venerdì 3 febbraio 2012

La riforma del lavoro serve ai giovani, per non farli diventare davvero degli sfigati

tangTirannia delle parole. A seconda dei casi, della persona che le pronuncia, degli umori e della malafede di chi le ascolta, le parole portano più o meno fortuna. Il generale Cambronne è passato alla storia per aver risposto per le rime (con una parola irripetibile nei salotti) agli inglesi che, a Waterloo, gli intimavano di arrendersi. Quella stessa parola del generale di Napoleone, insieme ad un’altra di sicura efficacia come “sangue”, venne usata più di un secolo dopo, in modo meno eroico ma altrettanto efficace, da Rino Formica per dare una definizione sintetica della politica.

Un vice ministro del Governo Monti, Michel Martone, viene da giorni crocefisso ad un aggettivo (sfigato) ormai di uso corrente nel linguaggio di tutti i giorni, ma ritenuto offensivo dai giovani a cui era stato rivolto. Addirittura, in taluni circoli femministi, si è sostenuto che il vice ministro aveva ingiuriato le donne (l’accostamento, invero in malafede, è a tutti evidente e comprensibile, anche se non è il caso di approfondire). Da quando Martone ha definito “sfigato” un giovane che si laurea a 28 anni, si susseguono gli show televisivi che danno fiato a ragazzi indignati, mentre i grandi quotidiani sbattono in prima pagina le lettere di quanti difendono il loro diritto di restare più a lungo all’Università dal momento che non troverebbero comunque lavoro, anche se si laureassero prima e in corso.

Questa disavventura ha poi messo in moto una vera e propria aggressione mediatica nei confronti di Martone che viene accusato, in sostanza, di essere figlio di un padre importante e di aver percorso troppo velocemente la strade che portano all’affermazione personale. Ovviamente le due circostanze vengono messe in relazione tra di loro, trasformando il povero Martone in un raccomandato di ferro, dovendo pagare, in più, il fio di essere stato proposto, come componente del Governo degli Illuminati, da Maurizio Sacconi. E’ molto strano il mondo! A me è capitato di insegnare, a contratto per alcuni anni, nell’Ateneo in cui mi ero laureato. I miei colleghi – tutti già ordinari – avevano lo stesso cognome di coloro che erano docenti o assistenti quando io ero studente. E non si trattava di omonimia ma di parentela.

In realtà, Michel Martone, sia pure usando un termine più giovanilistico che ministeriale, voleva mettere a confronto le maggiori opportunità che si aprono, nel mercato del lavoro, per un giovane diplomato di una scuola professionale piuttosto che per un laureato, ormai prossimo a compiere trent’anni, in una materia che non ha sbocchi professionali. Gli è stato rimproverato di fare propria la cultura del successo, della responsabilità personale e di non considerare, invece, le circostanze oggettive che quella responsabilità mortificherebbero.

Partiamo dai dati di fatto.
In Italia il 6% dei giovani a 16 anni è fuori da ogni attività formativa. Il 26,5% degli effettivi di ogni generazione si diploma con un ritardo da 1 a 6 anni. Solo il 16,5% si impegna in un lavoro per cui ha ottenuto il diploma. Il 70% dei diplomati si iscrive all’Università anche se ha concluso gli studi precedenti in ritardo. Il 46% finisce fuori corso. Uno studente su sei è inattivo, non svolge neppure un esame all’anno. Uno su cinque abbandona lo studio. Il giovani italiani mediamente acquisiscono la laurea triennale a 25 anni, quella quinquennale a 27 anni (3 o 4 anni in più dei loro colleghi europei). Dopo la laurea (ad un anno) solo il 47% è occupato (6 anni orsono era il 57%) contro il 77% della Germania. E’ difficile caricare questa situazione sulle sole spalle dei giovani, senza ricordare, ad esempio, il fallimento della riforma universitaria che introdusse il modulo triennale allo scopo – poi fallito – di anticipare l’ingresso dei giovani sul mercato del lavoro.

Secondo un recente studio dell’Ocse un giovane italiano trova, mediamente, il primo impiego dopo 25,5 mesi dalla conclusione del ciclo formativo. Per acquisire un rapporto di lavoro a tempo indeterminato occorrono mediamente 44,8 mesi. Si tratta di performance tra le peggiori nei Paesi considerati. Per quanto riguarda il primo impiego hanno dati peggiori dei nostri soltanto la Finlandia (27,6 mesi) e la Spagna (34,6 mesi). Quanto al raggiungimento di un rapporto a tempo indeterminato stanno peggio di noi soltanto la Spagna e il Portogallo (con tempi superiori a 50 mesi). Negli Usa (miracolo della flessibilità!) i giovani entrano nel mercato del lavoro appena dopo 6 mesi. Più o meno come in Australia. Si tratta di un insieme di problemi da considerare nel momento in cui si affronta il tema della riforma del mercato del lavoro. Il Governo degli Illuminati farebbe bene a riferirsi – come ha fatto in altre materie – agli impegni assunti dal precedente esecutivo nella lettera di intenti del 26 ottobre 2011, che riportiamo di seguito, ad ogni buon fine.

Efficientamento del mercato del lavoro
È prevista l’approvazione di misure addizionali concernenti il mercato del lavoro.

1. In particolare, il Governo si impegna ad approvare entro il 2011 interventi rivolti a favorire l'occupazione giovanile e femminile attraverso la promozione: a. di contratti di apprendistato contrastando le forme improprie di lavoro dei giovani; b. di rapporti di lavoro a tempo parziale e di contratti di inserimento delle donne nel mercato del lavoro; c. del credito di imposta in favore delle imprese che assumono nelle aree più svantaggiate.

2. Entro maggio 2012 l’esecutivo approverà una riforma della legislazione del lavoro a. funzionale alla maggiore propensione ad assumere e alle esigenze di efficienza dell’impresa anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato; b. più stringenti condizioni nell'uso dei "contratti para-subordinati" dato che tali contratti sono spesso utilizzati per lavoratori formalmente qualificati come indipendenti ma sostanzialmente impiegati in una posizione di lavoro subordinato.

Si tratta di impegni giudicati validi ed efficaci dalla comunità internazionale, che nulla hanno da spartire con le tematiche aperte nel dibattito in corso, tutto incentrato sulle proposte della sinistra, rivolte a dare priorità alla stabilizzazione piuttosto che all’occupazione. Come se la c.d. precarietà (che pure è un problema grave) dipendesse dalle norme piuttosto che dall’andamento dell’economia. Invece, sono le norme sbagliate in materia di mercato del lavoro che potrebbero ostacolare l’occupazione e porre problemi alla crescita economica.

di Giuliano Cazzola
da L’occidentale

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