A questo ci hanno ridotti: rimpiangere i vecchi comunisti. Gente estranea alla realtà, che pretendeva di possedere la formula magica per cambiare il mondo a prezzo di fiumi di sangue. Preferibilmente altrui, ma anche il proprio quando necessario. Protagonisti tragici di una politica concepita come guerra di religione. Ma non insensibili ai valori borghesi di rispettabilità formale. Certo, Togliatti galvanizzava il suo popolo con l’annuncio di essersi ferrato gli scarponi per prendere a calci nel sedere De Gasperi, però sempre fasciato nel suo doppiopetto e geloso della sua dignità di capo carismatico. Berlinguer non era da meno, con l’aggiunta di una certa spocchia aristocratica. Leninisti quanto basta per sapere che la lotta delle idee passa per il linciaggio morale dell’avversario, ma non propensi a sporcarsi le mani in proprio.
Bersani non ha di queste remore. La volgarità del suo attacco alla politica di Berlusconi è già il primo colpo di cannone di una campagna elettorale senza quartiere, incurante di salvare il salvabile di quei rapporti umani che sono l’ossatura della politica. D’Alema non è da meno. Anzi ha in più, rispetto al suo Bersani, l’improntitudine di imputare a Berlusconi la responsabilità di aver inoculato nella politica italiana “uno stile squadristico, violento”. Occorre un’ineguagliabile faccia tosta per ignorare il lancio sistematico, che dura da anni, di palle di fango contro Berlusconi e trasformare in aggressore la vittima designata di una politica violenta. Una mistificazione che richiama il paradosso volterriano: “E’ un animale molto cattivo. Se lo prendi a calci, reagisce”.
Poiché quello che è fatto è reso, ecco il giovane Renzi, sindaco di Firenze, reclamare l’epurazione dei capi del Pd: “Rottamiamo questi leader tristi del Pd, o uno sbadiglio ci seppellirà”.
Colpisce, nell’aggressione della sinistra al governo, il miscuglio di virulenza e di debolezza. Il gruppo dirigente del partito è un coacervo di tribù nemiche tra loro, che si affida all’antiberlusconismo viscerale per non cadere in pezzi. All’antiberlusconismo e alla bolsa retorica delle parole in libertà. Bersani ha riesumato la vecchia formula ulivista, verniciata da “Nuovo Ulivo”, subito contestata dai veltroniani come “richiamo magico”, per supplire con un atto di fede nei “vecchi simboli” e la devozione dovuta ai decrepiti partitanti, il vuoto pneumatico del progetto politico.
Bersani & C. eccitano alla rivolta le turbe di precari della scuola creati dalla sinistra, infiltrano contestatori per accogliere con schiamazzi gli esponenti del governo nelle manifestazioni pubbliche, si sforzano di ridicolizzare il nuovo corso del rapporto con la Libia, annunciano lavori in corso per la definizione di un inesistente progetto per l’Italia, si azzuffano per aggiudicarsi la candidatura a premier come se avessero la vittoria in tasca. E bandiscono una grande alleanza “per una nuova riscossa italica” che esprime solo la speranza di occultare la latitanza delle scelte di governo dietro la solita ammucchiata contro Berlusconi.
Altro che “riscossa italica”. E’ la solita sinistra indecisa a tutto che cerca scampo nella simulazione di un fervore patriottico che tutto smentisce.
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