lunedì 28 marzo 2011

Pdl e Lega Nord si presentano assieme alle elezioni per il Comune di Ravenna e per la Provincia di Ravenna

OLYMPUS DIGITAL CAMERA         Pdl e Lega Nord correranno insieme alle elezioni amministrative al Comune di Ravenna e alla Provincia di Ravenna. Venerdì sera è finalmente arrivata dal coordinamento regionale del Pdl la comunicazione ufficiale dell'accordo raggiunto. E' dunque è ufficiale: il candidato sindaco di Pdl e Lega per sfidare il candidato della sinistra Fabrizio Matteucci è Nereo Foschini. Per la presidenza della Provincia il candidato spetta invece alla Lega che ha scelto di mandare in campo Rudi Capucci. Sabato mattina, con una conferenza stampa, è stata data ufficialità all'accordo. “Non posso che dirmi soddisfatto per un obiettivo che ho perseguito fin dall'inizio, convinto che l'unico modo per battere la sinistra e la cappa di potere che ha ingessato lo sviluppo della nostra città e della nostra provincia sia mantenere l'alleanza che c'è a livello nazionale tra il nostro partito e il Carroccio” ha dichiarato Gianguido Bazzoni, coordinatore provinciale del Pdl.

Sposato con Annamaria, Nereo Foschini ha due figli e sei nipoti. E' stato direttore della sede dell'Inps di Lugo. Ha maturato un'ampia esperienza politica amministrativa. In politica fin da ragazzo, è stato dirigente della Dc di Ravenna e ultimo segretario provinciale del partito. Ispirato ai valori del cattolicesimo democratico, ha aderito prima a Forza Italia ed ora al Popolo della Libertà per continuare la sua opera in difesa dei principi di libertà, giustizia e dignità dell'uomo. Dirigente della Cisl, di cui ha fatto parte della segreteria provinciale di Ravenna, per dieci anni è stato consigliere comunale a Ravenna, poi amministratore dell'Usl 35 di Ravenna, vicepresidente dell'Assemblea dei Comuni, consigliere di amministrazione delle Farmacie comunali e dello IACP. Attualmente, dopo essere stato consigliere provinciale di Forza Italia e capogruppo in Consiglio comunale a Bagnara di Romagna, è assessore nello stesso Comune alle Attività produttive, Turismo, Relazioni esterne e Gemellaggi.

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sabato 26 marzo 2011

E’ un grave illecito esentare il PD dal pagamento della Tosap ed è sbagliato che il sindaco non riconosca questo abuso. Abbiamo inoltrato gli atti alla magistratura e alla corte dei conti e diffidiamo gli amministratori e i dirigenti del Comune dal perseverare in questo comportamento

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Da molti mesi stiamo chiedendo a quale titolo, il Comune di Casola esenti il Pd dal pagamento della Tosap nella concessione del Parco Pertini per svolgervi ogni anno la Festa del Partito. Si tratta di una tassa non da poco perché comporterebbe un introito per il comune di qualche migliaio di euro.

La TOSAP (la tassa per l’occupazione di suolo pubblico) deve obbligatoriamente essere pagata per le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate nelle strade, nelle vie, nelle piazze, nei parchi e comunque sul suolo appartenente al Comune o su suolo privato ma gravato da servitù di uso pubblico costituita nei modi e nei termini di legge.

Il sindaco nella sua risposta alla nostra interrogazione n. 21 del 27/11/2010 sostiene che la tassa non sarebbe dovuta per due ragioni: perché la concessione comunale eliderebbe l’obbligo della Tosap e perché i partiti ne sarebbero esentati.  Non è vera né la prima né la seconda motivazione come ben sanno gli organi tecnici e di validazione giuridica degli atti del Comune che abbiamo cercato di chiamare in causa ma che non si sono espressi.

In più occasioni la giurisprudenza ha precisato che l'esistenza di una concessione non vale ad escludere l'applicazione della tassa. In altre parole, il fatto che l'ente territoriale abbia concesso al privato di utilizzare uno spazio pubblico non esclude affatto che la sottrazione all'uso pubblico della superficie occupata avvenga per fatto del privato, o comunque su accordo tra il privato e l'amministrazione, e, soprattutto, nell'interesse del privato medesimo.
Nel sistema non si configura alcuna incompatibilità tra il canone di concessione e la tassa per l'occupazione del suolo pubblico in quanto trattasi di proventi assolutamente diversi, per natura e fondamento.
Da un lato, il canone ha natura patrimoniale, costituisce la controprestazione del godimento del bene ottenuto in concessione, e trova il suo fondamento giuridico nel rapporto bilaterale (anche se non paritario) che disciplina la concessione stessa.
D’altro canto, la tassa ha natura strettamente pubblicistica, e costituisce un'entrata di carattere tributario, imposta per legge in favore dell'ente pubblico territoriale ed a carico di tutti i soggetti che occupino spazi pubblici di pertinenza dell'ente stesso.
Già l’art. 18, del D.P.R. 26/10/72, n. 639 (nel sistema preesistente al nuovo regime normativo introdotto col D.Lvo n. 507/93) recitava che: “Qualora la pubblicità sia effettuata su beni di proprietà comunale o dati in godimento al comune, ovvero su beni appartenenti al demanio comunale, la corresponsione della imposta non esclude il pagamento di eventuali canoni di affitto o di concessione, né l'applicabilità della tassa per l'occupazione dello spazio ed aree pubbliche”.
Inoltre, il comma 7 dell’art. 9 del d.lgs. 15.11.1993 n. 507 e s.m.i., nel testo integrato con l’art. 145, comma 55, della legge 23/12/00, n. 388, prevede: “Qualora la pubblicità sia effettuata su impianti installati su beni appartenenti o dati in godimento al comune, l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o di concessione commisurati, questi ultimi, alla effettiva occupazione del suolo pubblico del mezzo pubblicitario”.
Dopo l’entrata in vigore del citato decreto 507/93 è stata emanata la legge 28/12/95, n. 549 la quale, all’art. 3, comma 64, ha statuito che “Per le aree su cui i comuni e le province riscuotono i canoni di concessione non ricognitori i comuni e le province possono deliberare la riduzione fino al 10 per cento della tassa per l'occupazione permanente o temporanea di spazi ed aree pubbliche prevista dal D.Lvo 15 novembre 1993, n. 507, e successive modificazioni”.
Infine, la legge 15 maggio 1997, n. 127, che al comma 63 dell'art. 17 ribadisce questi stessi concetti.
In altre parole, dalle richiamate disposizioni normative si evince che il legislatore ha sempre riconosciuto compatibile con la TOSAP il canone d’uso degli spazi ed aree pubbliche.
Tutto ciò precisato, si ritiene confermata l’impostazione da noi sostenuta che il canone giornaliero non esenti alcuno dal pagamento della tassa stante le richiamate diversità (di natura e presupposti) per l’applicazione dei proventi in questione.

Per quanto riguarda la presunta esenzione a favore dei partiti politici, la normativa è chiarissima: l’esenzione si applica per “occupazioni temporanee relative a manifestazioni o iniziative a carattere politico purché l’area occupata non ecceda i 10 mq” che non è propriamente lo spazio utilizzato a Casola Valsenio.

A riprova di questo, per non citare la smisurata quantità ti materiale giuridico ci basta riportare lo specchietto della TOSAP applicata dal Comune di Ravenna in cui questo criterio viene esattamente ripreso e confermato:

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Naturalmente ci auguriamo che l’amministrazione di Casola Valsenio si ravveda e corregga queste evidenti storture ereditate dal passato, perché non c’è niente di più iniquo che l’esercizio del potere per fini di parte e per sostenere un interesse privato, in questo caso, coincidente con quello del partito del sindaco.

A ulteriore documentazione:

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giovedì 24 marzo 2011

Non ci si può credere

arroganza e vergognaI più ignoravano fino ad ora (e noi tra questi) che il Presidente della Provincia di Ravenna, l’ineffabile Giangrandi, e i suoi dieci assessori, da oltre un anno non partecipano alle sedute settimanali del Consiglio Provinciale se non per illustrare frettolosamente i punti che individualmente li riguardano, per poi andarsene immediatamente.
Questa incredibile consuetudine, assunta in completo spregio delle istituzioni e della rappresentanza elettiva, è stata più volte stigmatizzata dalle minoranze consiliari senza tuttavia trovare nella stampa un adeguato grado di attenzione, tale da sollevare l’inevitabile indignazione dei cittadini elettori.

Gli eletti del popolo che oggi si atteggiano a baroni sono retribuiti molto lautamente (quasi 8mila euro al mese per il Giangrandi e circa 3800 euro al mese netti per gli assessori) proprio per verificare il proprio operato in seno al Consiglio, l’organo di controllo e di indirizzo ove siedono i consiglieri che invece vengono trattati con disprezzo alla stregua di fastidiosi postulanti.
Questo vergognoso comportamento è tipico del Giangrandi e non meraviglia più nessuno (forze politiche, sindacati, dipendenti), ma è stato assunto e condiviso anche da Claudio Casadio che ora vorrebbe proporsi come il sostituto promettendo un cambiamento che non ci sarà né potrà esserci perché anche lui è il prodotto dello stesso contesto politico-culturale che ha partorito queste mostruosità comportamentali e la paralisi operativa della Provincia.

Dal 29 marzo attraverso lo sportello online viaggeranno le pratiche di Scia, la segnalazione certificata di inizio attività.

salta le codeSono 1.759 i comuni pronti ad accendere, dal 29 marzo, il canale telematico dello sportello unico per le attività produttive, in cui saranno veicolati gli adempimenti a carico delle imprese.  In alcuni casi il front office unificato servirà anche più centri che si sono associati. Nelle realtà in cui il sistema telematico non è ancora attivato saranno le Camere di commercio a svolgere il servizio online "accentrato" rispetto alle amministrazioni: il portale www.impresainungiorno.gov.it è pronto per la gestione online dei procedimenti, per "girare" la pratica ai Comuni e mettere in comunicazione, per eventuali integrazioni, l'impresa con le amministrazioni. Il responsabile della decisione, anche quando l'intermediario è la Camera di commercio, resta il Comune.

Tra sindaci già attivati e altri in attesa, comunque, potranno salire presto a quota 3mila le realtà connesse allo Sportello telematico, in una rete che trascurerà solo i centri più piccoli e meno attrattivi di attività economiche. La segnalazione di inizio attività allo Sportello unico può essere contestuale alla creazione di impresa e in quel caso la Scia avrà come allegato anche la comunicazione unica all'agenzia delle Entrate e agli enti previdenziali. In questi casi, sarà il Registro imprese a ricevere la pratica e a girarla allo Sportello unico, che rilascerà all'impresa la ricevuta e la possibilità di operare.

«Per il successo dello Sportello unico - sottolinea il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello - occorre risolvere alcune criticità. In primo luogo, è necessario disboscare centinaia di adempimenti davvero inutili. Quindi, bisogna lavorare per uniformare il più possibile le procedure amministrative su tutto il territorio». Unioncamere ha censito gli adempimenti amministrativi relativi alle imprese: «Abbiamo contato oltre cinquemila procedure», dice Dardanello. Un labirinto, se non si riesce a standardizzare. A questa difficoltà vanno aggiunte le differenze infrastrutturali. «Le aree dove non è disponibile il servizio della banda larga – afferma Dardanello – soffriranno di queste innovazioni». «Quella del 29 marzo - commenta Valerio Zappalà, direttore generale di InfoCamere - non è una scadenza in cui si consegna un prodotto o si "collauda" un sistema informatico: è una data che segna l'inizio di un nuovo modo di concepire i servizi alle imprese a livello territoriale, dove è decisiva la qualità del rapporto di cooperazione tra amministrazioni diverse, Camere di Commercio e Comuni in primis. Dal 29, dunque, inizierà una nuova fase, in cui gli sportelli unici dovranno avviarsi e opereranno consolidando passo dopo passo gli aspetti organizzativi, tecnologici e di rapporto, sia con l'utenza che con gli altri interlocutori istituzionali».

Oggi sul territorio

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mercoledì 23 marzo 2011

Davide Visani, un casolano ai confini della conoscenza

photonicslogoblackInternet cinquanta volte più veloce. E’ questo il brivido promesso dalla fibra ottica low-cost, che arriva direttamente al computer di casa. Si chiama Pof (Plastic optical fiber) e, come dice il nome, è fatta di plastica, a differenza di quella tradizionale in vetro. Non garantisce le stesse prestazioni della più nobile sorella, ma ha il grande vantaggio di essere più semplice da installare e dimezzare i costi. Tanto da poter rimpiazzare il cavo che usiamo oggi per collegare il pc al modem, al router di casa o alla rete dell’ufficio. Test condotti dall’Università di Bologna e dalla Technische Universiteit di Eindhoven (Paesi Bassi), appena pubblicati dalla rivista scientifica Journal of lightwave technology, dimostrano che con un filo lungo 50 metri di fibra low-cost si potrebbe navigare online ad una velocità 53 volte maggiore di quella attuale. Si potrebbe, perché è ancora rarissimo che le abitazioni siano connesse a tali velocità. Ma è solo questione di tempo, dicono gli esperti.

I costi ridotti - spiega Davide Visani, 26 anni, ricercatore dell’Alma Mater e prima firma dell’articolo - dipendono dalle dimensioni del filo. La fibra tradizionale ha bisogno di fili sottili un centesimo di millimetro. Quella di plastica funziona bene con fili di un millimetro. Sono più facili da maneggiare e installare, e i componenti di cui necessitano sono a buon mercato.
Visani sta completando il dottorato presso il Dipartimento di Elettronica (Deis) dell’Ateneo e ha recentemente messo a segno anche un altro colpo, di cui riferisce invece la rivista Optics Communications. È riuscito a provare che semplificando l’elettronica delle antenne dei cellulari, quelle grosse sui tetti, e utilizzandola simultaneamente per più tecnologie (umts, wi-fi, gsm e altre) si può velocizzare internet anche su telefonini e smartphone. Anche qui c’entra la fibra ottica, ma stavolta quella tradizionale. Se la usiamo per collegare le antenne ad una centralina di controllo che svolge le operazioni più complesse, possiamo equipaggiarle con un’elettronica più snella ed economica. Ripartendo inoltre i costi tra più operatori e servizi diventa ancora più facile, a parità di spesa, aumentare numero delle antenne e velocità di navigazione.

Ma siamo sicuri che tutto ciò sia davvero realizzabile e che i vari sistemi non entrino in conflitto tra loro, e non diano luogo ad interferenze tra segnali diversi? E’ qui che intervengono Visani e colleghi, tra cui il professore Giovanni Tartarini. Dapprima si sono mossi in campo teorico, al fine di verificare che, conti alla mano, fosse realizzabile un sistema integrato di trasmissione dati che gestisse contemporaneamente segnali radio diversi. Quindi, vista la particolare complessità dei fenomeni coinvolti, difficilmente prevedibili con i soli strumenti teorici, ne hanno dato una dimostrazione pratica.

Grazie alle tecnologie messe a disposizione da un’azienda del settore con sede a Faenza, la Commscope Italy, hanno progettato e materialmente realizzato un sistema di trasmissione che gestisse simultaneamente segnali Umts, la tecnologia attualmente usata dai nostri cellulari, e segnali wi-max, una sorta di super wi-fi adatto alla copertura wireless di spazi esterni ed edifici. I risultati sia della simulazione teorica, sia delle sperimentazioni pratiche sono stati concordi e confortanti. Il sistema funziona e può così contribuire ad allargare le frontiere del nostro futuro digitale.

da: Fibra ottica low-cost per internet superveloce

martedì 22 marzo 2011

Durante la cerimonia del 17 Marzo il personale della Provincia di Ravenna contesta il presidente Giangrandi: un fallimento gestionale senza precedenti.

Immagine1In questi dieci anni di Governo il Presidente Giangrandi ha raggiunto un record, quello di riuscire ad unire i sindacati che rappresentano i dipendenti della Provincia che all'unisono hanno stigmatizzato la gestione Giangrandi come: “un fallimento gestionale senza precedenti,… un totale crollo della credibilità della Provincia agli occhi del personale dipendente".
Dichiarazioni durissime che segnano inesorabilmente il fallimento del Presidente Giangrandi. I sindacati non risparmiano neppure il vicepresidente Claudio Casadio, candidato alla presidenza della provincia il prossimo 15 maggio e che a novembre era visto come l'uomo nuovo per poter risolvere un problema che si trascina da cinque anni, ma da novembre niente è cambiato e le promesse sono state disattese.
L'altra questione sempre a danno dei dipendenti provinciali, che prima di essere definita ha visto trascorrere ben dieci anni, è quella relativa all'eredità Caletti che ha iniziato ad essere presa in considerazione grazie ad un forte impegno di denuncia del gruppo FI-PDL
Dopo cinque anni nei quali Giangrandi ha fatto orecchie da mercante non riuscendo a trovare una soluzione ad un problema relativo all'assegnazione del trattamento accessorio per il personale non dirigente, i dipendenti si sono dovuti rivolgere anche al Prefetto, ma ad oggi la situazione non si è ancora risolta.
Ricordiamo che il Presidente Giangrandi è anche assessore al personale, e vi sono numerosi casi  di dipendenti con livello più basso del dovuto che sostengono di essere stati danneggiati dalla Provincia.
Ribadiamo quindi il nostro giudizio estremamente negativo su questi dieci anni di gestione Giangrandi e ci auguriamo che i dipendenti provinciali non si facciano abbindolare da colui che si candida ad essere il prosecutore della politica di Giangrandi e della sinistra in provincia, sinistra che in questo caso ha dimostrato di non essere il partito dei lavoratori, ma anzi di essere lontanissimo dai lavoratori e di essere incapace di dialogare con questi alla stregua del più odioso dei padroni.

Raffaella Ridolfi-Vincenzo Galassini

sabato 19 marzo 2011

Crocifisso nelle scuole, l'Italia vince la battaglia. Non vìola i diritti umani

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"Oggi ha vinto il sentimento popolare dell'Europa - ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, protagonista in prima linea della battaglia - La decisione interpreta soprattutto la voce dei cittadini in difesa dei propri valori e della propria identità. Mi auguro che dopo questo verdetto l'Europa torni ad affrontare con lo stesso coraggio il tema della tolleranza e della libertà religiosa".

Soddisfatto anche il Vaticano, che, attraverso la sua emittente Radio Vaticana, ha commentato: "La vittoria oggi non è solo dell’Italia ma anche degli altri Paesi e di tutti coloro che ritenevano assurdo imporre la rimozione del Crocifisso dalle aule scolastiche".

Il Consiglio Comunale è convocato per il 24 Marzo

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Punti all’ordine del giorno:

3)    Risposta a interrogazione “Perché il PD non paga la tassa di occupazione suolo pubblico
4)    Odg  “ Impediamo lo stop allo sviluppo di produzioni di energia…
5)    Surroga consigliere Dalprato
6)    Sostituzione consigliere Dalprato nell’Unione dei Comuni
8)    Variazione al regolamento generale delle entrate tributarie (regolamento)
9)    Determinazione aliquota Irpef per il 2011
10) Determinazione aliquota ICI 2011
11) Piano comunale delle alienazioni
12) Programma 2011 degli incarichi e delle consulenze
13) Bilancio 2011
14) Assunzione in proprietà area di viabilità pubblica  (Allegato)
15) Piano per le attività estrattive

venerdì 18 marzo 2011

Casola risorgimentale: dal brigante Baraccuchino, alla banda che suonò senza divisa. Un mirabile excursus storico di Beppe Sangiorgi nel consiglio comunale del 17 Marzo 2011 in occasione delle celebrazioni per l’Unità d’Italia

5533881163_f6b890a9dc_bRingrazio molto il nostro concittadino Beppe Sangiorgi per avermi autorizzato la pubblicazione  della traccia del suo mirabile intervento in occasione delle celebrazioni per l’unità d’Italia. Fabio Piolanti

A metà Ottocento Casola era sotto lo Stato Pontificio, sede di Governatorato con giurisdizione su Castel del Rio, Fontanelice e Borgo Tossignano.
Il 4 giugno 1859 l’esercito franco piemontese sconfigge a Magenta l’esercito austro ungarico che il 12 giugno è costretto a ritirarsi dalla Romagna dove costituiva il braccio armato del Papa i cui rappresentanti abbandonarono ugualmente queste terre. I gendarmi pontifici abbandonarono Casola nel pomeriggio del 13 giugno
In tale frangente la Romagna fu occupata dal regno di Sardegna e la magistratura casolana elesse una giunta provvisoria costituita da Raffaele Zauli, Battista cenni e Pio Ungania che rivolgono un appello alla popolazione : “...contando sulla sperimentata prudenza di voi che desiderate di unirvi all’invitta monarchia piemontese volge voi le prime parole esortandovi caldamente mantenere l’ordine e la tranquillità”.
Viene rinnovata anche la rappresentanza comunale con Pietro Morozzi, Cristoforo Ungania, Federico Alpi e Giovanni Linguerri Ceroni ed Eugenio Ravaglia governatore ma Castel del Rio, Fontanelice e Borgo approfittano del momento per finire sotto Imola.
L’11 e 12 marzo 1860 si tennero le consultazioni per l’annessione cioè il plebiscito. Votavano i maschi adulti che sapevano leggere e scrivere e per censo.
A Casola i votanti furono 1.386 (numero alto perso dal Monitore di Bologna del 16 marzo) 1367 furono favorevoli all’annessione al Regno di Sardegna , 6 ad un regno separato e 13 furono i voti nulli.
Così anche Casola entrò a far parte del Regno di Sardegna senza gravi contraccolpi.
A parte le ritorsioni l’arciprete di Casola, don Paolo Ungania, il quale cacciò di chiesa e negò la confessione a coloro che avevano sottoscritto l’annessione al Regno di Sardegna che il 17 marzo 1861 diventa il Regno d’Italia, al quale mancava però ancora il Veneto, conquistato nel 1866 e Roma e parte del Lazio, conquistati nel 1870.

Qual è il quadro locale a questo punto.Distinguere tra paese e campagna: indipendenza ed annessione è un fenomeno di paese perché la campagna rimase del tutto estranea pagandone però le conseguenze. Come ad esempio la leva obbligatoria che non esisteva sotto lo Stato Pontificio. Sorteggiavano – chi poteva pagare (nel 1871 erano 3.200 lire, una bella cifra) evitava una lunga ferma. Libretto militare con numero e ferma di Sangiorgi Alfonso. Di fronte ad una lunga ferma fenomeni di diserzione e alla macchia ed episodi di brigantaggio.
Il brigantaggio è uno dei fenomeni che caratterizza la nostra zona dopo l’annessione. Il 24 agosto 1861 nei pressi di Monte Battaglia viene catturato il brigante Baraccuchino con un sacco pieno di barbe, parrucche e munizioni. Il giorno dopo la rocca di Monte Battaglia viene incendiata dalla Guardia Nazionale per snidarvi un forte gruppo di banditi che vi si era asserragliato. La recrudescenza postplebiscito del brigantaggio, che comunque era sempre esistito, non assume qui il carattere politico ed antipiemontese del meridione e del centro Italia ma è conseguente oltre che dalla leva obbligatoria ancor più dalla perdita del lavoro da parte dei contrabbandieri.
Esisteva un fiorente commercio illegale tra Romagna e Toscana, tra Stato Pontificio e Granducato, con dogane a S. Apollinare e Macchia dei Cani. Si esportavano soprattutto sale e pesce e si importavano tabacchi, cotone, zucchero. Soprattutto ad opera dei contrabbandieri di Castel Bolognese che occupavano una contrada e che si portavano nelle vicinanze del confine seguendo in maggioranza il crinale tra il Senio e il Santerno, anche perchè potevano contare su un buon punto di appoggio come la chiesa di San Rufillo di cui fu parroco don Andrea Montanari dal 1824 al 1842: era giocatore d’azzardo e contrabbandiere e nel 1842 uccise il contadino a causa di una ragazza poi scappò.
Ai contrabbandieri castellani, giunti nelle vicinanze del confine subentravano casolani e palazzuolesi a fare gli spalloni, cioè trasportare a spalla la merce seguendo sentieri impervi che ben conoscevano.
Mentre le guardie doganali pontificie venivano inglobate nelle forze del Regno di Sardegna già nell’ottobre del 1859, i contrabbandieri si trovarono senza lavoro come afferma il sindaco Gandolfo Tosi rivolto ai consiglieri nella seduta del 15 ottobre 1861: “quante famiglie vivessero del frutto del contrabbando non vi è di voi chi lo ignori e tutti di presente sentiamo il lamento dei perduti guadagni perdita che per taluni ha costituito una vera povertà”.

Il sindaco Tosi era un fervente propugnatore dell’unita nazionale, non compromesso col governo papalino, tanto che nella stessa deliberazione afferma: “Quando il grido di libertà risuonava per le oppresse contrade della Sicilia e quel popolo schiavo faceva sentire a noi popoli liberi il bisogno di soccorso, esitò forse questo nostro consesso ad approvare l’offerta di 500 lire sebbene sapesse che non eravi fondi in economia; quando l’Uomo della Provvidenza, il più grande e il più magnanimo dei re, Vittorio Emanuele II, visitava la nostra provincia, potevamo noi soli di tutti i municipi rimanerci dal tributargli l’omaggio della nostra sudditanza e gratitudine? Noi i cui predecessori avevano contratto un debito di centinaia e centinaia di scudi per innalzare un arco allorché percorreva le nostre contrade il Papa Re, che ci aveva straziato col cavalletto e le fucilazioni dell’orde tedesche?”
Nel maggio del 1857 in occasione dell’ultima visita di Pio Nono in Romagna i casolani avevano innalzato all’incrocio della Via Emilia con la strada per Riolo e Casola, un arco trionfale di stile egizio,con sopra una ringhiera dalla quale la Banda di Casola Valsenio salutò l’arrivo della carrozza papale.  L’arco recava la scritta: A Pio IX i Casolani. Il Pontefice fece arrestare la carrozza, scese a salutare la Magistratura casolana, benedisse e ringraziò anche la folla per i sacrifici affrontati nei venti chilometri percorsi a piedi; alzò poi la mano impartendo la benedizione verso la Valle, mentre la banda intonava salmi ed inni.

Questo episodio fa capire che aria tirava a Casola sotto il Papa e spiega come il contributo dei casolani alle guerre di indipendenza e alle campagne garibaldini sia stato inferiore a tanti paesi della Romagna come Castel Bolognese dove si possono vedere ancora le lapidi con i nomi dei garibaldini caduti in battaglia, ma quello è un paese Via Emilia dove passava la storia. A Casola risulta l’inaugurazione nel 1876 con discorso di Alfredo Oriani, di una lapide in onore di Domenico Sabbatani, caduto a Solferino nel 1849.
Comunque anche qui c’erano correnti e posizioni anticlericali e antipapaline: in modo molto sotterraneo tra la piccola borghesia paesana: qui non ci sono stati i Laderchi o i Caldesi nobili faentini, liberali e rivoluzionari. Addirittura quando nel 1865 ( sindaco Giovanni Linguerri Ceroni) la Sottoprefettura chiese se il municipio di Casola era disposto a fornire le medaglie commemorative a coloro che avevano combattuto per l’indipendenza si ebbe un netto rifiuto perchè non c’erano i soldi.

Il sentimenti libertario era molto più sentito e dichiarato tra gli operai, bottegai e artigiani del paese. Ad esempio nel 1832 furono arrestati tre calzolai, due vetturali, uno scarparo, un muratore, un locandiere, un sarto e un contadino per canti sediziosi eseguiti in luogo pubblico spiegando segni ed emblemi diretti ad eccitare la insubordinazione .
Dopo il 1861 esistono dunque a Casola, in paese, due blocchi sociali e politici. Da una parte i borghesi, monarchici, che continuano ad occupare i posti di governo locale e che concepiscono l’unità d’Italia come l’unione di tutti in territori sotto il re e che quindi si completa nel 1870 con la presa di Roma dopo che quattro anni prima era stato conquistato anche il Veneto.
Dall’altra parte il blocco popolare composto da repubblicani, anarchici e socialisti che invece intendono l’unità d’Italia anche come espressione di solidarietà e fratellanza, libertà ed uguaglianza, rifacendosi alla costituzione della Repubblica Romana di Mazzini Garibaldi e che quindi dovranno aspettare molto più per vederla compiutamente realizzata.
Il diverso orientamento provoca non pochi attriti. Come ad esempio in occasione dell’inaugurazione il 31 agosto 1890 della lapide a Mazzini e Garibaldi voluta dalle Società operaie e di mutuo soccorso con testo di Alfredo Oriani: “GIUSEPPE MAZZINI E GIUSEPPE GARIBALDI/ fusa l’opera creatrice/ conquistarono alla patria/ libera unità di nazione//ora e sempre/ raccolto nelle virtù dei loro nomi/ il popolo casolano/ pose”.
La lapide fu posta sulla facciata del municipio in piazza ma, scrive il corrispondente del Lamone “non voglio raccontarvi le difficoltà poste dai reazionari all’innalzamento della lapide” e prosegue “La banda musicale di Riolo era stata chiamata dal paese, poiché il municipio con miserabile pretesto e sempre per contrastare alla causa della democrazia aveva sospeso la nostra imponendole di consegnare le uniformi. Tuttavia i nostri giovani bandisti sentirono il proprio dovere e suonarono in abito borghese”
E continua: “Le vie formicolavano di gente: i reduci passeggiavano superbi delle medaglie conquistate sui campi della patria indipendenza; in tutti i crocchi si sentiva ripetere il nome di Mazzini e Garibaldi. Erano racconti di battaglie, di cospirazioni, aneddoti di volontari paesani, strappi di drammi e di poesia che destavano rapide e generose commozioni”.
Quella lapide rappresentò un punto di riferimento negli anni a venire. Nel settembre 1904 ad esempio vi fu appesa una bandiera rossa abbrunata con la scritta “W i martiri del lavoro” per ricordare tre minatori sardi uccisi a Buggerru dalle forze dell’ordine chiamate dai proprietari delle miniere.
Per il ceto popolare e lavoratore casolani l’unità d’Italia si compirà tra il 1943 e il 1948 con la Guerra di Liberazione: il mondo contadino che diventa protagonista attivo e consapevole della sua storia, il suffragio universale esteso alle donne, lo stato che si fa repubblica così che i sudditi diventano cittadini, tutti uguali grazie alla Costituzione.

Beppe Sangiorgi - 17 Marzo 2011 – Consiglio Comunale

martedì 15 marzo 2011

Quando la sinistra odiava tricolore e Inno di Mameli e Togliatti si compiaceva di aver rinunciato alla cittadinanza italiana

il Torrino del QuirinaleNel 1971 usciva “Nel nome del popolo italiano”. Sul finire del film, il giudice (rosso) Mariano Bonifazi si ritrova tra le mani la prova dell’innocenza dell'industriale (nero) Lorenzo Santenocito la cui condanna era già segnata. Dino Risi fa smuovere l'animo del magistrato che decide di presentare la prova e graziare l'inquisito. Ma il gol di Boninsegna durante Italia-Germania gli fa cambiare idea. Cosa lo ha disturbato? Tutti quei tricolori esposti alle finestre degli italiani.

Alle ultime manifestazioni il Pd è sceso in piazza impugnando le bandiere italiane. A Sanremo l'Inno di Mameli cantato da Roberto Benigni ha fatto il record di ascolti. Nel linguaggio della sinistra "spuntano" le parole unità e patria. Viene da chiedersi se c'è stata una svolta nazionalista. E il motto "proletari di tutto il mondo unitevi" dov'è finito? E il partigiano di Bella ciao? E le bandiere rosse con la falce e il martello? Tutto ben nascosto nell'armadio di casa. Al libretto rosso di Mao, adesso preferiscono la Costituzione. "Riprendiamoci la nostra bandiera", aveva gridato l'Unità l'anno scorso. E dietro tutti gli ex comunisti pronti a darsi una verginità nuova. Ma va ricordato: da sempre alla sinistra internazionalista la patria fa schifo, l'Inno d'Italia piace ancor meno e il tricolore è meglio bruciarlo in piazza.

"E' per me motivo di particolare orgoglio aver rinunciato alla cittadinanza italiana perché come italiano mi sentivo un miserabile mandolinista e nulla più", diceva Palmiro Togliatti. La verità è che la sinistra ha sempre snobbato certi temi, e certi amori. E non parliamo di preistoria della prima Repubblica. Anche in tempi più recenti. Nel 1989, quando Achille Occhetto era segretario del partito e Nilde Iotti sedeva sullo scranno più alto di Montecitorio, il Pci stava per cancellare la norma che prescriveva di aprire i congressi con l’Inno di Mameli (e già veniva suonato soltanto dopo l’Internazionale e Bandiera rossa). Non che nel Pds, invece, i compagni si stringessero a coorte. Anzi. Negli stessi anni, Massimo D'Alema preferiva Ennio Morricone a Mameli spiegando che quanto scritto nello statuto del partito era solo "un’indicazione, un consiglio" ormai decaduto. Anche durante i mondiali orientali del 2002 l'Unità di Furio Colombo solidarizzava con i calciatori che (per ignoranza o per volere) non cantavano Fratelli d'Italia prima della partita.

Poi è cambiato tutto. Walter Veltroni ha portato avanti un'intera campagna elettorale (oltre cento tappe) a intonare l'Inno. Il Pd ha dato una spolverata di bianco e verde al rosso onnipresente alle feste democratiche. Pure la parola Unità è scomparsa. Sabato pomeriggio, in piazza per difendere la scuola pubblica (un tempo anarchici e radicali la volevano distruggere dalle fondamenta) e la Costituzione, il centrosinistra sventolava il tricolore. Il segretario Pierluigi Bersani li ha ribattezzati "patrioti". C'è chi dice che sia una mossa elettorale in antitesi al credo leghista. Ma a smontare i nuovi abiti indossati dal Pd ci ha pensato il filosofo Massimo Cacciari: "Il centrosinistra è stato spinto quasi per necessità verso la rivendicazione di valori attribuibili in senso lato a Patria a e Nazione, nel quadro di un confronto politico con la Lega". Insomma, tutta retorica.

Quella sbandierata dai democratici non è la bandiera che unisce tutti gli italiani sotto un unico cielo. E' quella che getta fango su chi non la pensa allo stesso modo, che odia chi non si oppone al regime berlusconiano, che non dà spazio al libero pensiero (specie se questo è espresso sulle reti Rai), che preferisce i "nuovi italiani" ai vecchi, che lavora sotto banco per sovvertire il volere popolare. Quello cantato dai democratici non è l'Inno che unisce i fratelli pronti alla morte quando la Patria chiama. E' quello che stona in piazza “dieci, cento, mille Nassiryia”, che sta dalla parte dei rivoltosi anziché dei poliziotti che "tengono" famiglia, che urlano diktat di dimissione sulle colonne dei quotidiani amici.

E allora: viva l'Italia! Per dirla con De Gregori: Viva l'Italia, l'Italia del 12 dicembre, l'Italia con le bandiere, l'Italia nuda come sempre, l'Italia con gli occhi aperti nella notte triste, viva l'Italia, l'Italia che resiste

di Andrea Indini – Il Giornale

venerdì 11 marzo 2011

La mozione del Pdl di Faenza per entrare nella AUSL unica Forlì-Cesena

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Caro Bersani, non puoi solo parlar male di Berlusconi devi anche dire che cosa vuoi fare tu per costruire un'alternativa credibile. Firmato Veltroni, Chiamparino, Renzi

dubbioSono tutti là. Walter Veltroni, il leader del Pd originale, quello prima versione, che fa gli onori di casa ai due ospiti. Sergio Chiamparino, che poteva essere leader ma che poi ha preferito finire il suo mandato di sindaco di Torino. E Matteo Renzi, il leader che verrà.
Sono tutti insieme al teatro dei Servi a Roma, per un convegno di Democratica, la fondazione di Veltroni. Parlano linguaggi differenti tra di loro, ma un filo li unisce, e anni luce li allontanano da Bersani e dal «suo» Pd. Renzi più di ogni altro in quella sala rappresenta la rottura con certe liturgie della politica del centrosinistra. Arriva senza essersi nemmeno tolto dal viso il cerone che ha messo per partecipare a Matrix. Nessun altro lì lo avrebbe fatto, per timore di un possibile accostamento a Berlusconi. Lui sì. Anche perché di questa «ossessione del Pd» per il premier è bello che stufo. Per questo non esita a dire quello che gli altri due si limitano a pensare: «La raccolta di firme non serve a nulla».

Il suo linguaggio è diverso e diretto: «Spesso raccontiamo un'Italia triste e i nostri in tv sono tristi e polemici. Però è a Roma e in Parlamento che è così, sul territorio è tutta un'altra storia». Non si preoccupa di abbattere un totem del centrosinistra, la concertazione: «Io sono contrario, andava bene all'epoca di Ciampi, per il governo nazionale, ma non può essere replicata in sedicesimo in tutte le città italiane». Non rinnega la rottamazione, anche se ha abbandonato i rottamatori: «Il senso era di dire: gente non potete svernare in Parlamento...c'è chi ci ha fatto le ragnatele lì». Il sindaco di Firenze non risparmia critiche a nessuno, nemmeno al Bersani che non vuole mettere il suo nome sul simbolo del partito: «È una decisione che ci riporta indietro di 30 anni». E fa anche di più, rompe un tabù che non romperebbe anima viva nel centrosinistra: «Io mi auguro - e so che verrò criticato per questo - che Berlusconi possa dimostrare la sua innocenza al processo perché in un Paese civile non si augura una condanna a nessuno».

Tutte parole che farebbero rabbrividire Rosy Bindi, che, però, lì non c'è: il suo Pd non è sicuramente quello che Veltroni ha deciso di mandare in scena al teatro dei Servi. Dunque, il sindaco di Firenze non nasconde la sua diversità, non si trincera dietro giri di parole o astuzie diplomatiche, non abbraccia la cautela. E questo lo rende differente anche da Veltroni e da Chiamparino. Ma poi Renzi parla lo stesso linguaggio del sindaco di Torino - e viceversa - quando si tratta di delineare il Pd come dovrebbe essere e come non è. Per il sindaco di Torino «la sinistra fa un'analisi inadeguata di come evolve la società italiana». Per Renzi il Pd perso nel suo antiberlusconismo non ha altra identità se non questa e non rappresenta quindi un'alternativa di governo. Entrambi sono ostili alla Santa Alleanza. «Va rivista questa strategia», dice il sindaco di Torino. E quello di Firenze: «Basta con gli inciuci, le ammucchiate e i tatticismi, smettiamola di inseguire Fini, Bocchino o altri statisti di questo tipo». Anche sulle primarie la pensano nello stesso modo. Per Chiamparino «sono il metodo più trasparente e democratico», tanto più che i partiti «non hanno più autorevolezza». Per Renzi «non si può chiedere agli elettori di andare nelle sezioni, anche perché la maggior parte sono chiuse», perciò bisogna coinvolgerli con le primarie: «È assurdo che decidano i gruppi dirigenti dei partiti che non rappresentano più niente».

Veltroni, soddisfatto, guarda Renzi e Chiamparino, seduto in prima fila. Sale sul palco solo alla fine per un discorsetto di due minuti. Annuncia che la settimana prossima presenterà un ddl per istituire le primarie per legge. Poi chiude così: «Non basta sostenere che questo è l'autunno del Paese, bisogna preparare la primavera». Come a dire: caro Bersani, non puoi solo parlar male di Berlusconi devi anche dire che cosa vuoi fare tu per costruire un'alternativa credibile. Ma in quella sala tutti sembrano guardare a Renzi per quell'alternativa. Lui sorride, nega di essere sceso in campo, ma da un mese è in campagna elettorale per preparare la sua futura candidatura.

Maria Teresa Meli – Corriere della Sera 10/3/2011

giovedì 10 marzo 2011

A Riolo Terme monta una crescente sfiducia nei confronti del sindaco da parte di tutte le forze politiche presenti in consiglio, compreso lo stesso PD che parrebbe voler prendere le distanze dalla Ponzi

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Tutti dichiarano che il modo di fare politica e di amministrare espresso dal primo cittadino di Riolo è improponibile e inaccettabile. Le dimissioni dell’assessore all’ambiente fanno seguito a quelle del capo gruppo consiliare e del segretario della sezione comunale del PD.

martedì 8 marzo 2011

Milena Dalprato si dimette dal Consiglio Comunale, ufficialmente per ragioni private e professionali. Subentra Giuliano Visani, vice segretario del PD

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I documenti fondamentali per capire il Bilancio 2011 del Comune di Casola Valsenio

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I Restanti documenti tecnici, come sempre comprensibili ai soli addetti ai lavori, possono essere consultati all’albo pretorio online nella delibera di Giunta n. 21 del 2011

Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c’è in te

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Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe,
i capelli diventano bianchi,
i giorni si trasformano in anni…
Però ciò che è importante non cambia;
la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è a colla di qualsiasi tela di ragno.
Dietro ogni linea di arrivo c’è una linea di partenza.
Dietro ogni successo c’è un’altra delusione.
Fino a quando sei viva, sentiti viva.
Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo.
Non vivere di fotografie ingiallite…
insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni.
Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c’è in te.
Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto.
Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce.
Quando non potrai camminare veloce, cammina.
Quando non potrai camminare, usa il bastone.
Però non trattenerti mai!!!

Madre Teresa di Calcutta