domenica 13 maggio 2012

Bisogna unire centro e destra, tutti per l’Italia: i tenori della destra e i falchi vogliono rompere con Monti. Ci sono le condizioni? Si può fare una rivoluzione antieuro? No. E allora?

unireLady spread rialza la testolina minacciosa. I greci e gli spagnoli ci mettono del loro. In questa situazione i tenori della destra come Feltri vogliono che Berlusconi rompa con Monti. I falchi del Pdl vogliono la stessa cosa. Girano tutti come trottole impazzite intorno a quanto è noto. Se nessuno trascina il popolo delle libertà da qualche parte con un po’ di sale in zucca, con qualche ragione identitaria legata al paese in cui abitiamo, e questa si chiama linea politica, il popolo sta fermo ai dati certi: Berlusconi aveva vinto le elezioni e il suo governo si è disfatto per lasciare il posto a un usurpatore che mette le tasse e parla difficile, l’euro porta male al portafoglio e al patrimonio immobiliare, l’austerità finanziaria non è la via per rilanciare l’Italia e l’Europa, e giù fischi. Ecco, potrei dire che sono d’accordo. E perfino che sono d’accordo da prima, da quando sostenevo le elezioni sotto la neve. O da prima ancora: da quando scrivevo e dicevo, regnante un molto distratto Berlusconi e ghignante un molto austero Tremonti, che bisognava frustare l’economia e arginare lo strapotere tedesco sul governo della moneta unica con una strategia espansiva fondata alla fine su una cosa sola, il potere della banca di Francoforte di battere moneta accoppiato a riforme strutturali per decreto e a misure di abbattimento del debito sulla linea indicata con una certa chiarezza dai mercati e dallo spread.

Non abbiamo, in questo giornale, aspettato nemmeno l’avvitamento della fine degli anni zero, con le manovre a rotta di collo per fronteggiare le varie crisi venute prima dall’America della bolla del real estate o dei titoli spazzatura e poi dall’Europa dei titoli pubblici, chiedevamo fin dalla vittoria elettorale del 2001 di governare in deficit la crisi, e la base era la riduzione della pressione fiscale, sempre con misure che facessero fare agli italiani, a questa economia indolente e furba che non investe e consuma e spende al di sopra delle sue forze, uno sforzo di competitività e di produttività gigantesco. La questione è lì. Rompere questo equilibrio precario, e andare contro Monti, sarebbe possibile soltanto se potessimo parlare la lingua di Paul Krugman e di Tim Geithner (vedi rubrica delle lettere): no a misure recessive di tipo tedesco, sì a misure espansive di tipo americano. Figuriamoci: dimostrateci che si può fare, e siamo più falchi dei falchi.

Ma non si può fare. Noi abbiamo subito il paradigma della Germania. Lo abbiamo subito troppo, ma alla fine la differenza tra noi e l’America è quella: da noi la moneta si difende con il moralismo spesso autodistruttivo della disciplina fiscale, anche in presenza di tendenze recessive che l’austerità incentiva a spirale, da loro si stampa moneta e si tengono basse le tasse, e non c’è moralista del deficit che sia capace, repubblicano o democratico, di imporre una stretta quando si è in distretta. Abbiamo appena approvato il pareggio di bilancio, firmato Berlusconi. O no? O sbaglio? O ho perso la Trebisonda e ho le traveggole?

Andiamo, via. Non facciamoci ridere dietro. Ci sono le condizioni per rompere il ciclo dell’euro, ne abbiamo la forza, ce la dà Hollande questa forza? No, non ci sono. Siamo prigionieri di qualcosa che, vista la condizione assistita e parapubblica di tanta parte della nostra economia di welfare, ha anche i suoi aspetti positivi, e quelli negativi oggi in bella evidenza si possono correggere solo con gradualità politica, nell’ambito di patti, fiscali o per la crescita, il cui senso è fissato da una Banca centrale che può immettere liquidità nel sistema, con molti mal di pancia di chi conta nell’economia europea, ma non può battere moneta e dissuadere i mercati dal ricattarci con la loro misura, spesso assai oggettiva, di quanto valiamo al cospetto dei debiti pubblici e di una produttività e competitività declinati nel mondo senza frontiere.

E allora, visto che la rivoluzione non si può fare, visto che ci tocca partire dal pareggio, addirittura in Costituzione, visto che facciamo parte di una carovana, la cura è, con tutti i correttivi indispensabili, quella di Monti e soci. Inutile spacciare illusioni. Inutile pensare che la questione delle tasse si ponga oggi come quella scelta che ieri era forse possibile tra modelli diversi di sviluppo dell’economia. Inutile prendere per il sedere la gente, perché alla fine il risultato di un’Italia che si ritira dai compiti a casa, che rompe l’equilibrio per un’alzata d’ingegno di Berlusconi, che fu l’autore della soluzione decisa a novembre insieme a Napolitano, sotto la sferza della Merkel, è la rovina di chi si ritira. Non è che alla fine sono tutti bamba, e tutti sono pronti a bersi che una rivolta oggi è un uovo migliore della gallina domani.

Dunque non si può. E allora? Come convincere gli elettori a votare e a votare con  discernimento? Come impedire una radicalizzazione patologica, un riprendere a darsele come prima, stavolta presumibilmente a parti invertite con un governo Vendola-Di Pietro-Bersani? Bè, non è così complicato. Casini ha capito che non becca un solo voto in uscita dal Pdl. Che il terzo polo serve a niente. Che a certe condizioni il suo rio destino, e cinico e baro, è quello di reincontrarsi con il mondo da cui fu scacciato (sbagliando). Berlusconi sfrutti il momentum, ma non strumentalmente, non solo per sbaragliare i suoi arcinemici che ardono dello stesso desiderio che infiamma i suoi amici tenori della destra e i suoi falchi, la rottura e la sconfitta elettorale più o meno a breve; sfrutti il momentum per fare un discorso di responsabilità politica agli italiani, per rimettere in piedi uno schieramento riformatore e liberal-moderato che, nel segno della continuità controllata con l’esperienza appena iniziata del governo Monti, dunque di una convergenza tra tecnica e politica, proponga e imponga un “tutti per l’Italia” che metterà in imbarazzo grave la sinistra di Vasto e la indurrà a più miti consigli. Per non parlare del lutto che metteranno i mozzorecchi di Repubblica e i manettari di tutte le risme. Il popolo, se guidato, seguirà.

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FOGLIO QUOTIDIANO

Giuliano Ferrara

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