lunedì 14 giugno 2010

Se il vecchio sindacato non cambia pelle, povera Italia.

man_and_watermirror La Fiat è pronta a investire 700 milioni di euro per trasferire la produzione della Panda dalla Polonia all’impianto di Pomigliano d’Arco. Chiede in cambio al sindacato di aumentare i turni, ricorrere agli straordinari, scoraggiare ogni forma di assenteismo.
Con questi chiari di luna, con la cronica mancanza di investimenti nel Meridione, tutti penserebbero che i sindacati abbiano subito detto sì. E invece l’organizzazione dei sindacati metalmeccanici della Cgil ha finora respinto ogni ipotesi di accordo. All’ultimo momento è intervenuto il segretario della Cgil Epifani che si è accorto di quanto pernicioso potesse essere questo no. Siamo pronti a discutere sulle regole, dice la Cgil, mentre tutta l’opposizione di sinistra spinge a favore dell’accordo, convinta che un no sarebbe un colpo mortale al sindacato.

In questa vicenda si rivela tutta la fragilità e l’arretratezza del nostro sistema sindacale: le vecchie tradizioni massimaliste, il vecchio concetto di cinghia di trasmissione con la classe operaia che sta scomparendo, il disagio crescente di fronte all’avanzata del Popolo della Libertà e della Lega in tutte le fabbriche. Certo, se il sindacato dovesse dire no a un accordo che rimette in moto il più grande impianto della Campania, di una regione disastrata, sarebbe un disastro per tutto il Paese. Si spera perciò che prevalga la ragionevolezza. Oltre che discutere sulle regole, sarebbe bene però aprire un dibattito sul modello di sindacato che si vuole raggiungere nell’anno 2010. I turni duri e gli scioperi limitati che chiede la Fiat fanno parte ormai di un concetto completamente nuovo, quello della economia sociale di mercato. Così dovrebbero regolarsi in futuro le relazioni tra imprese e lavoratori: poche regole comuni all’interno dei contratti nazionali, tutto il resto delle regole demandato a contratti locali, settoriali, aziendali.

Soltanto in questo modo si potrà aumentare la competitività delle nostre imprese per metterle in grado di reggere la concorrenza sui mercati internazionali. E questa prospettiva è tanto più importante, se si pensa che proprio in queste settimane sta ripartendo la produzione industriale frenata dalla crisi globale dell’economia. Se il sindacato, nella sua componente più dura e intransigente, non farà di tutto per aprirsi al nuovo, l’Italia è destinata a rimanere per lungo tempo ai margini dello sviluppo.

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