mercoledì 23 maggio 2012

Si chiude e si cambia



Casola Valsenio

Da oggi, 23 maggio 2012, cambia il modello comunicativo del Pdl di Casola Valsenio: cambia nella forma e forse anche nella sostanza.


Per meglio corrispondere alle nuove necessità il sito viene riorganizzato attraverso moduli dinamici che dovrebbero consentire un uso interattivo migliore e che sembrerebbero rappresentare il futuro della comunicazione in movimento.


Ma il cambiamento in casa Pdl dovrà puntare soprattutto al cuore dei tanti problemi di rappresentanza politica e alla non rinviabile mutazione delle leadership a Casola, a Ravenna, a Bologna, a Roma perché la stagione che si preannuncia non sembra destinata a concedere sconti nei confronti di tutti noi - io per primo - che siamo il prodotto di tempi e di modi irrimediabilmente trascorsi e non più oltre proponibili.


Fabio Piolanti

***


Questo sito non subirà aggiornamenti.
Il nuovo sito sarà raggiungibile a questo indirizzo:  http://pdlcasolavalsenio.blogspot.it/

martedì 22 maggio 2012

E ora la Lombardia è rossa come l’Emilia

lombardiaL’anno scorso Milano, ora tutta la Lombardia. PdL e Lega sono stati letteralmente cacciati dalla loro storica casa, quella terra che tante soddisfazioni (elettorali) ha sempre dato ai partiti di Berlusconi e Bossi.

Le sconfitte sono pesanti: la sinistra si prende tutto, o quasi. Con risultati umilianti. Le percentuali di voto sono quasi da terra rossa: la Lombardia sembra l’Emilia. PdL e Lega perdono Monza, Como, Tradate, Lissone, Meda, Abbbiategrasso, Arese, Buccinasco, Garbagnate, Legnano, Magenta, Melegnano, San Donato Milanese, Senago, Desenzano, Palazzolo sull’Oglio, Castiglione delle Stiviere. Tutte città che passano da una amministrazione di centrodestra ad una di centrosinistra.

In alcune realtà locali si tratta di una vera e propria svolta epocale. Lissone, per esempio, non si trovava con un sindaco di sinistra dal 1946. Tutta la Lombardia, comunque, si colora di “rosso”. E il centrosinistra ora può pensare in grande: il governo della Regione. Ora è possibile.

Le capriole del giullare che volle farsi re

Per anni hanno detto che i politici erano dei buffoni e poi hanno messo un comico a fare il politico. Massima delle perversioni. Il vincitore è lui. Sulle ceneri dei partiti rimane in piedi solo un comico.
Che se la ride. Perché ha vinto. Per sottrazione, per assenza, ma anche per capacità. I grillini hanno parlato alla gente e hanno saputo farlo con il mezzo più pervasivo ed economico: la rete.
Lui è sempre stato se stesso, con le mille contraddizioni che mette in piazza e sul web. Fa l’ecologista ma girava in Porsche, la domenica è in Costa Smeralda come un vip qualunque e il lunedì fa le barricate assieme ai No Tav, mette alla gogna tutti i politici in attesa di giudizio e lui è condannato in via definitiva per omicidio colposo, si spaccia per vate del web e fino a dieci anni. A seconda dell’opportunità e della convenienza. Disinvolto nel cambio delle idee come un attore che alterna gli abiti di scena. Una recita infinita. Dal palco dell’Ariston al Transatlantico. Prima per vederlo bisognava prendere il biglietto al botteghino ora basta la scheda elettorale. Voti al posto di audience, elettori invece che spettatori.
Per molti anni è stato un cortocircuito, ma ora smettiamola di chiamarlo comico, ché la sua è l’arte della vecchia politica. Il passaggio definitivo, il punto di non ritorno è stata proprio questa campagna elettorale. Beppe Grillo si fa prestare un camper e parte per un estenuante tour di comizi attraverso i 102 comuni in cui il Movimento 5 Stelle presenta le sue liste. E si esibisce, si concede senza sosta al suo pubblico, ai suoi elettori, che affollano piazze e piazzette per sentirlo parlare. Gratis. Per la prima volta. Grillo è un genovese astuto e un artista che sa gestire alla perfezione la sua popolarità. Non dilapida una carriera per nulla, non satura il mercato dei suoi potenziali spettatori per un piatto di trofie al pesto. Sondaggi alla mano, Grillo ha scelto: il suo futuro senza ritorno è la politica. E via a macinare migliaia di chilometri, vedere centinaia di facce, stringere chissà quante mani. In ogni posto dice la parola giusta e recita una parte differente. Nelle regioni rosse squaderna idee progressiste, nelle enclave berlusconiane fa il liberista e si lamenta dell’oppressione fiscale. La Lega trema sotto lo scandalo dei rimborsi elettorali e lui si presenta a Varese più verde che mai: Bossi era un grande, ma il marcio della politica lo ha corrotto. Dove c’è un vuoto Grillo si infila, dove c’è una domanda lui arriva con la risposta compiacente e se c’è già la risposta lui completa il rebus con la domanda. In Veneto flirta con la Lega e in Sicilia dice che Equitalia è peggio della mafia. Grillo non è un politico, ma un geopolitico. Cambia idea a seconda delle latitudini.
Se Grillo è un politico, il M5S è un partito e, come tale, patisce tutti i problemi dei suoi simili. Parlando con il popolo stellato emerge una certa insofferenza al dispotismo del leader. Beppe Grillo è ingombrante, sotto tutti punti di vista. Il suo carisma e la sua popolarità, che in fase di decollo hanno fatto da propellente al movimento, ora rischiano di arrestarne la corsa. Il M5S è uno Space Shuttle sparato nello spazio e Grillo rischia di essere il serbatoio di benzina che, una volta oltrepassata l’atmosfera, viene sganciato e lasciato cadere a terra.
Ai grillini non piacciono gli editti del nonpiùcomico: dalle espulsioni ai divieti perentori. Innanzitutto quello che impedisce a tutti i militanti di partecipare ai talk show. Tutti meno uno, che ovviamente è Grillo.
A Garbagnate Milanese, prima di mettersi a concionare sul palco per sostenere il suo candidato al ballottaggio, si è regalato un’intervista di due ore con la Cnn. Sono i privilegi del capo, ma è anche l’ennesima contraddizione. Ora che molti suoi uomini siedono nei «palazzi del potere» non può pretendere che rinuncino alla televisione. Sono rappresentanti dei cittadini e con loro devono confrontarsi.
All’interno del partito sono già in molti a fare la fronda e puntare il dito contro Gianroberto Casaleggio, l’uomo che ha convertito Grillo al web e che gestisce la comunicazione dell’artista e del movimento.
Tutte le pratiche passano dalle mani della società di Casaleggio e i grillini duri e puri, quelli che lottano per la partecipazione diretta, non ci stanno. Non si può essere alfieri della democrazia senza averla al proprio interno. Non si può pretendere la trasparenza delle istituzioni pubbliche e poi decidere a porte chiuse il destino di un partito che pretende di essere «collettivo». Sparse nella rete, sui blog e nelle chat di area, si moltiplicano le richieste di maggiore indipendenza dal capo. I grillini crescono e hanno bisogno dei loro spazi. Tira già aria di parricidio?
Adesso il Movimento è la proiezione del corpo di Beppe Grillo, della sua furia iconoclasta, delle sue provocazioni, della sua figura parlata e vissuta da una voglia irrefrenabile di stupire, catalizzare e, certo, cambiare. Ma dietro il «capo», oltre quelle sei lettere e quelle cinque stelle stampate sul simbolo del movimento, ci sono migliaia di iscritti che rappresentano la nemesi del loro leader. Sono moderati, spesso preparati, non urlano e non amano le luci della ribalta. A differenza di Grillo.
Lui, ora che da distruttore è rapidamente passato al ruolo di «costruttore», si deve rassegnare: è un politico e deve accettare la grammatica della politica. Pochi giorni prima delle elezioni arriva anche l’incoronamento simbolico. Nel pantheon degli Sgommati, il programma di satira politica trasmesso da SkyTg24, fa la sua comparsa il pupazzo di Grillo. Il comico che prendeva per il culo i politici ora viene sfottuto dai comici in quanto politico. Il cerchio è chiuso.

da Il giornale

lunedì 21 maggio 2012

Ballottaggio: Grillo prende Parma

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La vera sorpresa del ballottaggio non è la sconfitta globale del Pdl, ormai data per scontata, ma l’affermazione poderosa del Movimento 5 Stelle.

La prima valutazione a caldo è che sembra si stiano riposizionando migliaia di voti e che l’astensione assuma connotazioni politiche di primo piano.

Se poi questa è la novità in grado di salvare l’Italia, è tutto da dimostrare, perché le parole di Grillo pesano come pietre

I nostri soldi

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Una nomina esemplare per capire come il Pd ravennate gestisca le società pubbliche in barba ad ogni competenza tecnica

presentazionecartaSarà Paolo Pirazzini, consigliere provinciale del PD ed ex Sindaco di Fusignano, il nuovo presidente di Ravenna Farmacie. Il consigliere provinciale , è stato nominato dal sindaco di Ravenna che ha comunicato la notizia ai gruppi consigliari.
A Pirazzini mancano i titoli professionali adeguati: dal curriculum presentato da Pirazzini, si evince come titolo di studio la licenza media e come professione il rapporto di lavoro di dipendente del PCI/PDS/DS dal 1975 al 2004 e poi da Legautonomie dell’Emilia Romagna (associazione di comuni nella quale il partito stesso ha un ruolo predominate).
Il resto è costituito dai più svariati incarichi politici. Il retroscena politico della nomina è da ricercare nello scorso anno quando fu indicato dal PD per assumere la carica di presidente del consiglio provinciale ma dovette lasciare il posto a Gabriele Rossi dell’IDV”.
Tutte le nomine nelle società a capitale partecipate dal comune sono di competenze del Sindaco, che tuttavia non può scegliere chi gli pare, dovendo osservare gli indirizzi approvati dal consiglio Comunale. Nel caso specifico l’illegittimità deriva dall’evidente contrasto con l’art. 3 degli indirizzi deliberati. Il curriculum di Pirazzini, infatti, non mostra traccia di competenze e professionalità nel settore farmaceutico.
Il compenso è di “soli” 20 mila euro annui sensibilmente ridotti rispetto ai 43 mila euro del precedente mandato. Questa retribuzione corrisponde allo “stipendio” che avrebbe preso come presidente del consiglio Provinciale: una pari e patta che compensa il posto dato all’IDV.
Questa è la logica della sinistra che spadroneggia su Ravenna:  fatti più in là, ma il posto non si perde mai, come ben sanno l’ex assessore Giangrandi, l’ex presidente del consiglio, e tanti, tanti altri che si sono succeduti nel tempo.

Ravenna Farmacie
Nata da una delibera del Consiglio Comunale di Ravenna con la denominazione "Azienda Speciale Farmacie Comunali Ravenna", nel 1970 iniziò l'attività con la gestione delle prime quattro farmacie.
Dal 1970 ad oggi le farmacie sono diventate sedici e le attività si sono notevolmente ampliate in un ottica di diffusione capillare del servizio farmaceutico e di attenzione ai bisogni della collettività.
Nel luglio del 2005 avviene la trasformazione da Azienda Speciale in S.r.l con la nuova  Ragione Sociale : "Ravenna Farmacie S.r.l.".
Oggi l'Azienda vanta una gestione attiva con un fatturato di circa € 57 milioni   e 135 dipendenti, e gestisce direttamente un importante magazzino farmaceutico che garantisce forniture su tutto il territorio provinciale e zone limitrofe quotidianamente.

venerdì 18 maggio 2012

… e così nacque il Governo di Mario Monti

genesidi Sandro Bondi
Chi voglia capire quello che è accaduto in Italia con la formazione del governo Monti, nel quadro della crisi economica che colpisce tutta l’Europa, deve assolutamente leggere l’ultimo libro di Giulio Sapelli, L’inverno di Monti. Il bisogno della politica (editore Guerrini e Associati). Sulla base della mia esperienza diretta di membro del governo Berlusconi e di dirigente del Pdl non posso che confermare l’analisi di Sapelli.
La griglia interpretativa fondamentale di questo saggio è, storicamente, il rapporto tra nazionale e internazionale, tra nazione e questione internazionale. Sapelli cita Helmut Schmidt per ricordare che la “democrazia cristiana ha tradito il messaggio dei suoi padri fondatori e ha posto la Germania prima dell’Europa e non l’Europa prima della Germania”. L’unificazione tedesca del secondo dopoguerra del Novecento rappresenta, secondo Sapelli, “il ritorno dell’assoluto nella storia europea: un assoluto conflittuale e non pacifico, anche se solo - fortunatamente – con le armi dell’economia”. Al disegno di Kohl, che voleva l’unificazione della Germania, la Francia di Mitterand e l’Italia di Andreotti opposero l’euro, “per tentare di amalgamare il blocco tedesco nella pozione bollente del brodo europeo”.
L’esperienza successiva ha dimostrato però che l’euro è divenuto “una sorta di rete che imprigiona e impaccia in ogni movimento tutte le nazioni europee, sotto l’usbergo di una banca centrale tedesca piuttosto che europea”.
L’origine della crisi sta tutta qui: in moneta unica e in una burocrazia europea costruite su misura degli interessi della Germania a scapito delle economie più deboli, oltretutto in mancanza di uno spazio di governo politico che contempli la pari dignità degli Stati membri.
Rispetto a questo quadro generale, Giulio Sapelli individua con esattezza la ragione per cui, durante il governo Berlusconi, si spezza il nesso tra nazione e internazionalizzazione. Questo nesso si spezza perché il blocco sociale rappresentato dall’alleanza di centrodestra è il più “antitedesco” che si possa immaginare.
Con il governo Berlusconi si allarga la forbice tra la macro rigidità monetaria, imposta all’Europa dal modello e dagli interessi tedeschi, e la micro-flessibilità dell’economia reale, rappresentata dalla specificità e dal dinamismo dell’economia italiana. L’Autore mostra molto bene come Berlusconi cerchi di uscire dalla tenaglia dell’egemonia tedesca, con tre “magistrali operazioni”:
il legame organico con la destra repubblicana nordamericana;
il legame con la Russia di Putin; il legame con gli stati dell’Africa del Nord;
l’alleanza con la Francia.
Anche a prescindere dal venir meno di alcuni di questi ancoraggi politici, Sapelli sottolinea il ruolo negativo svolto dalle “bizzarrie” di Giulio Tremonti (“fiduciario della signora Merkel”), che, anche sulla base della mia esperienza, risulta effettivamente essere stato uno degli elementi di maggiore debolezza della strategia perseguita da Silvio Berlusconi sul piano interno e internazionale.
Rispetto a questo scenario, Monti entra in scena, secondo il modello costituzionale del “dictator” della storia romana, in quanto rappresentante di un blocco organicamente europeo: grandi banche, grandi scuole internazionali di business, grandi società di consulenza.
Le valutazioni finali di Sapelli sono tanto lucide quanto allarmanti: l’intrinseca debolezza di Monti deriva proprio dall’essere rappresentante di questi interessi “organicamente europei”; la politica appare stremate e perciò incapace di opporsi al potere misto tecnocratico-parlamentare emerso dalla crisi internazionale; la soluzione della crisi potrebbe venire solo dalla capacità di rinegoziare il trattato di Maastricht e lo statuto della Banca Centrale Europea allo scopo di ampliare le aree di micro flessibilità nazionali e di ridurre tutto quello che è possibile della macro-rigidità monetaria sovranazionale; infine l’angosciata convinzione secondo cui non è escluso che l’era delle dittature europee sia chiusa per sempre!

mercoledì 16 maggio 2012

I nostri soldi

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Quattro scenari per Italia ed euro. Viva Herbert Spencer, e il suo aureo libretto

herbert-spencer-1Purtroppo, il caos monta ancora. La politica europea mette in scena in queste settimane una bizzarra coincidenza. I guasti dell’euromeccanismo non sono affatto rappresentati dal rigore “imposto” dai tedeschi, come oggi si grida. Bensì dal fatto che al necessario rientro delle finanze pubbliche più squilibrate non sia stato affiancato un tangibile strumento di cooperazione tra euroforti ed eurodeboli, appianando nel tempo gli squilibri nelle bilance dei pagamenti e unendo i mercati dei beni, dei servizi e del lavoro, cosa che inevitabilmente alzerebbe la quota di reddito e prodotto procapite a favore degli eurodeboli a minor costo (è un meccanismo che varrebbe per gli “altri” eurodeboli, non per l’Italia ma questo è un altro paio di maniche, la colpa del massimo salario lordo in presenza del minimo netto è del nostro Stato, non dell’euro).

In tale situazione, la coincidenza bizzarra alla quale assistiamo è quella tra illuminati – o sedicenti tali – e pazzi furiosi.Gli illuminati o sedicenti tali – da monsieur Hollande a Frau Kraft in Renania del Nord-Westfalia, dal leader greco di Syriza Alexis Tsipras a tutti i capipartito italiani, da noi non c’è differenza in questo tra vecchia destra e vecchia sinistra – brindano al santo ripudio del rigore, espresso dalle urne e dalle vittime sociali della crisi. Ma propongono spesa pubblica, non dicono ai loro elettori che per difendere l’euro occorre unire i mercati e che tutti accettino più concorrenza a casa propria del famigerato – ricordate l’abortita direttiva Bolkenstein? – “idraulico placco”.
Con questo atteggiamento, checché dicano i media al servizio delle élite stataliste, la loro ricetta è identica a quella che gonfia le vele di leader e partiti populisti antieuropeisti e nazionalisti, si tratti di Marine Le Pen e di Melenchon in Francia, del Partito della Libertà in Austria come in Olanda, o di Alba Dorata in Grecia, o di Jobbik in Ungheria.

Dal punto di vista iper-minoritario della mia scuola austriaca, si avvera un triste presagio inascoltato di grandi europei del secolo scorso, come Röpke e Hayek. Nessuno di loro negava la base e il valore di schemi assicurativi sociali pubblici che hanno costituito i pilastri del welfare moderno. Semplicemente ed energicamente, mettevano però in guardia dall’eccesso incrementale insito in ogni macchina pubblica autoreferenziale, esclusa da indici verificabili di produttività e sostenibilità nel medio-lungo periodo. I rischi di un’estensione incontrollata del bilancio pubblico sarebbero stati di un duplice ordine: per il peso delle tasse, e per la stessa libertà.
E’ puntualmente avvenuto. Ma dopo decenni di continua crescita della spesa corrente a cui la politica ha adeguato le tasse solo con strappi diluiti nel tempo, quando il deficit andava fuori controllo e il debito pubblico esplodeva, oggi in Italia innanzitutto e insieme in mezza Europa risulta difficile alla politica ammettere che la colpa è tutta sua. Si preferisce prendersela ad arte con un nemico esterno. L’intransigenza tedesca si presta purtroppo bene alla bisogna.

Rileggiamo quanto scriveva Herbert Spencer, dalle cui Social Statistics - probanti l’avanzamento del reddito anche per i ceti più bassi nel regime di libero mercato e concorrenza – Alfred Marshall derivò la base materiale dei suoi Principi di economia, che a tutt’oggi bastano e avanzano per respingere ogni pretesa di fallimento intrinseco del capitalismo: “Misure di tipo dittatoriale, in rapida moltiplicazione, hanno provocato una contrazione delle libertà individuali; e questo in due modi. Nuove norme, varate in numero crescente ogni anno, hanno vincolato i cittadini in direzioni lungo le quali, un tempo, le loro azioni non erano state limitate, e li hanno forzati a compiere azioni che un tempo potevano fare o non fare, come a loro aggradava; e contemporaneamente oneri pubblici sempre più rilevanti, soprattutto a livello locale, hanno ulteriormente ristretto le loro libertà diminuendo la parte dei loro guadagnai che possono spendere a loro piacimento e aumentando quella che viene loro sottratta per essere spesa come piace alle agenzie pubbliche”. Il libro da cui è tratto si intitolava programmaticamente The man versus The State, cioè L’uomo contro lo Stato, ed era il 1884.

Alla domanda “come vedi l’exit strategy per l’euroarea in questo nuovo casino?”, Bracy Bersnak, liberale a tutta prova che insegna al Christendom College a Port Royal, nella valle dello Shenandoah in Virginia, ha risposto in un modo secco e chiaro, che condivido integralmente.

Ci sono quattro alternative, che possono anche naturalmente mischiarsi e sovrapporsi tra loro.
La prima via è quella dell’austerità volontaria. Ci sia l’euro o meno, le finanze pubbliche nazionali vanno rimesse in linea secondo il principio della più bassa spesa socialmente efficiente compatibile con un fisco più leggero, favorevole alla crescita. La via seguita dalla Polonia fuori dall’euro, dai Paesi baltici Estonia Lituania Lettonia. Occorre una forte e motivata leadership politica, per reggere alla protesta che si scatena prima che i benefici della maggior crescita si manifestino.

La seconda è quella dell’austerità imposta. Fino a questo momento, quella imposta da Bruxelles e Berlino non si mostra capace di consensi. Ma poiché se la Grecia esce dall’euro l’uscita di altri eurodeboli non è questione di giorni ma di mesi, allora bisogna stipulare un nuovo euroaccordo capace di unire il vincolo esterno a un meccanismo cooperativo tra eurodeboli ed euroforti. Tradotto: se esce l’Italia la Germania ci perde troppo, e bisogna negoziare su questa base.

La terza è la via del ripudio dei debiti. Chi volesse seguirla, deve sapere che la botta per redditi e patrimoni è bestiale. Può essere obiettivo di forze antisistema che mirino ad addossarne la colpa a chi ha governato prima, per tagliargli sotto i piedi ogni possibilità di consensi futuri. Ma esporrebbe comunque ciò che resterebbe dell’euroarea a fughe di capitali e attacchi speculativi che non risparmierebbero la Francia, per dirne una.

La quarta via è quella dell’impotenza. Nuovi ribaltamenti di governi oltre a quelli già avvenuto in due terzi d’Europa, nuovi rinvii di decisioni invece indilazionabili.

La via preferita da chi qui scrive per l’Italia è la prima. Ci sia l’euro, oppure no. La nostra spesa pubblica e il nostro fisco rendono la loro difesa improponibile, da un punto di vista logico. Ma sinora, nella stanza dei bottoni italiana o meglio in quel che ne resta,destra sinistra e tecnici l’hanno sempre pensata diversamente.

Oscar Giannino
www.chicago-blog

lunedì 14 maggio 2012

Questa sera il consiglio comunale di Faenza è chiamato ad approvare l’incredibile aliquota del 5,8 per mille di Imu sulla prima casa. Seguitelo in diretta

Questa sera si riunisce il Consiglio Comunale di Faenza che tra l’altro è chiamato a dibattere e deliberare l'entità delle aliquote IMU 2012 che la Giunta propone per la prima casa al 5,8 per mille (Casola è al 4,5).
Poiché, a differenza di quanto avviene a Casola li è possibile seguire il dibattito in diretta streaming e il sindaco non si sognerebbe mai di togliere la parola ai consiglieri come incredibilmente succede da noi, consigliamo di verificare la diversa qualità e la diversa considerazione dei lavori consigliari  assicurata dal Sindaco Malpezzi.cc faenza

Ciò non toglie tuttavia che – come giustamente rileva www.faenzanet.it – l’Imu al 5,8 sia una vera e propria mostruosità, un salasso assoluto ai danni dei cittadini, dato che con un simile valore (il governo Monti ha introdotto un aliquota del 4 per mille) i faentini verrebbero a pagare sulla loro casa d'abitazione cifre che sono il doppio/triplo di quanto versano i proprietari di case identiche in altre città vicine.

Nessun Comune della provincia ha valori tanto elevati ed in Regione è difficile trovare casi analoghi degni soltanto di Enti con conti allo sbando e deficit ingovernabili, il tutto compiuto senza la minima equità.
Sul sito www.faenzanet.it si possono trovare ulteriori dettagli, esempi ed approfondimenti su questo tema che è destinato a toccare il già disastrato portafoglio di tantissimi faentini.

Stasera tra l’altro sarà possibile seguire in diretta sul web la discussione in Consiglio Comunale verificando se la politica dei partiti avrà la meglio sui cittadini (e sul buon senso) tramite una ferrea disciplina di partito, oppure se - per una volta almeno - i consiglieri comunali eletti ragioneranno con la propria testa rifiutando le forzature di chi vorrebbe considerarli solo come pedine numeriche chiamate esclusivamente ad alzare una mano per ratificare decisioni assunte da altri.

Dal 1 Gennaio 2012 totale eliminazione dei certificati nei rapporti cittadino-pubblica amministrazione

cerificatiDal  1° gennaio 2012  è fatto divieto alla pubbliche amministrazioni (Ministeri, Regioni, Province, Comuni, Scuole, Università, Prefetture, Questure, Camere di Commercio, INPS ecc) e gestori o esercenti di pubblici servizi (Enel, Poste, Ferrovie, ecc.) richiedere certificati a cittadini ed imprese.

Si afferma definitivamente il principio che, nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, i certificati sono completamente eliminati e sostituiti sempre dalle autocertificazioni, mentre le certificazioni rilasciate dalla Pubblica Amministrazione restano valide solo nei rapporti tra privati.
Ciò premesso, i certificati che verranno rilasciati dal Comune resteranno validi solo nei rapporti tra privati e recheranno, a pena di nullità, la seguente dicitura:
“Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della Pubblica Amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi”.

Alle amministrazioni pubbliche e ai gestori di pubblici servizi verrà quindi lasciata esclusivamente la scelta fra l’acquisizione d’ufficio delle informazioni, dei dati e dei documenti o l’accettazione delle autocertificazioni prodotte dai cittadini e dalle imprese.
Va da sé che l’acquisizione d’ufficio perché possa essere effettuata debba essere preceduta, da parte dell’interessato, dall’indicazione degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti.

Io sono l’opposizione

Valenti

Documento del coordinamento provinciale del Pdl dopo le elezioni di maggio

200px-Il_Popolo_della_LibertàIl coordinamento provinciale del pdl, riunitosi in data 11 maggio 2012, dopo aver esaminato il quadro politico emerso alle elezioni amministrative di Riolo Terme ha svolto un’analisi del voto per quanto avvenuto in ambito nazionale prendendo atto della notevole flessione subita dal pdl pur tenendo conto dell’aumentato numero di coloro che non sono andati a votare nonché dell’aumento delle schede bianche e nulle. al termine, su proposta del coordinatore provinciale Alberto Ancarani e del vice Paolo Savelli, ha approvato il seguente documento.
Non può soddisfare l'affermazione che la somma dei voti riportati da pdl e liste civiche ad esso riconducibili raggiungerebbe il 28%. Il pdl sta attraversando un periodo di notevole difficoltà e la caduta di consenso appare invece una diretta conseguenza di un sempre maggiore distacco del partito dai cittadini e dagli elettori.
Il coordinamento provinciale di Ravenna ritiene che i vertici nazionali del partito non possano continuare ad enunciare proclami senza darvi poi un seguito sia per quanto riguarda la vita interna del partito sia per quanto riguarda il rapporto con il governo Monti.
I cittadini chiedono un rinnovo dei contenuti da un lato, e dei metodi dall'altro che riconducano il partito a quella sobrietà necessaria a dimostrare che i sacrifici richiesti da un governo da noi sostenuto ricadono su tutti e non solo sui soliti noti.

Per quanto riguarda la stessa vita interna del partito, è evidente che sebbene si tratti di liturgie sempre meno comprensibili dai cittadini, la celebrazione dei congressi provinciali, non seguita da quella dei congressi comunali, con dei vertici regionali da tempo mummificati e privi di un legame concreto con le loro realtà regionali (come ad esempio conferma il risultato conseguito dalle liste e dai candidati del pdl a Parma, a Budrio e a Comacchio) appaiono un'opera incompiuta che non può essere solamente risolta con operazioni di restyling quali cambi di denominazione del partito e similari.
Lo stesso rapporto con il governo Monti che, pur rappresentando a detta di tutti l'unica soluzione possibile in questo momento, finora ha assunto solamente provvedimenti del tutto contrari a quanto da sempre affermato dal pdl come ad esempio l'introduzione dell'imu e l'esagerato aumento della pressione fiscale, nonché la gestione del tema dell'articolo 18, va fortemente rivisto.
I cittadini e gli elettori si aspettano un netto cambio di marcia per quanto concerne la ripresa economica, attualmente non possibile in quanto non può esservi un aumento dei consumi interni per le diminuite risorse dei cittadini stessi e delle famiglie. con i costi dei servizi in perenne aumento (benzina, gas, Enel) senza che non si verifichi alcuna sostanziale e concreta riduzione delle spese della macchina pubblica non si risolvono i problemi di questo paese.
Ed in questo contesto non appaiono giustificati i ritardi in materia di abolizione delle provincie, di abolizione dei rimborsi elettorali, di riduzione dei compensi dei grandi manager e dei benefici di parlamentari e di alte cariche dello stato comprese quelle giudiziarie, per non parlare del finanziamento alla stampa di partito.

Il coordinamento provinciale esprime l'indirizzo al coordinatore provinciale e al suo vice vicario di rendere noti quanto prima al presidente Berlusconi e al segretario Alfano i contenuti del presente documento. esprime altresì l'indirizzo di rendere pubblico tale documento."

domenica 13 maggio 2012

Bisogna unire centro e destra, tutti per l’Italia: i tenori della destra e i falchi vogliono rompere con Monti. Ci sono le condizioni? Si può fare una rivoluzione antieuro? No. E allora?

unireLady spread rialza la testolina minacciosa. I greci e gli spagnoli ci mettono del loro. In questa situazione i tenori della destra come Feltri vogliono che Berlusconi rompa con Monti. I falchi del Pdl vogliono la stessa cosa. Girano tutti come trottole impazzite intorno a quanto è noto. Se nessuno trascina il popolo delle libertà da qualche parte con un po’ di sale in zucca, con qualche ragione identitaria legata al paese in cui abitiamo, e questa si chiama linea politica, il popolo sta fermo ai dati certi: Berlusconi aveva vinto le elezioni e il suo governo si è disfatto per lasciare il posto a un usurpatore che mette le tasse e parla difficile, l’euro porta male al portafoglio e al patrimonio immobiliare, l’austerità finanziaria non è la via per rilanciare l’Italia e l’Europa, e giù fischi. Ecco, potrei dire che sono d’accordo. E perfino che sono d’accordo da prima, da quando sostenevo le elezioni sotto la neve. O da prima ancora: da quando scrivevo e dicevo, regnante un molto distratto Berlusconi e ghignante un molto austero Tremonti, che bisognava frustare l’economia e arginare lo strapotere tedesco sul governo della moneta unica con una strategia espansiva fondata alla fine su una cosa sola, il potere della banca di Francoforte di battere moneta accoppiato a riforme strutturali per decreto e a misure di abbattimento del debito sulla linea indicata con una certa chiarezza dai mercati e dallo spread.

Non abbiamo, in questo giornale, aspettato nemmeno l’avvitamento della fine degli anni zero, con le manovre a rotta di collo per fronteggiare le varie crisi venute prima dall’America della bolla del real estate o dei titoli spazzatura e poi dall’Europa dei titoli pubblici, chiedevamo fin dalla vittoria elettorale del 2001 di governare in deficit la crisi, e la base era la riduzione della pressione fiscale, sempre con misure che facessero fare agli italiani, a questa economia indolente e furba che non investe e consuma e spende al di sopra delle sue forze, uno sforzo di competitività e di produttività gigantesco. La questione è lì. Rompere questo equilibrio precario, e andare contro Monti, sarebbe possibile soltanto se potessimo parlare la lingua di Paul Krugman e di Tim Geithner (vedi rubrica delle lettere): no a misure recessive di tipo tedesco, sì a misure espansive di tipo americano. Figuriamoci: dimostrateci che si può fare, e siamo più falchi dei falchi.

Ma non si può fare. Noi abbiamo subito il paradigma della Germania. Lo abbiamo subito troppo, ma alla fine la differenza tra noi e l’America è quella: da noi la moneta si difende con il moralismo spesso autodistruttivo della disciplina fiscale, anche in presenza di tendenze recessive che l’austerità incentiva a spirale, da loro si stampa moneta e si tengono basse le tasse, e non c’è moralista del deficit che sia capace, repubblicano o democratico, di imporre una stretta quando si è in distretta. Abbiamo appena approvato il pareggio di bilancio, firmato Berlusconi. O no? O sbaglio? O ho perso la Trebisonda e ho le traveggole?

Andiamo, via. Non facciamoci ridere dietro. Ci sono le condizioni per rompere il ciclo dell’euro, ne abbiamo la forza, ce la dà Hollande questa forza? No, non ci sono. Siamo prigionieri di qualcosa che, vista la condizione assistita e parapubblica di tanta parte della nostra economia di welfare, ha anche i suoi aspetti positivi, e quelli negativi oggi in bella evidenza si possono correggere solo con gradualità politica, nell’ambito di patti, fiscali o per la crescita, il cui senso è fissato da una Banca centrale che può immettere liquidità nel sistema, con molti mal di pancia di chi conta nell’economia europea, ma non può battere moneta e dissuadere i mercati dal ricattarci con la loro misura, spesso assai oggettiva, di quanto valiamo al cospetto dei debiti pubblici e di una produttività e competitività declinati nel mondo senza frontiere.

E allora, visto che la rivoluzione non si può fare, visto che ci tocca partire dal pareggio, addirittura in Costituzione, visto che facciamo parte di una carovana, la cura è, con tutti i correttivi indispensabili, quella di Monti e soci. Inutile spacciare illusioni. Inutile pensare che la questione delle tasse si ponga oggi come quella scelta che ieri era forse possibile tra modelli diversi di sviluppo dell’economia. Inutile prendere per il sedere la gente, perché alla fine il risultato di un’Italia che si ritira dai compiti a casa, che rompe l’equilibrio per un’alzata d’ingegno di Berlusconi, che fu l’autore della soluzione decisa a novembre insieme a Napolitano, sotto la sferza della Merkel, è la rovina di chi si ritira. Non è che alla fine sono tutti bamba, e tutti sono pronti a bersi che una rivolta oggi è un uovo migliore della gallina domani.

Dunque non si può. E allora? Come convincere gli elettori a votare e a votare con  discernimento? Come impedire una radicalizzazione patologica, un riprendere a darsele come prima, stavolta presumibilmente a parti invertite con un governo Vendola-Di Pietro-Bersani? Bè, non è così complicato. Casini ha capito che non becca un solo voto in uscita dal Pdl. Che il terzo polo serve a niente. Che a certe condizioni il suo rio destino, e cinico e baro, è quello di reincontrarsi con il mondo da cui fu scacciato (sbagliando). Berlusconi sfrutti il momentum, ma non strumentalmente, non solo per sbaragliare i suoi arcinemici che ardono dello stesso desiderio che infiamma i suoi amici tenori della destra e i suoi falchi, la rottura e la sconfitta elettorale più o meno a breve; sfrutti il momentum per fare un discorso di responsabilità politica agli italiani, per rimettere in piedi uno schieramento riformatore e liberal-moderato che, nel segno della continuità controllata con l’esperienza appena iniziata del governo Monti, dunque di una convergenza tra tecnica e politica, proponga e imponga un “tutti per l’Italia” che metterà in imbarazzo grave la sinistra di Vasto e la indurrà a più miti consigli. Per non parlare del lutto che metteranno i mozzorecchi di Repubblica e i manettari di tutte le risme. Il popolo, se guidato, seguirà.

Leggi La conversione di Casini di Salvatore Merlo - Leggi Le occhiaie di Monti di Annalena Benini - Leggi La tentazione dei vescovi: lanciare un’Opa sul Pdl per rifarlo da capo di Paolo Rodari

FOGLIO QUOTIDIANO

Giuliano Ferrara

sabato 12 maggio 2012

Hollande taglia i costi della politica in tre giorni. Bravo, ma il presidente francese ha i poteri che la sinistra non vuole riconoscere ai presidenti italiani

costiNon ha fatto neanche in tempo a finire la bottiglia di champagne, che il nuovo Presidente francese Hollande già prende le forbici e taglia i costi dei politici e dei dirigenti pubblici. A cominciare da se stesso.
Un decreto ridurrà del 30 per cento gli stipendi del capo dello Stato, del primo ministro e dei membri del governo. E non basta: Lo accompagnerà un secondo decreto, con il quale sarà stabilito un tetto alle remunerazioni dei dirigenti del settore pubblico.
Hollande ha infatti deciso di fissare una regola: la forbice salariale dovrà essere compresa fra 1 e 20. Per essere più chiari: un presidente e amministratore delegato di un’azienda pubblica non potrà guadagnare più di venti volte del suo dipendente meno pagato. Una roba tremendamente comunista. Tutto ciò, mentre il nostro governo prova oggi a far rientrare dalla finestra le pensioni d’oro dei manager appena uscite dalla porta e ancora si attende il decreto per l’adeguamento degli emolumenti dei dirigenti a quello del Presidente di Corte di Cassazione.

venerdì 11 maggio 2012

Ohoooooooooo

Nell’ultimo consiglio comunale abbiamo fatto molto, ma molto arrabbiare il nostro mite e bonario sindaco Iseppi. Per la verità quasi tutto quello che ci siamo permessi di sostenere in qualità di consiglieri comunali - non subordinati a lui e al suo partito - lo ha visibilmente alterato, ma c’è un argomento più di ogni altro che lo ha calato in una trance mistica: è la vexata quaestio dell’asilo nido.

Si ricorderà che sul finire del 2010, costretti da spese assurde e fuori controllo, gli amministratori casolani decisero, dopo anni di tormentate indecisioni, che le casse comunali non ce la facevano più a sopportare i costi del nido ormai superiori a 100mila euro per dare accoglienza neanche a dieci bambini.

Bene dicemmo, questa è la volta buona che mettiamo in pratica uno di quegli assiomi ricorrenti in tutti i proclami della sinistra: la razionalizzazione e l’ottimizzazione della spesa. Ohooooooooo!!
Bastava infatti accogliere la richiesta presentata dalla Parrocchia di Casola che si offriva di assumere la gestione integrale del servizio con una contribuzione comunale di circa 60mila euro. Troppo bello per essere vero e infatti quella timida proposta fu giudicata “troppo” di tutto: troppo ardita e temeraria, troppo inopportuna rispetto alle aspettative della mitica Zero Cento (quella della moglie dell’on Albonetti), troppo invasiva della laicità della scuola laica, troppo spostata come localizzazione per essere ancora identificata come scuola comunale… insomma troppo.

E naturalmente il nido fu affidato per metà alla Zero Cento e per l’altra metà mantenuto al comune con uno dei quei pastrocchi gestionali nei quali nessuno capisce più come si ripartiscono le spese tra compensazioni conguagli, rimborsi, integrazioni e così si possono facilmente oscurare i conti e impedire ai ficcanaso come noi di provare a capire.

Per aiutare la memoria ci permettiamo di rimandarvi alle considerazioni che allora facemmo e che insistevano sulla questione della spesa tutta giocata sul fatto che l’operazione messa su da Iseppi non avrebbe tenuto e che l’asilo nido in futuro non sarebbe costato molto di meno di quello che costava nel dicembre del 2010

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La facile profezia si è puntualmente avverata ed infatti i costi del nido nel 2012 come risultano dagli elaborati di bilancio sono ufficialmente di 96mila euro ma siamo consapevoli che questi conteggi non tengono conto delle spese scaricate sulla scuola materna statale pur essendo maggiormente attinenti al nido nè tengono conto delle spese strutturali e di investimento. Ragion per cui ci sentiamo di poter affermare che oggi il costo del nido è, come allora. superiore ai 100mila euro.

Per questo Iseppi non deve troppo arrabbiarsi se critichiamo la sua relazione al bilancio quando pomposamente enuncia che le linee guida per la redazione del bilancio di previsione 2012 sono state: ”Il contenimento della spesa di gestione di alcuni servizi fondamentali, senza tuttavia pregiudicarne la funzionalità

O no?!

Inconcludenti anche nella lotta per salvare i castagneti: gli agricoltori acquistano di tasca propria i lanci degli insetti antagonisti mentre la regione realizza un fallimentare centro di riproduzione a Imola contro il parere dei castanicoltori che lo volevano a Castel del Rio

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giovedì 10 maggio 2012

Un sindaco piccolo, piccolo

imgresIn un’aula, come sempre, semivuota si è svolto ieri – mercoledì 9 maggio – il dibattito consiliare per l’approvazione del bilancio 2012.
Per quei pochi che dimostrano ancora qualche interesse per l’amministrazione cittadina vale la pena ricordare che il voto del bilancio rappresenta l’atto amministrativo fondamentale nel governo del paese perché non vi sono altre funzioni consiliari di pari importanza.

In verità, il bilancio di quest’anno non si discosta da quello degli anni passati; ci misuriamo da tempo con bilanci poverissimi che lasciano margini decisionali ridotti, con poste che si sono via via ristrette ed oggi ogni euro rappresenta un patrimonio da centellinare con tutte le precauzioni.
Diciamo subito che l'unico documento leggibile per i non addetti ai lavori e per quelli che non vogliano spremersi troppo sulle astruserie della contabilità pubblica, è la relazione al bilancio predisposto dalla Giunta e per alcuni versi la relazione del revisore dei conti, sempre piuttosto chiara ed analitica

Anche il Gruppo Consiliare Pdl, Udc, Lega, Indipendenti utilizza e compie l’esegesi del documento accompagnatorio della Giunta per cercare di interpretare le intenzioni di coloro che i casolani hanno chiamato ad amministrare i nostri soldi, il nostro futuro e a costruire lo sviluppo della comunità. Così facciamo dal 2009 e così continueremo a fare fino al 2014.

La novità di quest’anno, già palesata in diverse occasioni, ma mai resa così esplicita, è stata l’insofferenza dimostrata dal sindaco ad ascoltare con il dovuto rispetto istituzionale anche le considerazioni della minoranza consiliare che ha contestato molti dei punti contenuti nella relazione ed ha cercato di argomentare le ragioni del proprio dissenso sulle scelte presentate da Iseppi. Scelte che ha ritenuto povere nella efficacia dei provvedimenti (non è grave) ma soprattutto frutto (ed è grave) di un metodo amministrativo involuto, privo in molti casi di trasparenza, elusivo e infarcito di ideologismi politici.

Insomma, ordinaria amministrazione se non fosse che, quest’anno il nostro sindaco ha cercato con veemenza di condizionare la discussione consiliare interrompendo a più riprese l’intervento del capo gruppo Piolanti in spregio, tra l’altro, dei suoi obblighi istituzionali di presidente e garante dei lavori del consiglio, tentando di utilizzare il regolamento per oscurare il dibattito e infine dando sfogo ad un crescendo di livore sfociato negli insulti personali.

Di fronte a questo modus operandi, reiterato e non casuale, il Capo Gruppo dell’opposizione Piolanti ha abbandonato l’aula consiliare in segno di protesta per denunciare e per evidenziare uno stile ed un comportamento che ha pochi precedenti nella realtà casolana e che non sarà dimenticato.

martedì 8 maggio 2012

Ciao Riolo, ci vedremo tra cinque anni, nel 2017, quando saranno passati 72 anni di amministrazione ininterrotta della sinistra.

riolo vittoria pd

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riusciremo mai a dimostrare anche ai cittadini dei nostri comuni che un modello diverso di amministrazione pubblica è possibile e soprattutto è utile e che l’alternanza è un valore?   Riusciremo mai?