mercoledì 17 novembre 2010

La desolata solitudine di un leader

pict005Anche a Casola Valsenio, in ambienti cattolici peraltro insospettabili, era piaciuta la sfida di Gianfranco Fini a viso aperto contro Berlusconi: il suo spavaldo “che fai mi cacci?” è risuonato a lungo come un grido di battaglia e ha fatto scaldare il cuore a un vasto e variegato mondo anti-Cav. La “narrazione” prevalente ha avuto anche toni leggendari: il giovane (si fa per dire) leone che sfida il vecchio capobranco in uno scontro all’ultimo sangue e grazie alla sua forza e al suo coraggio conquista lo scettro del potere e il rispetto di tutti.
La favola però è durata poco e anche l’entusiasmo per la sfida finiana è andato via via affievolendosi. Un conto è appassionarsi all’epopea di un Re Leone che con una zampata atterra l'avversario, un altro fissare le mille giravolte di un avvoltoio che attende dall’alto lo stramazzare della preda.Il clima attorno a Fini è cambiato e a parte il circolo dei suoi fans molti cominciano a spazientirsi e a chiedersi dove vada a parare la tortuosa traiettoria di Fli. La nuova aria si è cominciata a respirare sui giornali, anche quelli che con Fini hanno a lungo simpatizzato. Pierluigi Battista sul Corriere ha paragonato il presidente della Camera al ribaltonista Clemente Mastella; Galli della Loggia lo ha messo alla stregua di Oscar Luigi Scalfaro che è tutto dire. Più di recente al coro dei delusi si è aggiunto il direttore di Europa che per vari mesi ha fatto per Fini un tifo sfegatato. Ora si dice preoccupato per la brutta piega presa dagli eventi: “Non manderemo giù lo spettacolo di Berlusconi sconfitto grazie ai misteriosi riti di Bisanzio. L’ultima cosa che gli italiani aspettano adesso dalla politica. Il modo peggiore per liberarsi di Berlusconi e inaugurare una nuova stagione”.
Più o meno la stessa delusione l’ha registrata Marco Travaglio su il Fatto Quotidiano. Dopo un breve e turbinoso idillio all’insegna del comune odio anti-Cav, Travaglio ha vergato un duro editoriale in cui ha accusato Fini di imbarcare senza discernimento alcuno tutti i transfughi del Pdl, mettendo così a repentaglio quella comune aspirazione alla legalità che per un momento aveva unito i loro palpiti.
Filippo Facci che, seppure dalle colonne di Libero, a Berlusconi non ne ha mai fatta passare una, ora guardando il melmoso scenario pre-crisi si lancia quasi in una dichiarazione d’amore: “Ne hai fatte di stupidaggini e le sconterai tutte, ma lasciaci il piacere del beau geste, la soddisfazione di avere finalmente qualcosa da perdere nel poterlo dire: che non ce n’è uno - dico uno, dico uno – di cui tu non sia spaventosamente migliore”.
Nel contempo cosa ha messo nel suo carniere il prode Fini in questi mesi di caccia grossa al Cavaliere? Se si guarda ai fondamentali della politica e non ai suoi ludi cartacei, molto poco. Il gioco delle alleanze per quanto frenetico lascia immaginare scarsi risultati. Sul fronte di una ipotetica alleanza con Casini, pur volendo ammettere che il leader dell’Udc sia interessato a mettere in gioco la sua primazia sul centro, guadagnata con una faticosa traversata del deserto, per favorire qualcuno che solo ora riconosce i suoi errori, resta difficile ignorare l’altolà di Avvenire. La postura ideologica di Fini è infatti, secondo il direttore del giornale dei Vescovi, ispirata al “più piacione dei relativismi” e “il ronzio di fondo che l’accompagna” ricorda “le sicumere dell’anticlericalismo proprio di un’Italia liberale con tutti tranne che con i cattolici”. Si può esser certi che Casini abbia preso buona nota.
Con l’Mpa di Lombardo i finiani sono andati finora d’amore e d’accordo. Quel pugno di voti in più era congeniale alla tattica da guerriglia parlamentare che tanto ha entusiasmato i futuristi. Però ora il presidente della regione Sicilia è indagato per mafia all’interno dell’operazione dei Ros “Iblis”, che ha portato all’arresto di 47 persone, tra politici e affiliati a Cosa nostra etnea, con le accuse di associazione mafiosa, omicidio, estorsioni, rapine e d’aver gestito e pilotato gli appalti pubblici sul versante orientale della Sicilia. Lungi da noi prendercela con Lombardo in questa fase delle indagini, ma l’integerrimo Granata che lo sostiene in Sicilia e i nuovi araldi della legalità che a Roma ci fanno comunella potrebbero avere  qualche problema dopo tutto quell'accanirsi contro Dell'Utri e i suoi eroi. Senza contare che Fini potrebbe prima o poi trovarsi a fare i conti con le dichiarazioni di Lombardo che considera l’anniversario dell’Unità d’Italia come un giorno infausto e luttuoso per il suo Meridione, mentre il presidente della Camera non cessa di tesservi attorno la sua retorica patriottarda.
Sul fronte del Pd sono mesi che c’è un gran fervore di sguardi e d’intese. Ma con il passare del tempo il flirt sembra essersi raffreddato. Un po’ perché Fini non si è ancora deciso a staccare la famosa spina lasciando Bersani con l’acquolina in bocca ma a digiuno di risultati. Ma è soprattutto Bersani che ora ha molti dubbi: con Vendola che conquista sempre maggiore influenza e che di Fini non vuole neppure sentir parlare le cose si complicano. E il segnale venuto da Milano con la vittoria di Pisapia alle primarie dimostra che anche a sinistra c’è un limite ai trasformismi e che non tutto può essere sacrificato al solo scopo di ottenere il cadavere (politico) di Berlusconi.
Così Fini, seppure circondato da folle festanti (ma politicamente corrette) e da un via vai di parlamentari (ma non è campagna acquisti) sembra destinato a percorrere una strada politicamente solitaria. “La solitudine di un leader” era il titolo dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sabato sul Corriere della Sera. Era dedicato a Berlusconi, ma paradossalmente il titolo si attaglia molto bene anche a Fini. Se la politica ha ancora una sua logica è difficile intravedere per Fini una strategia di alleanze che possa sostenere le sue imponenti ambizioni: rifondare il centro-destra, cambiare l’Italia, avviare una stagione di grandi riforme, sedersi a palazzo Chigi o al Quirinale.
O il presidente della Camera ha un’arma segreta, e fatichiamo a immaginare quale, oppure il ruggito del Re Leone si trasformerà presto in un languido miagolio.

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