come mai la criminalità organizzata, alla pubblica istruzione con la Gelmini; ha ottenuto qualche buon risultato negli esteri e nelle emergenze, anche se si è scoperchiato il pozzo nero della Protezione civile. Ma da Napoli all’Aquila non mi pare che le cose fatte siano andate così male.
Però manca un disegno generale, una riforma strutturale, più volte annunciata; e manca soprattutto la voglia e la forza di cambiare la squadra. So che in lei contano molto anche i legami personali e perfino affettivi, so che a volte ragiona con categorie umane lontane dalla politica, e a volte eccede in generosità come in cinismo. Ma non può tenersi troppi cadaveri in casa, deve saper dire di no anche a chi ha avuto trascorsi importanti con lei e con la sua attività politica e imprenditoriale. Deve cambiare marcia, per evitare poi di fare marcia indietro o peggio marcia funebre per il motore fuso.

Non credo che abbia bisogno di nuovi consiglieri, anche perché sono convinto che alla fine i consiglieri servono solo per farsi confermare nelle proprie decisioni; diventano ventriloqui dei suoi umori e si lasciano prendere da una strana sindrome mimetica, la sindrome di Zelig, si mettono a pensare con i suoi impulsi. Così non servono. Il problema dei problemi è rinnovare con urgenza la corte. Non solo quella bassa che provvede alle esigenze più servili, ma anche a quell’entourage che occupa o ha occupato ministeri e posti chiave. Abbia il coraggio d'incoraggiare l’uso delle dimissioni, come insegnano i casi Scajola o Innocenzi. Certo, c’è da distinguere tra fumosi attacchi e precise responsabilità, tra vere macchinazioni e reali misfatti; c’è da circoscrivere la zona oscura, se non infame, di alcune biografie e contestualizzarle, vedendo anche i lati positivi e le cose ben fatte; si tratta di paragonare quei percorsi complessivi a quelli dei rivali, e poi decidere. Si tratta di non lasciare l’iniziativa politica ai Bossi di dentro, ai Fini di mezzo e ai Di Pietro di fuori, e nemmeno di crogiolarsi con l'agonia indecente delle opposizioni. Ma si deve procedere contro il malaffare, tempestivamente, prima che il gallo canti.

Marcello Veneziani.

venerdì 25 giugno 2010

Li ha comprati la Slovacchia

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Non si possono più guardare le cose nuove con occhio vecchio. Anatomia di una sconfitta

ooss Troppo spesso la sinistra che invoca “il rispetto delle regole” è colta da amnesia sulla regola fondamentale della democrazia: vince chi conquista un voto in più. Così, nel caso del referendum di Pomigliano, è un fiorire di distinguo per dire che la vittoria dei “sì” non è una vittoria e la sconfitta dei “no” non è una sconfitta. E che i sindacati che hanno firmato l’accordo per produrre la Panda a Napoli hanno perso, mentre la Fiom che si è battuta contro ha vinto. Non è così, è esattamente il contrario e questo va detto, forte e chiaro.

La Fiom ha perso/1. Lo dicono in maniera inequivocabile i numeri: i lavoratori che hanno detto “sì” all’accordo sono il doppio di quelli che hanno detto “no”. E’ vero che Fiat auspicava un risultato più tondo, ma questo nulla toglie a un risultato elettorale con il quale la grande maggioranza (i due terzi) ha espresso il proprio consenso. E’ un “sì” e come tale va rispettato. Checché ne pensino la Fiom o la Bindi.

La Fiom ha perso/2. Lo dice il comunicato con il quale Torino, prendendo atto della impossibilità di trovare condivisione da parte “di chi sta ostacolando il piano per il rilancio di Pomigliano”, conferma di voler andare avanti con chi ci sta. Avevano detto che non aspettava che l’occasione per tirarsi indietro, gliel’hanno sciaguratamente costruita con il “no” all’accordo e in tutta risposta Marchionne conferma l’impegno di Fiat a Napoli. Sbugiardati.

La Fiom ha perso/3. Pur sconfitta, ma forte di un risultato migliore delle proprie aspettative, l’organizzazione dei metalmeccanici della Cgil chiede di sedersi nuovamente al tavolo con Fiat. Marchionne risponde picche: non c’è posto per chi ha ostacolato e ostacola l’investimento a Pomigliano, trattiamo solo con chi si è assunto la responsabilità dell’accordo (Cisl, Uil, Fismic, Ugl). La Fiom fatica a trovare sponde perfino nel Pd, la Cgil ha preso le distanze, per la controparte aziendale non è un interlocutore affidabile né attendibile, la spaccatura con gli altri sindacati si è allargata. Insomma è totalmente isolata. E’ questa la fotografia.

La Fiom perderà comunque. Si discute ora di un Marchionne perplesso, dopo l’esito del referendum, sull’ipotesi di destinare ancora la Panda, prodotto centrale per la Fiat, a Pomigliano e forse alla ricerca di altre soluzioni di investimento. Questo va naturalmente evitato e i sindacati firmatari dell’accordo, al pari del ministro Sacconi, si sono espressi con chiarezza sulla necessità che Fiat ora rispetti l’impegno. Ma il solo fatto che se ne parli è la prova dei danni della linea di condotta di una Fiom che, comunque vada, uscirà sconfitta. Se Fiat produrrà la Panda a Pomigliano non sarà merito della Fiom, che si è opposta; se la Fiat sceglierà la strada di un disimpegno, anche parziale, tutta la responsabilità delle eventuali ricadute negative in termini di occupazione e di prospettive future della fabbrica campana andranno sul conto della Fiom. Bel risultato.

mercoledì 23 giugno 2010

Le foibe entrano nell’esame di maturità. Ecco come potrebbe avere svolto il tema uno studente di media preparazione non condizionato da preconcetti politici

maturitaG[1] Ieri gli studenti italiani hanno affrontato la prima prova dell’esame di maturità: il tema d’italiano. Tra le varie tracce proposte, una riguardava le foibe e subito da sinistra sono arrivate al ministro Gelmini accuse di ogni genere. 
Questo il tema proposto nella tipologia C.  Tema di argomento storico:
“Ai sensi della legge 30 marzo 2004, n. 92, “la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Il candidato delinei la “complessa vicenda del confine orientale”, dal Patto (o Trattato) di Londra (1915) al Trattato di Osimo (1975), soffermandosi, in particolare, sugli eventi degli anni compresi fra il 1943 e il 1954.

Ecco allora come lo avrebbe svolto - mettendosi nei panni di un liceale - Giuseppe Parlato Rettore della Libera Università degli studi "S. Pio V"di Roma – Ordinario di storia contemporanea

Ho avuto molte perplessità a scegliere questo tema. I motivi sono due: il primo è che ne so poco; il secondo è che quel poco che so è il risultato di interpretazioni molto diverse fra loro. Quel poco che so mi viene soprattutto da racconti familiari o da giornali che ho trovato a casa e che raccontavano di italiani ammazzati nelle foibe e di altri italiani costretti a fuggire dalle loro terre.
La cosa mi ha incuriosito, ma soprattutto mi ha attirato il fatto che di questi fatti pochi hanno parlato. Ne ho discusso con alcuni amici e mi hanno detto che parlare di queste cose vuole dire essere fascista, perché quelli che hanno ammazzato erano tutti fascisti, come erano fascisti quelli che se ne sono andati. Ma sarà vero? Io, per esempio ho creduto, fino all’altro giorno, che noi avessimo dovuto “restituire”, dopo il 1945, quelle terre alla Jugoslavia: lo avevo letto in un sito internet; poi, un mio amico mi ha fatto notare che prima del 1919 la Jugoslavia non c’era e quindi il termine “restituire” poteva andare bene per l’Austria ma non per la Jugoslavia.
Questo per dire che si tratta di temi controversi, sui quali la politica ha fatto da padrone, in un senso o nell’altro. Preferirei, sinceramente, che delle foibe si trattasse anche nei libri di testo come si tratta dell’Italia giolittiana, cioè di un tema storico sul quale si possono avere anche idee diverse, senza che per questo uno sia definito fascista o comunista. Sarà ingenua la mia considerazione, ma i fatti saranno pur avvenuti in qualche modo. La parola forse è grossa, ma alla verità ci si potrà, prima o poi, anche solo avvicinare? L’impressione è sicuramente quella di un argomento tabù: c’è voluta la Giornata del ricordo per smuovere un po’ l’opinione pubblica, e dopo sessant’anni. C’è stata una fiction,” La luna nel pozzo”, che ha portato nelle famiglie questi temi. Adesso si sa che sono morti degli italiani, forse non perché erano fascisti ma più probabilmente perché erano italiani; e altri se ne sono andati. Ma le dimensioni reali e le cause di quella tragedia quanto ci vorrà per conoscerle davvero?”

sabato 19 giugno 2010

Il debito sostenibile diventa il nuovo parametro europeo. Un altro successo dell’Italia

vita di provincia 1 Il governo italiano ha colto ieri un altro eclatante successo a livello europeo: il Consiglio dei capi di stato e di governo della Ue, ha accolto la nostra richiesta di introdurre nelle nuove regole di finanza pubblica comunitaria il concetto di debito “allargato”, o meglio sostenibile.
La richiesta è stata avanzata come ultimativa da Berlusconi, e nei giorni scorsi era stato il ministro degli Esteri Frattini a dichiarare che senza il suo accoglimento l’Italia avrebbe posto il veto ad ogni iniziativa. Non ce n’è stato bisogno: prima la Germania poi tutti gli altri paesi ci hanno dato ragione.

Vediamo dunque di che cosa stiamo parlando.

  1. Finora il primo criterio di valutazione sulla solidità di un paese era il suo debito pubblico in rapporto al Pil, cioè alla ricchezza prodotta ogni anno. Su questa base si sono attribuite le pagelle, i rating che a loro volta condizionano le emissioni di titoli di Stato, ed in generale gli umori dei mercati.
  2. Con la Grecia (che ha truccato i conti), ma soprattutto con Spagna, Portogallo e Irlanda, tutti paesi con debiti pubblici inferiori al nostro, si è visto che quel criterio non funziona più. Difatti la speculazione ha preso di mira proprio loro.
  3. Si è così deciso di inglobare nel concetto di debito anche quello delle famiglie e delle imprese, secondo una filosofia che ha sempre contraddistinto il centrodestra. L’Italia ha un elevato debito pubblico ereditato dal passato, ma le nostre famiglie sono virtuose e risparmiose, e così le imprese manifatturiere che costituiscono la spina dorsale del sistema produttivo.
  4. Le statistiche approvate ieri dall’Unione europea indicano per l’Italia il debito delle famiglie pari al 39,3% del Pil, il più basso d’Europa. È il risultato della differenza tra risparmi e mutui. E quanto alle imprese, non finanziarie abbiamo un debito del 79,9%, più alto solo di quello tedesco (ci sarebbe anche la Grecia, che però fa storia a sé).
  5. Risultato. Mentre nella vecchia graduatoria l’Italia risultava al primo posto per il solo debito della pubblica amministrazione, con il nuovo criterio siamo sesti nella Ue, dietro a Germania, Austria, Finlandia, Grecia e Francia. Non tenendo conto della Grecia – paese a rischio fallimento e di fatto commissariato dall’Europa e dal Fondo monetario – siamo quinti, nel gruppo di testa continentale. Veniamo dunque prima di Svezia, Olanda e Gran Bretagna, senza contare la Spagna, l’Irlanda ed il Portogallo.
  6. Scontiamo i vizi della pubblica amministrazione, mentre ci fregiamo delle virtù delle famiglie e delle imprese: è esattamente la teoria e la pratica del centrodestra. Ma è anche la smentita della linea attuata in tutti questi anni e decenni dalla sinistra, che ha sempre gonfiato la spesa pubblica tassando le aziende e le famiglie. “Tassa e spendi”, appunto.
  7. Non solo. Mai la sinistra aveva concepito di imporre in sede europea, minacciando il veto, una riclassificazione di questo tipo, che pure va a nostro beneficio. Era contrario alla sua mentalità statalista e favorevole alla spesa pubblica, ed ostile al settore privato. Ed era anche frutto della sua tradizionale sudditanza ai paesi forti dell’Europa, Germania e Francia in testa.

Prima conclusione. Non solo la dottrina liberale italiana era giusta, ma provvidenziale è stata la condotta del Governo in sede europea. L’Italia esce definitivamente dal novero dei paesi poco virtuosi (anche se abbiamo il fardello della spesa pubblica, che il governo ridurrà); ne beneficeranno i nostri titoli, i nostri risparmi, i flussi d’investimento per le aziende, e quindi il lavoro.

Seconda conclusione: con la sinistra al governo non avremmo avuto nulla di tutto questo. Anzi, avremmo avuto l’esatto contrario, ed oggi saremmo in guai seri.

venerdì 18 giugno 2010

Annegati in una insopportabile melassa politica

melassa Ci risiamo.
Il solo auspicio di disporre di costanti informazioni sul cosiddetto fondo di solidarietà alle famiglie in condizioni di bisogno, ha scatenato il PD che dice che parlare di un argomento così delicato è di cattivo gusto (sic!?) e che ci vorrebbe più serietà.
Non ho più parole, ho solo una forte ripulsa per questa melassa politica nella quale ci vorrebbero annegare.

Le posizioni sono chiare.
Noi sosteniamo che il Fondo di solidarietà per le famiglie bisognose è un utile paravento per consentire all’Amministrazione Comunale di fare finta di occuparsi delle nuove povertà senza in realtà fare nulla e che lo strumento è utilissimo in campagna elettorale per vantare meriti che non ha.
Iseppi insinua malignamente che queste nostre posizioni offendono le associazioni che concorrono al tavolo e umiliano le persone assistite: non è vera né l’una né l’altra perché il volontariato che presta la propria opera nel fondo lavora al meglio per realizzare le proprie finalità associative, ma non decide affatto sulle politiche dei servizi sociali e assistenziali del Comune e quindi non non viene per nulla toccato dalle nostre critiche, mentre le persone assistite semmai vengono da noi difese e non offese.

Alla fine le cose stanno così: quando chiediamo ragione delle azioni del Tavolo la risposta è che non è un servizio comunale,  ma quando chiediamo i dettagli vediamo che il Comune ne coordina l’azione attraverso propri operatori, ne detta le regole di funzionamento, ne assume la rappresentanza esterna attraverso il Sindaco o l’Assessore,  invita questo o quello a partecipare al tavolo stesso sulla base di criteri assolutamente oscuri come quando è stata invitata a titolo personale la nostra consigliera Alessandra Bertozzi per poi essere rimproverata rudemente perché non ha partecipato a presunte riunioni dove pare fosse stata convocata.

Il Gruppo consiliare PDL Lega UDC Indipendenti, attraverso il suo capogruppo, non ha mai ricevuto alcun invito a designare propri rappresentanti nel Tavolo per la gestione del Fondo di Solidarietà. Qualora in futuro si ritenga opportuno invitarci, parteciperemo sicuramente con un nostro rappresentante.
Certo che parteciperemo, statene certi. Se ci inviterete.

Fabio Piolanti

La nuova scuola secondaria superiore: una grande riforma

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mercoledì 16 giugno 2010

Nessuno si fa spennare senza strillare, ma….

Se è vero che nessuno si fa spennare senza strillare, è altrettanto sicuro che lo scontro in atto tra le regioni e Tremonti è andato ben oltre il consueto teatrino messo in scena quando c’è da tagliare le spese far quadrare i conti.

In molti avevamo dato per scontato un certo numero di proteste, il solito sciopero della Cgil e l’ancor più abituale scampagnata romana per far rullare i tamburi e suonare le trombette sotto le finestre di palazzo Chigi.
Per questo ci eravamo schierati con il ministro dell’Economia, spronandolo a fare sul serio e a non usare le forbici per finta. Troppe volte abbiamo visto manovre che dovevano recuperare miliardi e alla fine incassavano centesimi. Dunque, vista l’attuale situazione finanziaria internazionale e l’ancor più penoso stato del nostro debito pubblico, contavamo che Tremonti usasse la mannaia e affettasse gli sprechi di molte amministrazioni locali e statali.

A distanza di qualche settimana dalla presentazione delle misure decise dal governo, ci rendiamo però conto che molti degli interventi sono fatti in orizzontale, nel senso che con un tratto di penna si è deciso di cancellare voci di bilancio senza guardare in faccia a nessuno, neppure a quelle Regioni che i fondi non li sperperano, ma sono state in tutti questi anni virtuose e attente a far fruttare il denaro dei cittadini.
Il risultato ancora una volta è che chi ha sprecato è costretto a rinunciare a qualcosa ma ha soldi in abbondanza per continuare a sprecare, mentre chi in passato ha tirato la cinghia è costretto a tirarla ancor di più.
Un paradosso che, come spiega Formigoni, a capo di una delle Regioni ingiustamente colpite, penalizza chi ha fatto bene e chi ha contratto debiti in egual misura. Che senso ha allora parlare di federalismo fiscale e di attribuire a ogni Regione le proprie responsabilità? Oggi chi come la Lombardia si lamenta sostenendo che buona parte dei redditi prodotti in loco viene distratta per foraggiare le spese delle Regioni a statuto fallimentare, e dunque vorrebbe più trasferimenti o quanto meno poter disporre delle proprie risorse, ottiene l’esatto contrario.
Ovvero lo stato centralista lungi dal chiudere i rubinetti dello spreco chiude quelli dell’efficienza. Vero che quando c’è da trovare i soldi non si va troppo per il sottile e li si prende dove ci sono. Ma da più di sessant’anni funziona così ed ora, visto il clima economico e politico, sembrava giunto il momento di dare un taglio all’andazzo e voltare pagina.

Invece, niente. Che a non fare sia poi il ministro più è vicino alla Lega e al popolo delle partite Iva, un po’ sorprende e un po’ dispiace. In Tremonti abbiamo riposto e continuiamo a riporre molte speranze, ma il tempo passa e non vorremmo arrivare alla fine della legislatura a dover constatare che un’altra occasione è stata sprecata.

martedì 15 giugno 2010

Mentre a Faenza, sentono l’obbligo di informare regolarmente sugli interventi a sostegno delle famiglie, il nostro tavolo di coordinamento tace. Dobbiamo forse aspettare qualche tornata elettorale per avere notizie?

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La grande mistificazione delle intercettazioni

bugiardi[1]

L’assurda storia delle intercettazioni e il suo paradossale protrarsi descrive come meglio non si potrebbe l’abisso che separa il pensiero liberale da quello “liberal” con tutte le sue italiche aggravanti.
Ovunque nel mondo civile le intercettazioni telefoniche sono uno strumento di polizia molto invadente ma a volte efficace nelle indagini per confermare sospetti e ipotesi di reato. Ogni paese ha una sua regolamentazione empirica: in certi casi più attenta alla riservatezza, in altri più interessata all’efficacia investigativa. Punto e basta.
In Italia,con un incredibile capovolgimento, le intercettazioni giudiziarie sono divenute fulgida epitome di libertà e democrazia. E chiunque si provi a mettervi mano per meglio regolarle o limitarne la portata veste immediatamente i panni del dittatore, del fascista e del mestatore.

Mai come in questa vicenda la frontiera liberale si è mostrata debole e friabile: tranne poche eccezioni (Il Foglio e ovviamente l’Occidentale) anche i giornali di centro-destra si sono lasciati trascinare dalla loro inclinazione malpancista e forcaiola: anche loro ossessionati dalle caste, dalle cricche e dal fascino poliziesco e vendicativo delle “liste”.
Il versante “liberal” invece ha trovato una festosa e pazzoide saldatura con mondo giustizialista travagliesco, dove le intercettazioni hanno fatto da catalizzatore al  veleno anti-berlusconiano sparso a piene mani nel paese da Repubblica e compagnia in tutti questi anni.
Lo slogan mauresco trasportato in piazza dai giovani col bavaglio e maglietta viola: “intercettateci tutti”, fa spavento. Nell’idea che lo Stato abbia pieno diritto di scandagliare le nostre vite e che anzi gli si debbano spalancare le porte in nome dell’onestà e della purezza pronte ad essere esibite c’è qualcosa di peggio della dittatura. C’è il totale annullamento dell’individuo davanti al moloch, c’è la persona che si fa mucchio giubilante e si squarcia il petto per mettere non solo la testa ma anche l’anima all’ammasso. Quello slogan sta a dire che chiunque resista allo scandaglio inquisitore dello Stato è un criminale in re ipsa e chi è senza reato non ha diritto, anzi ha il gioioso dovere di non nascondere nulla all’occhio del moloch.
Amori, desideri, odii e rabbie, sentimenti e disperazioni, tradimenti e inganni, passioni, trasgressioni: tutto ciò che è umano  può e deve essere pubblico come in un terribile rogo purificatore, solo che in questo sacrifico collettivo periscano i rei, brucino tra le fiamme i veri colpevoli, i ladri, gli arraffoni, i nani e le ballerine. Pochi ne usciranno, ma più mondi e più degni, senza angoli bui, senza più nulla da nascondere. Un perfetto esercito di automi vendicatori che marcerà contro il marcio sotto le bandiere di Repubblica. Una nuova gioiosa macchina da guerra pronta a ripartire dopo il primo fallimento. (Con qualche finiano di complemento a cui pare di annusare qualcosa di inebriante e dimenticato, come gli ex fumatori davanti ai mozziconi).
Fa spavento il modo in cui questa follia abbia preso possesso delle menti e di cuori di ragazzi  e ragazze che dovrebbero scendere in piazza a chiedere più libertà e più gioia e invece pretendono più manette e più gogna. Si tratta di una terribile responsabilità che il mondo “liberal” si prende verso queste generazioni tenute per anni a stretto regime antiberlusconiano e ora, nella loro assoluta dipendenza,  pronte ad essere manipolate a piacimento. Come altro si spiega il fatto che centinaia di giovani si mettano il bavaglio rituale per difendere l’apparato politico-industriale-editoriale dall’ipotesi di pagare una multa se violano una legge dello Stato?

E tutto ciò mette ancor più paura perché nel disegno che si dipana dalla questione intercettazioni non vi è alcuna grandiosità,  per quanto nera o perversa,  non ci sono orizzonti palingenetici per quanto fraintesi, non c’è vera purificazione. C’e solo, come sempre, il piccolo, misero cabotaggio  di gruppi di interesse (giudiziario-editoriale-politico) che cercano una qualche via d’uscita dal berlusconismo. E la cercano ovunque, tranne che nelle urne, dove continuano a non trovarla.
E la dimostrazione lampante di questo è il fatto inoppugnabile che una legge simile, forse anche più severa, venne approvata dalla Camera il 17 aprile 2007 alla quasi unanimità (4 astenuti). Era firmato da Clemente Mastella, Giuliano Amato e Tommaso Padoa-Schioppa. E non c’erano in piazza bavagli, non c’era attentato alla libertà, non c’era via libera alla mafia alla mafia e alla camorra. C’era Prodi e non Berlusconi.

Il Consiglio dell’Unione è Convocato per Giovedì 17 Giugno

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Argomenti in discussione:

Punto 4: Approvazione accordo quadro 2010-2012
Testo accordo quadro per la montagna

Punto 5: Accordo di Programma Brisighella, Casola, Riolo e il Consorzio Parco per il servizio di tesoreria. Approvazione schema di convenzione
Schema di Convenzione

Punto 6:  O.d.g. Agricoltura

Punto 7:  Risposta a Interrogazione del consigliere Piolanti su Piano turistico dell’Unione
Interrogazione

Punto 8:  Risposta all’interrogazione del consigliere Piolanti su fondo di perequazione per i centri commerciali di Faenza
Interrogazione

Punto 9:  Risposta a interrogazione del Capo Gruppo PDL Bertozzi sull’attività dell’ufficio stampa associato
Interrogazione

lunedì 14 giugno 2010

Se il vecchio sindacato non cambia pelle, povera Italia.

man_and_watermirror La Fiat è pronta a investire 700 milioni di euro per trasferire la produzione della Panda dalla Polonia all’impianto di Pomigliano d’Arco. Chiede in cambio al sindacato di aumentare i turni, ricorrere agli straordinari, scoraggiare ogni forma di assenteismo.
Con questi chiari di luna, con la cronica mancanza di investimenti nel Meridione, tutti penserebbero che i sindacati abbiano subito detto sì. E invece l’organizzazione dei sindacati metalmeccanici della Cgil ha finora respinto ogni ipotesi di accordo. All’ultimo momento è intervenuto il segretario della Cgil Epifani che si è accorto di quanto pernicioso potesse essere questo no. Siamo pronti a discutere sulle regole, dice la Cgil, mentre tutta l’opposizione di sinistra spinge a favore dell’accordo, convinta che un no sarebbe un colpo mortale al sindacato.

In questa vicenda si rivela tutta la fragilità e l’arretratezza del nostro sistema sindacale: le vecchie tradizioni massimaliste, il vecchio concetto di cinghia di trasmissione con la classe operaia che sta scomparendo, il disagio crescente di fronte all’avanzata del Popolo della Libertà e della Lega in tutte le fabbriche. Certo, se il sindacato dovesse dire no a un accordo che rimette in moto il più grande impianto della Campania, di una regione disastrata, sarebbe un disastro per tutto il Paese. Si spera perciò che prevalga la ragionevolezza. Oltre che discutere sulle regole, sarebbe bene però aprire un dibattito sul modello di sindacato che si vuole raggiungere nell’anno 2010. I turni duri e gli scioperi limitati che chiede la Fiat fanno parte ormai di un concetto completamente nuovo, quello della economia sociale di mercato. Così dovrebbero regolarsi in futuro le relazioni tra imprese e lavoratori: poche regole comuni all’interno dei contratti nazionali, tutto il resto delle regole demandato a contratti locali, settoriali, aziendali.

Soltanto in questo modo si potrà aumentare la competitività delle nostre imprese per metterle in grado di reggere la concorrenza sui mercati internazionali. E questa prospettiva è tanto più importante, se si pensa che proprio in queste settimane sta ripartendo la produzione industriale frenata dalla crisi globale dell’economia. Se il sindacato, nella sua componente più dura e intransigente, non farà di tutto per aprirsi al nuovo, l’Italia è destinata a rimanere per lungo tempo ai margini dello sviluppo.

La guida va benissimo, è il resto che ancora non si vede

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venerdì 11 giugno 2010

Il Consiglio Comunale è convocato per mercoledì 16 Giugno

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Atti e materiali:
Punto 5: Variazioni di Bilancio
Prospetto delle variazioni
Punto 6: Criteri per il rilascio delle autorizzazioni di pubblico esercizio
Bozza di relazione
Criteri
Punto 7:  Accordo tra Provincia e Comune per segnaletica stradale Accordo
Punto 9: Commissione per la qualità architettonica e modifica regolamento edilizio
Convenzione
Allegato
Punto 10: Cessione in proprietà area Via Gramsci
Atto
Punto 11: Accordo quadro Legge per la montagna
Accordo
Punto 12: Adesione a iniziative commissione europea per riduzione emissioni anidride carbonica
Patto dei sindaci
Punto 13: Acquisizione diritto di superficie su terreno in località S. Rufillo per impianto fotovoltaico

giovedì 10 giugno 2010

Il popolo edificato, ringrazia. Come si costruisce un modello politico esemplare

d61878dc7eb16c8ff2eec8890a250cf27fdfba39[1] Adesso che Bassolino è stato messo in condizione di non nuocere più alla sua terra, sembra inelegante continuare a parlarne, ma lo facciamo perché il politico Bassolino è emblematico delle tecniche utilizzate dalla sinistra per dimostrare la superiorità intellettuale e morale dei propri amministratori, tanti, tanti anni fa chiamati “i migliori”.
Sappiamo che Bassolino è diventato professore di raccolta differenziata a Cuba spendendo 600mila euro di soldi degli italiani mentre la sua giunta accumulava 250mila tonnellate di monnezza che soffocavamo l’intera città. Una barzelletta che però ha decine di antefatti.
Ad esempio nessuno capisce perché durante il suo regno la Regione Campania abbia dovuto finanziare una prestigiosa “Casa Campania” a New York, sulla 54 strada,  a due passi dal Rockfeller Center, o i viaggi della giunta campana per il Columbus Day (160 persone a dilettarsi fra le majorettes)  o i contributi a pioggia a qualsiasi tipo di attività (anche Errani non scherza), dal Premio Guglia per la diffusione della cultura cinematografica napoletana,  al campionato di tuffi al fiordo Furore,  dall’associazione culturale Europa Unita di Frattamaggiore, alla sagra della porziuncola e del formaggio pecorino. Ai tempi delle Olimpiadi di Atene fu organizzato addirittura un ponte aereo per far arrivare le mozzarelle campane fresche ogni mattina agli atleti.

Il mito mediatico è stato sostenuto e promosso dal partito e da lì traeva origine la forza del Governatore che non si è mai fermato davanti a nulla, nemmeno davanti al paradosso della spazzatura.
E per capire il mito, bisogna ben ricordare le grandi celebrazioni che ci siamo sorbiti per anni sul Rinascimento napoletano.
Una schiera di intellettuali presi a cantarne le gesta con toni estasiati: Bassolino che fa rivivere piazza Plebiscito, Bassolino che inaugura i parchi giochi, Bassolino che organizza le mostre, Bassolino che passeggia con un Kennedy, Bassolino che emette i Boc  (grande sòla, ma lo scopriremo poi),  Bassolino “sindaco più amato d’Italia”, ripreso e riverito anche con esclusivo servizio fotografico sulle riviste vip.  Bassolino metà don Don Bosco e metà mago Merlino.  Bassolino profeta, Bassolino osannato.  Bassolino che vince persino il premio “liberale dell’anno” intitolato a don Sturzo.

“I segreti di uno stile che sta facendo scuola”, titolava euforico l’Espresso.  Ecco sì: lo stile ha fatto scuola. Il popolo edificato, ringrazia.

Il Governo ha stanziato 1471 milioni per la banda larga: il consigliere Benelli chiede a che punto siano i progetti che la Provincia deve presentare

"La Provincia si dia da fare o la banda larga resterà un sogno per molti ravennati, faentini e per molti lughesi”. Lo dichiara il consigliere provinciale del Pdl Giovanna Benelli che ha presentato un’interrogazione per chiedere a che punto sia la Provincia con i progetti necessari per accedere alle risorse stanziate dal governo (1.471 milioni per tutto il Paese) per completare la copertura di banda larga in tutta Italia. Un’opportunità che secondo Giovanna Benelli il nostro territorio non deve lasciarsi sfuggire.“Per la Regione Emilia Romagna l’investimento previsto dal governo è di 146.079 milioni di euro – spiega il consigliere provinciale nella sua interrogazione -, Ravenna è nell’elenco delle province che si dichiarano interessate al piano banda larga 2010 come peraltro tutte le altre della nostra regione”.

Benelli chiede dunque alla Provincia di sapere se “Ravenna abbia già firmato la convenzione con Infratel Italia Spa, che è il soggetto attuatore del programma per lo sviluppo della banda larga in tutte le aree sottoutilizzate del paese, o con altro soggetto; quale quota di finanziamento regionale si pensi di chiedere per la nostra provincia per completare la copertura del territorio che attualmente si presenta a macchia di leopardo e penalizza soprattutto la collina, alcune zone del lughese, Villanova di Bagnacavallo, S. Bartolo, S.Michele, Santerno, Mezzano e perfino una parte di Ravenna”.“Vista la difficoltà cronica che i finanziamenti regionali hanno a trovare la via verso la Romagna, – conclude il consigliere – non vorrei che decidendoci troppo tardi ci trovassimo ad avere solo le briciole, laddove i finanziamenti a disposizione sono ingenti e possono permettere a tutto il nostro territorio di avere una copertura di banda larga totale, anche nelle zone più lontane dai centri cittadini”.

martedì 8 giugno 2010

Ha ragione Raffaella Ridolfi, Capo Gruppo PDL nel Consiglio Comunale di Faenza: la liberalizzazione dei servizi pubblici nella nostra regione è una farsa

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Cari amici del PD, non basta urlare “la scuola non si tocca”

riforma-della-scuola[1] La sinistra sbaglia quando difende a oltranza un modello di spesa pubblica che in Italia si è stratificato da decenni: sbaglia quando guarda solo al particolare, anzi, ai tanti particolari e così facendo snatura il senso di ogni azione riformatrice. Non si può sempre proclamare che la razionalizzazione della spesa non deve essere fatta a discapito della cultura, della scuola, della ricerca, degli enti locali, del meridione, delle pensioni, della spesa farmaceutica, della sanità, del welfare ecc. ecc .  Tutte cose sacrosante, ci mancherebbe, ma che per loro natura entrano a gamba tesa nel paniere di una spesa che nel tempo è lievitato a dismisura e che deve essere riportata a controllo pena la rovina dello Stato e la deriva dell’economia.
La ricetta liberista che finalmente il governo Berlusconi - non senza eccessivi tentennamenti - sta assumendo, richiede sacrifici che in certi ambienti non si vogliono neppure sentire nominare. La sinistra e la CGIL rivendicano come una conquista di progresso ogni allargamento della spesa mentre è solo un arretramento al modello statalista che tanti guasti ha prodotto.
Ad esempio, l’operazione che tenta di bloccare la spesa sulla scuola, si è riverberata anche in piccola misura a Casola Valsenio, a proposito della ventilata abolizione del tempo prolungato nella scuola Media, una sorta di doposcuola facilmente surrogabile da altre iniziative a costo zero per lo Stato.
Attraverso un’abile messa in scena orchestrata dal PD e dai suoi amministratori che hanno alimentato e cavalcato una legittima preoccupazione di poche famiglie, si è voluto far credere che fosse messo in discussione l’intero sistema scolastico casolano ben sapendo che non era così e si è cercato di fare passare l’idea di una azione governativa devastante e pregiudizialmente contraria all’istruzione pubblica.
Noi sosteniamo da anni che anche l’amministrazione della scuola debba essere ricondotta alla competenza regionale perché solo in quella sede può trovarsi corrispondenza tra gli standard di qualità e il contenimento della spesa: quando tra non molto sarà la Regione a dovere attuare le razionalizzazioni del sistema scolastico, e sarà chiamata a introdurre elementi di risparmio e di qualità nella gestione dei conti vorremo vedere se questi che oggi urlano e si indignano sapranno alzare le loro bandierine a difesa di ogni rivendicazione come fanno oggi.

Cari amici del Pd, non basta urlare “la scuola non si tocca” per avere un sistema formativo adeguato e moderno e non basta dire no ad ogni proposta di contenimento della spesa.
E' molto severa la fotografia scattata dall'Ocse sulla scuola italiana presentata ai vertici del Miur. L'Ocse sostiene che le scuole italiane spendono per ciascun studente molto di più degli altri paesi ma i rendimenti in termini di apprendimento da parte degli studenti sono i più scarsi. Questo accade a causa di diverse peculiarità negative, sempre secondo l'organismo internazionale tipiche del nostro paese.
Ad iniziare dalle troppe classi poco numerose e alle tante ore di insegnamento rivolte agli studenti. A incidere molto sui costi della scuola italiana è però soprattutto l'alto numero di insegnanti in servizio negli oltre 10mila istituti sparsi per il territorio nazionale: il rapporto insegnante-studente nell'area Ocse è di 6,5 docenti ogni 100 allievi, mentre nel nostro paese raggiunge quota 9,6.
Ancora più negativi gli effetti della mancata meritocrazia: rispetto agli paesi europei da noi l'avanzamento di carriera avviene solo per anzianità. La motivazione principale per fare l'insegnante in Italia sembrerebbe essere soltanto l'elevata sicurezza del posto di lavoro.
I docenti italiani troverebbero così le loro maggiori motivazioni professionali nel riuscire a collocarsi in istituti vicini alla propria residenza. Non a caso, circa la metà degli insegnanti si sposta da un istituto all'altro.
Tra le bacchettate che l'Ocse ha dato alla scuola italiana vi è anche la mancanza di valutazione degli apprendimenti: la verifica dei risultati raggiunti dagli alunni sarebbe infatti ridotta a una sorta di verifica interna agli istituti quasi pro-forma. Molta rilevanza viene data anche alla necessità di dare maggiore autonomia di gestione degli istituti ai dirigenti scolastici.
Anche attraverso il loro supporto viene raccomandato dall'Ocse di aumentare il numero degli studenti per classe, minimizzando il numero di classi all'interno di ogni istituto e raggruppando i più piccoli.
Decisiva, sempre secondo l'Ocse, sarebbe anche l'azione di ampliamento di responsabilità ed autonomia della singole scuole: ciò avverrebbe attraverso test di valutazione nazionali sia degli istituti sia degli insegnanti: una procedura che permetterebbe di premiare i docenti più meritevoli attraverso incremento di salario, avanzamenti di carriera e offrire una formazione per gli insegnanti non efficaci e infine licenziare i casi estremi.
A tal fine l'organismo sovranazionale indica di rendere più rigorose le procedure di reclutamento e assunzione dei docenti. Per quanto riguarda gli istituti l'indicazione è quella di trasferire fondi e risorse supplementari alle scuole virtuose; mentre occorrerebbe avviare una ristrutturazione degli istituti con risultati scadenti.
L'ultima osservazione riguarda l'esigenza di ridurre i tassi di abbandono scolastico (in Italia superiori alla media): viene auspicata l'adozione di un'istruzione e una assistenza di qualità nella scuola dell’infanzia; maggiore supporto a studenti deboli mediante insegnanti e infrastrutture migliori, tempo di istruzione supplementare e attività speciali in piccole classi; un orientamento alla carriera futura degli studenti fin dalle prime fasi dell'istruzione secondaria superiore e coinvolgere i genitori nei piani di orientamento professionale.

Non basta urlare “la scuola non si tocca”.  La scuola si deve toccare eccome!.

sabato 5 giugno 2010

Non ci si può credere

pict002 Sembra una barzelletta invece è una notizia. La Campania che dà lezioni di raccolta differenziata ai popoli caraibici: Cuba, Repubblica Dominicana, Haiti. È come chiedere a un eschimese di spiegare la sopravvivenza nel deserto o a un istruttore di surf di fare lezioni di alpinismo.
La notte di San Silvestro, poche ore prima che a Napoli si scatenasse l’inferno dei fuochi d’artificio, la giunta dell’ex Governatore Bassolino metteva a punto l’ultimo capolavoro napoletano sotto il titolo inglese: “Impegno risorse per cofinanziamento progetto europeo Caribbean sustainable waste management for a better life”. Gestione dei rifiuti ai Caraibi per migliorare la qualità della vita.
E meno male che era dicembre altrimenti si sarebbe pensato a uno scherzo di Carnevale.

Con uno stanziamento di seicentomila euro la Campania si è impegnata a trasferire la propria competenza in materia ai popoli caraibici offrendo consulenze per implementare il sistema di raccolta differenziata nel centro storico dell’Avana e in quello di Santo Domingo. E poco importa se nel centro storico di Napoli la raccolta differenziata è ancora un concetto per lo più sconosciuto e le isole ecologiche sono un miraggio. Come se non bastasse dispensare l’esperienza campana in fatto di dividere la plastica dal vetro e l’umido dalla carta, la delibera prevedeva anche la consulenza della Regione per la creazione di un impianto di compostaggio ad Haiti. «Peccato che in Campania di questi impianti non c’è traccia», commenta il neo-assessore all’ambiente Giovanni Romano.

La scoperta dell’esilarante delibera è stata fatta da alcuni esperti, una squadra di 007 amministrativi incaricata dal Governatore Stefano Caldoro di controllare la pesante eredità di delibere con inevitabili strascichi di consulenze e incarichi vari lasciata dal predecessore. L’obiettivo è cercare di tamponare l’emorragia di denaro che, per effetto di decisioni passate, esce dalle casse della Regione.
Durante i controlli ci si è imbattuti in questa delibera che farebbe anche ridere se davanti non ci fosse la drammatica situazione finanziaria della Campania. L’assessore Romano, che è stato sindaco di Mercato San Severino, un centro del salernitano che nel pieno di monnezzopoli, con il suo 70% di raccolta differenziata sembrava un’enclave svizzera, è decisamente sconcertato: «Con i seicentomila euro spesi, che molto probabilmente non si potranno recuperare perché il progetto è ormai già avviato, si potevano creare almeno tre isole ecologiche». Evidentemente per la giunta Bassolino le isole più interessanti erano quelle caraibiche.

I numeri della manovra economica per ridurre il debito pubblico

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venerdì 4 giugno 2010

Il contrasto all’evasione fiscale passa anche attraverso i comuni

400x[1] Sono Galliera e Castel Bolognese gli ultimi due Comuni che entrano a far parte, nella Regione Emilia-Romagna, della lista dei Comuni “caccia-evasori“. A darne notizia è la Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate nel far presente come agli Enti locali che partecipano all’alleanza anti-evasione spetti, in base alle segnalazioni qualificate inviate, il 30% delle maggiori somme tra sanzioni, interessi e tributi effettivamente riscossi dall’Agenzie delle Entrate in base alle procedure di accertamento. I Comuni di Galliera e Castel Bolognese portano così complessivamente a 187 il numero dei Comuni “caccia-evasori” sulla base di un protocollo che nei mesi scorsi, al fine di contrastare l’evasione fiscale, hanno siglato da un lato l’Agenzia delle Entrate e dall’altro l’ANCI, Associazione Nazionale Comuni Italiani.

A sua volta ogni singolo Comune, sul territorio di quelle Regioni dove è in vigore l’intesa, deve formulare una specifica adesione al patto anti-evasione stipulando a sua volta ed allo stesso modo un protocollo di intesa che permette, lo ricordiamo, di poter contrastare l’evasione avvalendosi degli Enti locali che hanno il “polso” della situazione economica e reddituale dei contribuenti meglio di chiunque altro. Basti pensare alla possibilità di inviare segnalazioni qualificate su attività ed asset “sensibili” sul territorio come le proprietà immobiliari e le attività commerciali

L’adesione del Comune di Castel Bolognese porta tra l’altro a 18 su 18 il numero degli Enti locali che ha aderito in Provincia di Ravenna al patto anti-evasione. In Provincia di Modena, invece, siamo a 31 su 47, 25 su 48 in Provincia di Piacenza, 24 su 45 in Provincia di Reggio Emilia, 23 su 60 in Provincia di Bologna, 22 su trenta in Provincia di Forlì-Cesena e 18 su 26 in Provincia di Ferrara; tra le Province dell’Emilia-Romagna con il tasso di adesione più basso ci sono al momento la Provincia di Parma con soli 17 Comuni aderenti su un totale di 47, e quella di Rimini con 9 Amministrazioni locali su un totale di 27.

giovedì 3 giugno 2010

La posizione dell’UDC casolana sulla scuola

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Ah, ecco

Sherlock_Holmes[1] Giovedì scorso Repubblica ha intervistato David Lane dell’Economist il quale dapprima ha mostrato di ignorare il disegno di legge sulle intercettazioni ma poi, alla domanda «In Inghilterra le cose sono diverse?», ha risposto: «Lì le intercettazioni non vengono pubblicate». Ah. Ecco.

Il giorno dopo, sull’Espresso, hanno intervistato l’ex direttore dell’Economist Bill Emmott secondo il quale «Questa legge mette in pericolo la democrazia italiana», ma poi ha precisato: «Da noi le intercettazioni finiscono raramente ai giornali, evidentemente gli inquirenti italiani devono cercare il supporto della stampa». Ah. Ecco.

Ieri, infine, il Fatto ha intervistato John Lloyd del Financial Times il quale - dopo altre esternazioni apocalittiche, obviously - ha detto: «Da noi il problema non è così grande come in Italia, perché le intercettazioni raramente vengono rese pubbliche». Da loro, cioè, durante le indagini, e prima del processo, non esce una riga. Ah ecco.