In molti ricorderanno Solyndra, azienda produttrice di pannelli solari e fiore all’occhiello delle politiche ambientali di Obama. Nonostante i 527 milioni di dollari erogati in sussidi alla compagnia di Fremont, California, l’azienda dichiarò bancarotta nel settembre dello scorso anno. L’episodio causò non pochi problemi al presidente Obama, travolto da quello che fu definito lo scandalo dei finanziamenti pubblici alle energie rinnovabili, a un anno di distanza dall’Election Day e alla vigilia delle primarie repubblicane.
Il peccato originale di Solyndra e dell’amministrazione Obama – che sulle politiche ambientali fonda buona parte del suo consenso – fu quello di alimentare un’imponente macchina da spesa pubblica nell’illusione di creare “green jobs”, posti di lavoro ecosostenibili per rimettere in moto l’America della crisi. Con la testardaggine di chi combatte contro i mulini a vento, si credette possibile mantenere in vita una realtà molto costosa e scarsamente produttiva tramite incentivi che avrebbero dovuto ovviare al problema di una tecnologia che impedisce tuttora al fotovoltaico di essere competitivo.
Solyndra, tuttavia, non fu l’unica a tentare l’impresa. Anche Optisolar, sorta nel 2004 nella stessa città di Fremont, ha seguito la medesima parabola della concorrente. Basando l’intero progetto su un paper della Hewlett-Packard, Optisolar puntò a ridurre i costi di produzione dei pannelli fotovoltaici riducendo al minimo l’impiego di materiali come l’alluminio e sostituendo il silicio amorfo a quello monocristallino. Inizialmente la green company riuscì a raccogliere 322 milioni di dollari da investitori americani e canadesi, siglando diversi contratti per la costruzione di centrali fotovoltaiche. Malgrado le premesse fossero ottime, però, la tecnologia a film sottile si rivelò meno produttiva e più costosa del previsto, non riuscendo a reggere il confronto con concorrenti come First Solar. La compagnia fallì e, nonostante l’attenzione riservatale in precedenza dai media, scomparve letteralmente nel nulla.
Non soddisfatto della sciagurata impresa, nel 2009 il team di Optisolar ha fondato la NovaSolar, acquistando gli asset della defunta compagnia e stabilendo il quartier generale a Hong Kong, con il supporto di investitori cinesi. Basandosi sulla stessa tecnologia che ha condotto l’azienda di Fremont al fallimento, la reincarnazione cinese della Optisolar è già prossima all’ennesima bancarotta nel mondo del fotovoltaico americano. La NovaSolar, infatti, ha già congedato 52 dei suoi 60 impiegati e sembrerebbe che da diversi mesi abbia smesso di pagare i rimanenti 8 lavoratori.
La propaganda dei sussidi all’energia pulita e dei green jobs si è risolta in un gioco in cui a perdere sono soltanto i contribuenti, i cui soldi vengono sperperati, e i lavoratori, che rimangono senza l’impiego loro promesso. Grazie all’ingenuità con cui accordano il loro consenso a chiunque prometta maggiori incentivi, gli ambientalisti hanno di fatto permesso che il mercato delle rinnovabili divenisse un business di relazioni tutto giocato sulla capacità di ottenere sussidi. Con l’insistenza di chi vorrebbe che gli asini volassero, sono pronti a combattere contro la realtà affinché questa si uniformi al loro ideale.
Nella mente di un ambientalista non è mai la tecnologia di cui disponiamo a non uniformarsi a parametri di efficienza, ma sono gli incentivi a non essere mai sufficienti. Ma se questo è un gioco a somma negativa, chi ne trae beneficio se non politici e lobbisti?
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