E' bastata una dichiarazione di Berlusconi sul caso Fiat - del tutto realistica e improntata al pragmatismo di chi ha la consapevolezza di muoversi nel mondo globalizzato - per scatenare la furibonda reazione della sinistra. Ma cosa ha detto di tanto scandaloso il premier? Semplicemente di valutare in modo "assolutamente positivo la possibilità di accordo tra sindacati e azienda in direzione di una maggiore flessibilità dei rapporti, del lavoro". Perché "se ciò non dovesse accadere - cioè se l’intesa venisse bocciata dagli operai - le imprese e gli imprenditori avrebbero buone motivazioni per spostarsi in altri Paesi".
Dunque Berlusconi non si augura - come lo accusa la segreteria della Cgil Camusso - che la Fiat lasci l'Italia, ma mette in guardia dal pericolo che, in caso di no al referendum, l'azienda che ormai non è più solo "italiana" avendo preso la statura di una multinazionale, possa decidere di trasferire altrove la produzione.
Lo scandalo, allora, non è Berlusconi, ma la sinistra in tutte le sue componenti, politiche e sindacali, che ha perso da tempo il contatto con la realtà e anche con quella classe operaia - che era storicamente stata la sua fucina di consenso - come dimostrano i fischi contro Vendola ai cancelli di Mirafiori.
Leggere ancora i rapporti sindacali con gli occhiali dell'ideologia significa non aver compreso che il tempo dei veti sindacali nelle grandi imprese e nei rapporti politici è definitivamente passato e non tornerà, e che le deroghe all'ingessatissimo contratto collettivo nazionale non sono un attentato alla democrazia in fabbrica, ma uno strumento indispensabile per consentire alle nostre imprese di competere nel mercato internazionale.
C'è un problema che si chiama "produttività" che non può essere ulteriormente eluso. Basta un solo esempio per dimostrare quanto sia ormai intollerabile il gap esistente tra l'Italia e gli altri Paesi europei: i 6.100 dipendenti dello stabilimento polacco della Fiat hanno prodotto nel 2009 quanto i 22mila dipendenti degli stabilimenti italiani del gruppo. E non è certo un caso se la locomotiva industriale chiamata Germania (Pil del 2010 +3 per cento) è il Paese diventato il laboratorio delle novità contrattuali più coraggiose, come quella della Siemens, che oggi ha accettato una clausola di protezione dal licenziamento per i suoi 130mila dipendenti ma nel 2004 firmò un accordo in deroga con i sindacati per portare l'orario di lavoro da 35 a 40 ore senza aumenti retributivi.
C'è una realtà nuova, insomma, innescata dalla concorrenza dei Paesi emergenti dove il costo del lavoro è enormemente più basso, che richiede risposte innovative per mantenere la competitività.
E’ qui che la sinistra dimostra tutta la sua arretratezza ideologica.
Per cui c'è il cartello che si riconosce in Vendola che vorrebbe ancora una rappresentanza del lavoro tutta politica in nome del vecchio antagonismo sociale e un Pd diviso tra l'anima riformista e quella più ideologica, che non riesce a prendere una posizione precisa perché non ha il coraggio di rompere con un passato col quale non ha mai fatto davvero i conti.
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