giovedì 2 febbraio 2012

Lusi e la riforma dei partiti

lusiQuando nacque il Pd lanciammo una proposta provocatoria: fate un partito leggero, all’americana, senza iscritti, gruppi dirigenti pletorici, giornali, altri oneri organizzativi territoriali e apparati vari. Fate un cartello elettorale a vocazione maggioritaria, che deve garantire procedure democratiche, le primarie, per mandare al governo o all’opposizione leadership forti. Saranno il capo dell’esecutivo o dell’opposizione, e a scendere i deputati e senatori della maggioranza o della minoranza, e poi i sindaci, i presidenti di regioni e province, gli assessori a esercitare il famoso primato della politica. Il partito sarà un arcipelago di associazioni, lobby, gruppi sociali diversi e sindacati uniti da una carta fondamentale e dall’adesione a un progetto politico, culturale e civico delegato a una classe dirigente eletta con procedure intrinsecamente legate alla società, ai suoi movimenti, alla vita civile e privata. Insomma, il modello americano. Questa provocazione l’avevamo fatta anche a Berlusconi, che aveva compiuto il primo passo in questa direzione quando era entrato in politica, e poi, per doversene pentire assai al momento della resa dei conti, aveva puntato su un partito tradizionale. Forza Italia doveva per costituzione rivoluzionare il sistema, riformare le istituzioni, imporre un nuovo modello, e non trasformarsi in un altro partito con i molti difetti che sappiamo. Nessuno ci ha mai davvero ascoltato. Qualche fremito, qualche tentazione, interviste compiacenti verso l’idea, ma poi la vittoria del tran tran, della routine politicista tradizionale.
Il caso del tesoriere della Margherita Luigi Lusi dimostra che il problema c’era. I partiti non sono riformabili, non saranno mai trasparenti in quanto apparati di consenso, ed è estremamente difficile ridurli alla ragion politica vera. Dalla crisi della Repubblica in cui i partiti per lo meno erano ideologia e cultura costituzionale si era usciti diversi, e un nuovo modello si imponeva. Il centro della faccenda è il problema del finanziamento, che è sempre stato poi un punto dolente della nascita del Pd, con le tesorerie dei partiti d’origine restate separate e molte altre storie un po’ surreali in tema di soldi. I partiti, non per un omaggio alla tecnocrazia di Monti ma in ossequio alla lezione della democrazia americana, hanno un solo vero compito: raccogliere soldi e voti. Il resto devono farlo gli eletti, coloro che guidano le diverse istituzioni, in una dialettica sana e conflittuale, ma senza caricare partiti post ideologici di compiti generalisti che non corrispondono più nemmeno alla loro natura. I partiti devono fare fund raising, e misurare con i fondi raccolti la prima fascia di consenso necessaria a promuovere una classe dirigente. Il resto è chiacchiera, burocrazia, spesso cattiva amministrazione e casette in Canada.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

Giuliano Ferrara

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