domenica 13 maggio 2012

Bisogna unire centro e destra, tutti per l’Italia: i tenori della destra e i falchi vogliono rompere con Monti. Ci sono le condizioni? Si può fare una rivoluzione antieuro? No. E allora?

unireLady spread rialza la testolina minacciosa. I greci e gli spagnoli ci mettono del loro. In questa situazione i tenori della destra come Feltri vogliono che Berlusconi rompa con Monti. I falchi del Pdl vogliono la stessa cosa. Girano tutti come trottole impazzite intorno a quanto è noto. Se nessuno trascina il popolo delle libertà da qualche parte con un po’ di sale in zucca, con qualche ragione identitaria legata al paese in cui abitiamo, e questa si chiama linea politica, il popolo sta fermo ai dati certi: Berlusconi aveva vinto le elezioni e il suo governo si è disfatto per lasciare il posto a un usurpatore che mette le tasse e parla difficile, l’euro porta male al portafoglio e al patrimonio immobiliare, l’austerità finanziaria non è la via per rilanciare l’Italia e l’Europa, e giù fischi. Ecco, potrei dire che sono d’accordo. E perfino che sono d’accordo da prima, da quando sostenevo le elezioni sotto la neve. O da prima ancora: da quando scrivevo e dicevo, regnante un molto distratto Berlusconi e ghignante un molto austero Tremonti, che bisognava frustare l’economia e arginare lo strapotere tedesco sul governo della moneta unica con una strategia espansiva fondata alla fine su una cosa sola, il potere della banca di Francoforte di battere moneta accoppiato a riforme strutturali per decreto e a misure di abbattimento del debito sulla linea indicata con una certa chiarezza dai mercati e dallo spread.

Non abbiamo, in questo giornale, aspettato nemmeno l’avvitamento della fine degli anni zero, con le manovre a rotta di collo per fronteggiare le varie crisi venute prima dall’America della bolla del real estate o dei titoli spazzatura e poi dall’Europa dei titoli pubblici, chiedevamo fin dalla vittoria elettorale del 2001 di governare in deficit la crisi, e la base era la riduzione della pressione fiscale, sempre con misure che facessero fare agli italiani, a questa economia indolente e furba che non investe e consuma e spende al di sopra delle sue forze, uno sforzo di competitività e di produttività gigantesco. La questione è lì. Rompere questo equilibrio precario, e andare contro Monti, sarebbe possibile soltanto se potessimo parlare la lingua di Paul Krugman e di Tim Geithner (vedi rubrica delle lettere): no a misure recessive di tipo tedesco, sì a misure espansive di tipo americano. Figuriamoci: dimostrateci che si può fare, e siamo più falchi dei falchi.

Ma non si può fare. Noi abbiamo subito il paradigma della Germania. Lo abbiamo subito troppo, ma alla fine la differenza tra noi e l’America è quella: da noi la moneta si difende con il moralismo spesso autodistruttivo della disciplina fiscale, anche in presenza di tendenze recessive che l’austerità incentiva a spirale, da loro si stampa moneta e si tengono basse le tasse, e non c’è moralista del deficit che sia capace, repubblicano o democratico, di imporre una stretta quando si è in distretta. Abbiamo appena approvato il pareggio di bilancio, firmato Berlusconi. O no? O sbaglio? O ho perso la Trebisonda e ho le traveggole?

Andiamo, via. Non facciamoci ridere dietro. Ci sono le condizioni per rompere il ciclo dell’euro, ne abbiamo la forza, ce la dà Hollande questa forza? No, non ci sono. Siamo prigionieri di qualcosa che, vista la condizione assistita e parapubblica di tanta parte della nostra economia di welfare, ha anche i suoi aspetti positivi, e quelli negativi oggi in bella evidenza si possono correggere solo con gradualità politica, nell’ambito di patti, fiscali o per la crescita, il cui senso è fissato da una Banca centrale che può immettere liquidità nel sistema, con molti mal di pancia di chi conta nell’economia europea, ma non può battere moneta e dissuadere i mercati dal ricattarci con la loro misura, spesso assai oggettiva, di quanto valiamo al cospetto dei debiti pubblici e di una produttività e competitività declinati nel mondo senza frontiere.

E allora, visto che la rivoluzione non si può fare, visto che ci tocca partire dal pareggio, addirittura in Costituzione, visto che facciamo parte di una carovana, la cura è, con tutti i correttivi indispensabili, quella di Monti e soci. Inutile spacciare illusioni. Inutile pensare che la questione delle tasse si ponga oggi come quella scelta che ieri era forse possibile tra modelli diversi di sviluppo dell’economia. Inutile prendere per il sedere la gente, perché alla fine il risultato di un’Italia che si ritira dai compiti a casa, che rompe l’equilibrio per un’alzata d’ingegno di Berlusconi, che fu l’autore della soluzione decisa a novembre insieme a Napolitano, sotto la sferza della Merkel, è la rovina di chi si ritira. Non è che alla fine sono tutti bamba, e tutti sono pronti a bersi che una rivolta oggi è un uovo migliore della gallina domani.

Dunque non si può. E allora? Come convincere gli elettori a votare e a votare con  discernimento? Come impedire una radicalizzazione patologica, un riprendere a darsele come prima, stavolta presumibilmente a parti invertite con un governo Vendola-Di Pietro-Bersani? Bè, non è così complicato. Casini ha capito che non becca un solo voto in uscita dal Pdl. Che il terzo polo serve a niente. Che a certe condizioni il suo rio destino, e cinico e baro, è quello di reincontrarsi con il mondo da cui fu scacciato (sbagliando). Berlusconi sfrutti il momentum, ma non strumentalmente, non solo per sbaragliare i suoi arcinemici che ardono dello stesso desiderio che infiamma i suoi amici tenori della destra e i suoi falchi, la rottura e la sconfitta elettorale più o meno a breve; sfrutti il momentum per fare un discorso di responsabilità politica agli italiani, per rimettere in piedi uno schieramento riformatore e liberal-moderato che, nel segno della continuità controllata con l’esperienza appena iniziata del governo Monti, dunque di una convergenza tra tecnica e politica, proponga e imponga un “tutti per l’Italia” che metterà in imbarazzo grave la sinistra di Vasto e la indurrà a più miti consigli. Per non parlare del lutto che metteranno i mozzorecchi di Repubblica e i manettari di tutte le risme. Il popolo, se guidato, seguirà.

Leggi La conversione di Casini di Salvatore Merlo - Leggi Le occhiaie di Monti di Annalena Benini - Leggi La tentazione dei vescovi: lanciare un’Opa sul Pdl per rifarlo da capo di Paolo Rodari

FOGLIO QUOTIDIANO

Giuliano Ferrara

sabato 12 maggio 2012

Hollande taglia i costi della politica in tre giorni. Bravo, ma il presidente francese ha i poteri che la sinistra non vuole riconoscere ai presidenti italiani

costiNon ha fatto neanche in tempo a finire la bottiglia di champagne, che il nuovo Presidente francese Hollande già prende le forbici e taglia i costi dei politici e dei dirigenti pubblici. A cominciare da se stesso.
Un decreto ridurrà del 30 per cento gli stipendi del capo dello Stato, del primo ministro e dei membri del governo. E non basta: Lo accompagnerà un secondo decreto, con il quale sarà stabilito un tetto alle remunerazioni dei dirigenti del settore pubblico.
Hollande ha infatti deciso di fissare una regola: la forbice salariale dovrà essere compresa fra 1 e 20. Per essere più chiari: un presidente e amministratore delegato di un’azienda pubblica non potrà guadagnare più di venti volte del suo dipendente meno pagato. Una roba tremendamente comunista. Tutto ciò, mentre il nostro governo prova oggi a far rientrare dalla finestra le pensioni d’oro dei manager appena uscite dalla porta e ancora si attende il decreto per l’adeguamento degli emolumenti dei dirigenti a quello del Presidente di Corte di Cassazione.

venerdì 11 maggio 2012

Ohoooooooooo

Nell’ultimo consiglio comunale abbiamo fatto molto, ma molto arrabbiare il nostro mite e bonario sindaco Iseppi. Per la verità quasi tutto quello che ci siamo permessi di sostenere in qualità di consiglieri comunali - non subordinati a lui e al suo partito - lo ha visibilmente alterato, ma c’è un argomento più di ogni altro che lo ha calato in una trance mistica: è la vexata quaestio dell’asilo nido.

Si ricorderà che sul finire del 2010, costretti da spese assurde e fuori controllo, gli amministratori casolani decisero, dopo anni di tormentate indecisioni, che le casse comunali non ce la facevano più a sopportare i costi del nido ormai superiori a 100mila euro per dare accoglienza neanche a dieci bambini.

Bene dicemmo, questa è la volta buona che mettiamo in pratica uno di quegli assiomi ricorrenti in tutti i proclami della sinistra: la razionalizzazione e l’ottimizzazione della spesa. Ohooooooooo!!
Bastava infatti accogliere la richiesta presentata dalla Parrocchia di Casola che si offriva di assumere la gestione integrale del servizio con una contribuzione comunale di circa 60mila euro. Troppo bello per essere vero e infatti quella timida proposta fu giudicata “troppo” di tutto: troppo ardita e temeraria, troppo inopportuna rispetto alle aspettative della mitica Zero Cento (quella della moglie dell’on Albonetti), troppo invasiva della laicità della scuola laica, troppo spostata come localizzazione per essere ancora identificata come scuola comunale… insomma troppo.

E naturalmente il nido fu affidato per metà alla Zero Cento e per l’altra metà mantenuto al comune con uno dei quei pastrocchi gestionali nei quali nessuno capisce più come si ripartiscono le spese tra compensazioni conguagli, rimborsi, integrazioni e così si possono facilmente oscurare i conti e impedire ai ficcanaso come noi di provare a capire.

Per aiutare la memoria ci permettiamo di rimandarvi alle considerazioni che allora facemmo e che insistevano sulla questione della spesa tutta giocata sul fatto che l’operazione messa su da Iseppi non avrebbe tenuto e che l’asilo nido in futuro non sarebbe costato molto di meno di quello che costava nel dicembre del 2010

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La facile profezia si è puntualmente avverata ed infatti i costi del nido nel 2012 come risultano dagli elaborati di bilancio sono ufficialmente di 96mila euro ma siamo consapevoli che questi conteggi non tengono conto delle spese scaricate sulla scuola materna statale pur essendo maggiormente attinenti al nido nè tengono conto delle spese strutturali e di investimento. Ragion per cui ci sentiamo di poter affermare che oggi il costo del nido è, come allora. superiore ai 100mila euro.

Per questo Iseppi non deve troppo arrabbiarsi se critichiamo la sua relazione al bilancio quando pomposamente enuncia che le linee guida per la redazione del bilancio di previsione 2012 sono state: ”Il contenimento della spesa di gestione di alcuni servizi fondamentali, senza tuttavia pregiudicarne la funzionalità

O no?!

Inconcludenti anche nella lotta per salvare i castagneti: gli agricoltori acquistano di tasca propria i lanci degli insetti antagonisti mentre la regione realizza un fallimentare centro di riproduzione a Imola contro il parere dei castanicoltori che lo volevano a Castel del Rio

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giovedì 10 maggio 2012

Un sindaco piccolo, piccolo

imgresIn un’aula, come sempre, semivuota si è svolto ieri – mercoledì 9 maggio – il dibattito consiliare per l’approvazione del bilancio 2012.
Per quei pochi che dimostrano ancora qualche interesse per l’amministrazione cittadina vale la pena ricordare che il voto del bilancio rappresenta l’atto amministrativo fondamentale nel governo del paese perché non vi sono altre funzioni consiliari di pari importanza.

In verità, il bilancio di quest’anno non si discosta da quello degli anni passati; ci misuriamo da tempo con bilanci poverissimi che lasciano margini decisionali ridotti, con poste che si sono via via ristrette ed oggi ogni euro rappresenta un patrimonio da centellinare con tutte le precauzioni.
Diciamo subito che l'unico documento leggibile per i non addetti ai lavori e per quelli che non vogliano spremersi troppo sulle astruserie della contabilità pubblica, è la relazione al bilancio predisposto dalla Giunta e per alcuni versi la relazione del revisore dei conti, sempre piuttosto chiara ed analitica

Anche il Gruppo Consiliare Pdl, Udc, Lega, Indipendenti utilizza e compie l’esegesi del documento accompagnatorio della Giunta per cercare di interpretare le intenzioni di coloro che i casolani hanno chiamato ad amministrare i nostri soldi, il nostro futuro e a costruire lo sviluppo della comunità. Così facciamo dal 2009 e così continueremo a fare fino al 2014.

La novità di quest’anno, già palesata in diverse occasioni, ma mai resa così esplicita, è stata l’insofferenza dimostrata dal sindaco ad ascoltare con il dovuto rispetto istituzionale anche le considerazioni della minoranza consiliare che ha contestato molti dei punti contenuti nella relazione ed ha cercato di argomentare le ragioni del proprio dissenso sulle scelte presentate da Iseppi. Scelte che ha ritenuto povere nella efficacia dei provvedimenti (non è grave) ma soprattutto frutto (ed è grave) di un metodo amministrativo involuto, privo in molti casi di trasparenza, elusivo e infarcito di ideologismi politici.

Insomma, ordinaria amministrazione se non fosse che, quest’anno il nostro sindaco ha cercato con veemenza di condizionare la discussione consiliare interrompendo a più riprese l’intervento del capo gruppo Piolanti in spregio, tra l’altro, dei suoi obblighi istituzionali di presidente e garante dei lavori del consiglio, tentando di utilizzare il regolamento per oscurare il dibattito e infine dando sfogo ad un crescendo di livore sfociato negli insulti personali.

Di fronte a questo modus operandi, reiterato e non casuale, il Capo Gruppo dell’opposizione Piolanti ha abbandonato l’aula consiliare in segno di protesta per denunciare e per evidenziare uno stile ed un comportamento che ha pochi precedenti nella realtà casolana e che non sarà dimenticato.

martedì 8 maggio 2012

Ciao Riolo, ci vedremo tra cinque anni, nel 2017, quando saranno passati 72 anni di amministrazione ininterrotta della sinistra.

riolo vittoria pd

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riusciremo mai a dimostrare anche ai cittadini dei nostri comuni che un modello diverso di amministrazione pubblica è possibile e soprattutto è utile e che l’alternanza è un valore?   Riusciremo mai?

Ciò che mi chiedo

perplessoCiò che mi chiedo è quanto questa dirigenza del PDL aspetterà ancora prima di capire che stanno percorrendo la strada sbagliata e lo fanno a discapito di chi per tanto tempo le ha regalato le poltrone su cui poggiano i loro onorevoli sederi.

Mi chiedo come senza vergogna continuano ad appoggiare questo Governo delinquente mi chiedo come possano rimanere a guardare mentre persone continuano a togliersi la vita mi chiedo come possano non capire che la disfatta del PDL deriva solo ed unicamente dall’aver appoggiato questo Governo che altro non ha fatto se non peggiorare la vita dei cittadini e migliorare la vita degli istituti bancari.

Ancora mi chiedo come Alfano se ne esca solo ora parlando di chi si è tolto la vita senza capire che i buoi ormai sono scappati dalla stalla mi chiedo come sia possibile pensare che questo sia l’uomo che deve politicamente sostituire il Presidente Berlusconi la verità è che la sua segreteria ha di fatto affossato il PDL e questo poco conta ma ciò che conta è che l’aver appoggiato e sostenuto questo governo l’ha reso complice della disperazione dei disagi e delle morti che oggi il popolo vive .

Mi vergogno d’aver sostenuto con il mio voto persone che pur di rimanere ben ancorati alla loro poltrona hanno messo a rischio la vita di chi su quella poltrona li ha messi

Benché che al momento viviamo in un paese dove non esiste più la democrazia continuo ad essere convinto che prima o poi si riuscirà a tornare alla normalità e spero che allora chi come me andrà al voto darà un bel due di picche a tutta la dirigenza del PDL rimandandoli a guadagnarsi il pane invece di stare li a nostre spese senza nulla concludere se non abbassare la testa solo ed esclusivamente per i loro interessi

gianmaria

La politica, in una democrazia liberale, non è «prendere o lasciare», ma rispetto dei diritti e delle libertà individuali. Per questo Alfano ha ragione

Braccia di ferroCon lo Stato che esige subito le tasse - anche quando ha torto: paga e poi si vedrà se hai ragione (solve et repete) - e onora i suoi debiti con annidi ritardo, e di fronte ai sempre più numerosi suicidi, il rifiuto del professor Monti della ragionevole (civile) proposta Alfano di poter scalare dalle tasse (dovute) i crediti (pretesi) rivela un totale disprezzo dei diritti dei cittadini. Ci volevano dei non eletti per dimostrare che un governo che non debba rispondere agli elettori è automaticamente dispotico. Altro che «democrazia sospesa»; qui siamo in pieno autoritarismo, mascherato da efficientismo, che sta distruggendo quel poco di democrazia liberale che c'era.

Confesso che, conoscendolo come persona intellettualmente onesta, ed essendogli amico, mi ero illuso che il cattolico-liberale Monti, se non proprio propenso a far prevalere l'umanesimo cristiano sulla (disumana) Ragion di Stato - che, peraltro, è teoria di un cattolico (Botero) - fosse almeno incline a ricordarsi di essere liberale. Invece, per dirla con lord Acton, «se il potere corrompe, il potere assoluto (incontrollato) corrompe assolutissimamente». Ho l'impressione che questi professori si prendano un po' troppo sul serio nel ruolo di «salvatori della Patria» e tendano a comportarsi con i cittadini come, probabilmente, si comportavano con i propri studenti.

La politica, in una democrazia liberale, non è «prendere o lasciare», ma rispetto (costituzionale) dei diritti e delle libertà individuali, nonché delle minoranze. Ma qui chi controlla? Non lo fanno i partiti in Parlamento, ormai supini - per incultura, debolezza e provincialismo - «a quelli che sanno». Non i media - che dovrebbero legittimare l'Ordinamento esistente, ma anche fornire al cittadino gli strumenti per capire e giudicare - e sono una sorta di neoMinculpop: «il Duce ha sempre ragione»; anche se Monti non sempre ce l'ha. Non un'opinione pubblica frastornata cui è stato fatto credere di essere in guerra - contro lo spread - le si nasconde che questo governo non è «la soluzione», ma sta diventando «un problema», e inclina verso un «fascismo di popolo».

Sono rimasto il solo a dirlo e mi spiace ripeterlo: è, nelle parole di Piero Gobetti sul fascismo, «l'autobiografia di una nazione». Altro caso. L'esenzione fiscale della prima casa non sarebbe una forma di «evasione fiscale» come sostiene il governo; ecco un altro (suo) tratto antidemocratico, per non dire illiberale.

La prima casa - spesso frutto del risparmio di una vita sul quale si sono già pagate le tasse - è un «bene primario» per i meno abbienti; che non hanno l'alternativa fra la casa e andare a dormire sotto i ponti. Dovrebbe essere la soglia minima oltre la quale il Fisco non dovrebbe andare in uno Stato che voglia essere davvero sociale. Invece, la sua esenzione è sprezzantemente equiparata a un reato; mentre, in nome della giustizia sociale, si sta massacrando di tasse (soprattutto) i ceti meno abbienti.

Piero Ostellino
Corriere della Sera

La coalizione di centrosinistra recupera più dell’11% dei consensi rispetto al 2007. Batosta della lista appoggiata dal centrodestra, i civici di “Alternativa” ottengono due seggi in Consiglio

riolo elezioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quello che balza agli occhi, come evidenziato nell’intera consultazione amministrativa italiana, è l’enorme crescita del partito degli assenti, coloro che a votare non ci sono andati.
Su 4.495 elettori, a Riolo Terme si sono presentati nei sei seggi in 2.989, ossia il 66,50%: più di un terzo dei riolesi (esattamente 1.506 aventi diritto) non si è espresso: la lista di centrosinistra “Uniti per Riolo Terme” ne ha ottenuti 1.638 (in crescita rispetto ai 1.540 del 2007), mentre “Alternativa per Riolo” si è fermata a 619 e “Insieme per Riolo” a 559.
C’è, insomma, il partitone del “non voto” di cui Nicolardi dovrà necessariamente tenere conto nella sua attività amministrativa, perché è fin troppo facile supporre che si tratti di una massa di persone a cui le cose non stanno bene, a partire da quanto hanno combinato le amministrazioni che si sono succedute, ma che non è rimasta convinta dai programmi delle liste d’opposizione e dai loro candidati.

lunedì 7 maggio 2012

Elezioni di Riolo Terme: L’affluenza scende dal 83% al 66%. La disfatta del centro destra ha molti padri: a Roma, a Ravenna, a Riolo

Elezioni Riolo Terme, risultati sindaco consiglio comunale 6-7 maggio 2012
Elettori: n 4502 
Affluenza: 66,49 % 
Affluenza precedente: 83,50%
Sindaco uscente:
Emma PONZI 

Sezioni scrutinate: 6 su 6

Candidato

Lista

Voti

%

Consiglieri

 Vincenzo Valenti

Insieme per Riolo

559

19,85

1

 Alfonso Nicolardi

Uniti per Riolo Terme

1.638

58,16

7

 Guido Catani

Alternativa per Riolo

619

21,98

2

Per ora, il Parco tradisce tutte le attese schiacciato tra le burocrazie della gestione pubblica e la mancanza di risorse

parco Gessi (77)

venerdì 4 maggio 2012

Il Pdl accelera sulla provincia unica tra Rimini Ravenna Forlì Cesena. Probabilmente è un’idea più attuabile di quella della Regione Romagna

provincia

“Alla dignità politico-amministrativa e territoriale di un popolo si preferiscono sempre interessi e logiche di partito e vengono stroncate sul nascere tutte le serie proposte autonomistiche che sollevino la Romagna dall’asse Bologna-Modena”.
Dice così Gianguido Bazzoni, consigliere regionale del Pdl, che è intervenuto ieri sul tema della provincia unica sollevato dall’onorevole Giancarlo Mazzuca. Unendo le tre province della Romagna, dice Bazzoni, “si creerebbe un’entità politico-amministrativa con un grande peso specifico, in grado di dialogare alla pari con Bologna e si verrebbe incontro alla necessità impellente di un riordino istituzionale”.
La strada, tuttavia, è complicata. “Il taglio delle province è un tema che portavamo avanti già dai tempi di Forza Italia con poco successo visto l’alt della Lega Nord e la titubanza di tante forze politiche - commenta il consigliere regionale - Le mosse del Governo Monti per trovare una soluzione al problema non sembrano portare nella direzione dell’abolizione ma in quella degli accorpamenti per ridurne il costo e razionalizzare l’assetto istituzionale in vista anche delle città metropolitane che interesseranno i centri maggiori del paese”.
Ma la Romagna è un ambito naturale per gestire le sfide del futuro (economia, sanità, aeroporti, università, infrastrutture), e l’area vasta è una scommessa sulla quale è necessario puntare.

giovedì 3 maggio 2012

Chapeau ai tecnocrati. La fantasia non è più al potere

pict011Che tipi sono questi che ci governano?Guardarli in tv, ogni volta che tengono banco in una conferenza stampa, dopo ore di Consiglio dei ministri e per annunciare decisioni di un certo peso, è istruttivo. Sono diversi da tutti coloro che li hanno preceduti, intanto. Non sono la classe dirigente liberale di un’Italia fondata sul voto per censo o su uno stato monarchico e albertino dalle basi ristrette. Non sono i gerarchi e i burocrati del ventennio fascista. Non sono i partiti della Repubblica nata con il referendum e la Costituzione del 1948. Non sono nemmeno le squadre di Berlusconi o di Prodi o di D’Alema.

E’ gens nova. Si vede a occhio nudo che non devono essere rieletti. Che sono preoccupati fino a un certo punto di non irritare Parlamento e partiti che votano la fiducia, ma non devono guardarsi da una coalizione che gli sta con il fiato sul collo né dal fuoco di batteria di un’opposizione che voglia bastonarli. Si vede che tengono prima di ogni altra cosa all’efficacia dell’azione che perseguono, si vede il riflesso anche vanitoso e procedurale, magari intellettualistico, della agognata reputazione pubblica di amministratori sagaci, severi, responsabili. Dopo cinque mesi e a fronte di decisioni tardate decenni, che incidono su interessi popolari larghi e su poteri anche forti, come il divieto di partecipazioni incrociate in aziende finanziarie concorrenti, ancora latita quello spirito compromissorio, quell’aria del guardarsi le spalle, che ha sempre aleggiato sulla comunicazione politica dei governi repubblicani, sia nell’epoca della proporzionale e della lotta ideologica sia nell’epoca del bipolarismo di coalizione aggressivo e propagandistico.

Che risultino simpatici è troppo dire. Sollecitano invece un senso di distacco, sottolineato dalla rottura di un rapporto abitudinario, pro o contro, che è sempre tipico delle situazioni conflittuali in situazioni di democrazia elettorale. Ma che uso farne, di questo distacco psicologico? L’andazzo tra le classi dirigenti politiche e di establishment è ormai quello dello scetticismo, se non del disprezzo per gente priva di “visione”, perché certi amori poi durano poco, se non vengano sollecitati con metodi ruffiani possenti, ai quali siamo stati abituati in passato. Eppure c’è spazio per un’impressione banale, che non implica l’attribuzione ai tecnocrati di una, appunto, visione redentiva e salvifica della politica di governo di una grande nazione industriale e sviluppata. Forse stanno facendo quello che unanime il ceto politico e istituzionale ha chiesto loro all’atto della formazione dell’esecutivo, forse è gente che entra nel merito, che cerca soluzioni, che non ha troppi grilli per la testa, che coltiva con moderazione le proprie ambizioni, sebbene le onori come tutti fanno. Forse sono persone informate dei fatti di cui discutono. Il loro modo di parlare, di porre le questioni, sembra coincidere con le questioni stesse, senza via di scampo, senza via di fuga. La fantasia non è più al potere. Non è più al potere la libertà della politica di giocare sull’essere e sull’apparire, di trascinarsi su e giù per la zona grigia della ricerca del consenso, anche attraverso l’uso civile e legittimo di un certo senso del mendacio, di una certa spavalderia nel rilancio poco motivato e argomentato, illusionistico, delle soluzioni possibili e impossibili ai problemi che ci circondano. Tremonti che dice di Brunetta che “è proprio un cretino” a Sacconi che aggiunge fraternamente “non lo ascolto nemmeno” in questo quadro non lo si vede. E non si vede Pecoraro Scanio dietro Padoa-Schioppa, e tra i due il ruminare deboluccio di un Prodi o di un D’Alema. Lo spettacolo è molto cambiato e non è più uno spettacolo.

Piero Giarda svolazza sulla propria fisionomia di uomo serio e mite, un eroe di Laurence Sterne dalla fisiognomica settecentesca, Enrico Bondi è subito nella versione del killer a titolo gratuito, dunque un po’ sadico, Grilli ha ingoiato uno scopettone di piombo fuso, Catricalà le ha viste tutte ma ha imparato a contenere bene la sua onnisaggezza, e Monti addirittura pensa a quello che dice, centellina con lentezza risposte e understatement, riducendo in polvere la vecchia pretesa dei giornalisti di palazzo di farsi una passeggiata con le scarpe chiodate sul corpo del potere. Dalla solita ora, ora e mezzo di conferenza togata dei ministri tecnici si esce stupefatti, incantati e stremati, e con un grado di diffidenza fatto così: ma davvero ci è capitato di selezionare della gente che entra nello specifico delle questioni con una certa aria di competenza e di disinteresse personale e di gruppo, a parte i vezzi accademici e una certa inevitabile supponenza? E allora si spiega la reazione negativa di ceto dei politici professionali, e l’indulgenza dei non-prof. come il Cav.

Giuliano Ferrara
Il Foglio

mercoledì 2 maggio 2012

11 punti per tagliare la spesa. Dopo il clamoroso flop di Tremonti, preceduto da quello di Padoa Schioppa, il controllo della spesa pubblica italiana sembra una chimera irraggiungibile perché le resistenze sono insuperabili

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    In 11 punti la direttiva predisposta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per la definizione della spending review: dalla riduzione in termini monetari della spesa per l'acquisto di beni e servizi, al ridimensionamento delle strutture dirigenziali ed il compattamento di uffici e amministrazioni. Il documento delinea i fronti su cui la Pubblica Amministrazione dovrà intervenire per contribuire a bloccare l’esubero di spesa.

    In sintesi:

  1. l’attività di revisione della spesa di ogni amministrazione dovrà concentrarsi sulla revisione dei programmi di spesa e dei trasferimenti, «verificandone l'attualità e l'efficacia ed eliminando le spese non indispensabili e comunque non strettamente correlate alla missioni istituzionali»

  2. razionalizzazione delle attività e dei servizi offerti sul territorio e all'estero, «finalizzata alla riduzione dei costi e alla razionalizzazione della distribuzione del personale, anche attraverso concentrazioni dell'offerta e dei relativi uffici»

  3. la riduzione, «anche mediante accorpamento, degli enti strumentali e vigilanti e delle società pubbliche»

  4. la riduzione in termini monetari per la spesa per l'acquisto di beni e servizi» anche attraverso l'individuazione di responsabili unici della programmazione di spesa

  5. una «più adeguata utilizzazione delle procedure espletate dalle centrali di acquisto e una più efficiente gestione delle scorte»

  6. la ricognizione degli immobili in uso e la riduzione della spesa per locazioni, «assicurando il controllo di gestione dei contratti»

  7. l'ottimizzazione dell'utilizzo degli immobili di proprietà pubblica anche «attraverso compattamenti di uffici e amministrazioni»

  8. la «restituzione all'agenzia del demanio degli immobili di proprietà pubblica eccedenti i fabbisogni

  9. l'estensione alle società in house dei vincoli vigenti in materia di consulenza

  10. l'eliminazione di spese per rappresentanza e spese per convegni, salvo casi eccezionali come i rapporti con le autorità estere

  11. la proposizione di impugnazione avverso sentenze di primo grado che riconoscano «miglioramenti economici progressivi di carriere per dipendenti pubblici, onde evitare che le stesse passino in giudicato».

Tanti auguri Monti: è una missione impossibile, ma facciamo il tifo per te.

Riolo si prepara al voto di Domenica

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Invece di chiedere crescita e libertà economica si ostinano a difendere una legislazione invecchiata male

lavoro“In Italia siamo tanto pronti a batterci per le tutele formali del lavoro, per i diritti del lavoratore, quanto pronti a chiudere non uno, ma due occhi su tutto quel lavoro irregolare e su tutte quelle persone che il lavoro non ce l’hanno”. Così ricordava (cito a memoria) Pietro Ichino in una conferenza qualche mese fa. Quello che dovremmo ricordare oggi, nella Festa dei lavoratori, è che tutte quelle tutele formali contenute nelle leggi del lavoro, create per difendere il lavoratore dalla disoccupazione, garantirgli un salario non troppo basso e difenderlo dai “ricatti” del datore di lavoro, semplicemente non sono bastate.
Non sono bastate per difendere dalla disoccupazione, visto che solo il 56,9% degli italiani in età da lavoro è occupata. Non sono bastate per garantire un salario alto, visto che  secondo l’OCSE i salari netti degli italiani sono fra i più bassi in Europa. E non sono bastate per difendere i lavoratori dai ricatti del datore di lavoro, visto che, ad esempio, gli abusi nell’uso di contratti di lavoro sono stimabili in numero enorme.

La tutela reale al lavoratore, in termini di occupazione e di buoni salari, deriva dalla crescita economica. La crescita economica è la condizione necessaria perché si creino nuovi posti di lavoro. E maggiori opportunità di lavoro significano anche una maggiore possibilità per il lavoratore di rifiutare condizioni di lavoro svantaggiose. Al contrario, oggi, troppi lavoratori si trovano in una situazione per cui, pur di avere un lavoro, devono accettare qualsiasi condizione (ad esempio: aprire una partita IVA per fare un lavoro da dipendente, o firmare già al momento dell’assunzione la propria lettera di dimissione con la data lasciata in bianco).

Parlando di temi occupazionali, viene spesso fatto il confronto tra l’Italia e i paesi del Nord Europa dove sono stati raggiunti tassi occupazionali fino a quasi venti punti percentuali più elevati di quelli italiani (74,1% in Svezia, 69% in Finlandia e 56,9% in Italia, nel 2011). Un confronto che viene ricordato di meno è quello tra gli indici che misurano in questi Paesi la diversa libertà economica, ingrediente essenziale della crescita economica. Si dirà che di differenze tra Italia e paesi nordici ce ne sono tante;  questa però è troppo profonda per passare in secondo piano. Tra le tante classifiche, l’indice dell’Heritage Foundation per il 2012 indica che Finlandia e Svezia raggiungono rispettivamente la posizione 17 e 21 per libertà economica (i cui parametri principali sono: rule of law, governo limitato, efficienza nella regolamentazione e apertura dei mercati) mentre l’Italia è 91, dopo l’Azerbaijan, ma prima dell’Honduras. L’aumento dell’occupazione e la crescita economica non possono insomma fare a meno della libertà dell’iniziativa economica degli individui, libertà che deve essere reale e non soltanto scritta sulla carta costituzionale.

La mia impressione è che ancora troppe persone, a cominciare dai rappresentanti dei lavoratori, invece di chiedere crescita e libertà economica, si ostinino a difendere una legislazione sul lavoro vecchia di decenni e che semplicemente ha dato prova di non essere sufficiente a garantire quegli obiettivi di cui si faceva paladina. Quest’anno il Lavoro, per la sua festa, vorrebbe avere in regalo meno leggi e più crescita economica

Emilio Rocca
Istituto Bruno Leoni