martedì 15 giugno 2010

La grande mistificazione delle intercettazioni

bugiardi[1]

L’assurda storia delle intercettazioni e il suo paradossale protrarsi descrive come meglio non si potrebbe l’abisso che separa il pensiero liberale da quello “liberal” con tutte le sue italiche aggravanti.
Ovunque nel mondo civile le intercettazioni telefoniche sono uno strumento di polizia molto invadente ma a volte efficace nelle indagini per confermare sospetti e ipotesi di reato. Ogni paese ha una sua regolamentazione empirica: in certi casi più attenta alla riservatezza, in altri più interessata all’efficacia investigativa. Punto e basta.
In Italia,con un incredibile capovolgimento, le intercettazioni giudiziarie sono divenute fulgida epitome di libertà e democrazia. E chiunque si provi a mettervi mano per meglio regolarle o limitarne la portata veste immediatamente i panni del dittatore, del fascista e del mestatore.

Mai come in questa vicenda la frontiera liberale si è mostrata debole e friabile: tranne poche eccezioni (Il Foglio e ovviamente l’Occidentale) anche i giornali di centro-destra si sono lasciati trascinare dalla loro inclinazione malpancista e forcaiola: anche loro ossessionati dalle caste, dalle cricche e dal fascino poliziesco e vendicativo delle “liste”.
Il versante “liberal” invece ha trovato una festosa e pazzoide saldatura con mondo giustizialista travagliesco, dove le intercettazioni hanno fatto da catalizzatore al  veleno anti-berlusconiano sparso a piene mani nel paese da Repubblica e compagnia in tutti questi anni.
Lo slogan mauresco trasportato in piazza dai giovani col bavaglio e maglietta viola: “intercettateci tutti”, fa spavento. Nell’idea che lo Stato abbia pieno diritto di scandagliare le nostre vite e che anzi gli si debbano spalancare le porte in nome dell’onestà e della purezza pronte ad essere esibite c’è qualcosa di peggio della dittatura. C’è il totale annullamento dell’individuo davanti al moloch, c’è la persona che si fa mucchio giubilante e si squarcia il petto per mettere non solo la testa ma anche l’anima all’ammasso. Quello slogan sta a dire che chiunque resista allo scandaglio inquisitore dello Stato è un criminale in re ipsa e chi è senza reato non ha diritto, anzi ha il gioioso dovere di non nascondere nulla all’occhio del moloch.
Amori, desideri, odii e rabbie, sentimenti e disperazioni, tradimenti e inganni, passioni, trasgressioni: tutto ciò che è umano  può e deve essere pubblico come in un terribile rogo purificatore, solo che in questo sacrifico collettivo periscano i rei, brucino tra le fiamme i veri colpevoli, i ladri, gli arraffoni, i nani e le ballerine. Pochi ne usciranno, ma più mondi e più degni, senza angoli bui, senza più nulla da nascondere. Un perfetto esercito di automi vendicatori che marcerà contro il marcio sotto le bandiere di Repubblica. Una nuova gioiosa macchina da guerra pronta a ripartire dopo il primo fallimento. (Con qualche finiano di complemento a cui pare di annusare qualcosa di inebriante e dimenticato, come gli ex fumatori davanti ai mozziconi).
Fa spavento il modo in cui questa follia abbia preso possesso delle menti e di cuori di ragazzi  e ragazze che dovrebbero scendere in piazza a chiedere più libertà e più gioia e invece pretendono più manette e più gogna. Si tratta di una terribile responsabilità che il mondo “liberal” si prende verso queste generazioni tenute per anni a stretto regime antiberlusconiano e ora, nella loro assoluta dipendenza,  pronte ad essere manipolate a piacimento. Come altro si spiega il fatto che centinaia di giovani si mettano il bavaglio rituale per difendere l’apparato politico-industriale-editoriale dall’ipotesi di pagare una multa se violano una legge dello Stato?

E tutto ciò mette ancor più paura perché nel disegno che si dipana dalla questione intercettazioni non vi è alcuna grandiosità,  per quanto nera o perversa,  non ci sono orizzonti palingenetici per quanto fraintesi, non c’è vera purificazione. C’e solo, come sempre, il piccolo, misero cabotaggio  di gruppi di interesse (giudiziario-editoriale-politico) che cercano una qualche via d’uscita dal berlusconismo. E la cercano ovunque, tranne che nelle urne, dove continuano a non trovarla.
E la dimostrazione lampante di questo è il fatto inoppugnabile che una legge simile, forse anche più severa, venne approvata dalla Camera il 17 aprile 2007 alla quasi unanimità (4 astenuti). Era firmato da Clemente Mastella, Giuliano Amato e Tommaso Padoa-Schioppa. E non c’erano in piazza bavagli, non c’era attentato alla libertà, non c’era via libera alla mafia alla mafia e alla camorra. C’era Prodi e non Berlusconi.

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