Nel 1963 si formò in Italia il primo governo di centro-sinistra. Per i suoi sostenitori era una breccia riformista e di modernizzazione democratica in un paese ingessato dalla Guerra fredda e dalla cultura classista, con i socialisti che si emancipavano dai comunisti di Togliatti. Per questo l’Avanti di Pietro Nenni fece un titolo esplosivo: “Da oggi ognuno è più libero”. Avevo undici anni e ricordo in merito il sarcasmo della mia famiglia comunista, divenni adolescente con l’idea che quella era una truffa riformista, feci le mie battaglie nei miei vent’anni, giuste e sbagliate, e poi me ne andai e diventai un robusto anticomunista di quelli che è semplice odiare con le viscere e il sentimentalismo da bacchettoni che imperversa in Italia.
Nel 1970 un vecchio socialista di nome Giacomo Brodolini, per santificare quel titolo dell’Avanti e la sua stessa vita, varò al governo lo Statuto dei diritti dei lavoratori, nel quale era detto, in un paese in cui i padroni si comportavano in modo autoritario, e l’economia era un’economia mista privato-pubblica sotto il controllo dello stato, e sostanzialmente autarchica, che nessuno poteva essere licenziato per motivi economici, serviva una “giusta causa”. Il Partito comunista, che non voleva concedere niente a quel titolo dell’Avanti di qualche anno prima, si astenne, non votò la legge. Una magistratura del lavoro che si educò, come l’altra, alla scuola militante e d’assalto di un marxismo abborracciato e fortemente contaminato dal solidarismo, rese quella “giusta causa” un tabù ideologico, culturale e sociale: in questo paese non si può licenziare, punto.
Il risultato storico è che i licenziamenti collettivi sono stati sempre fatti, perché le aziende che falliscono o sono improduttive o non possono andare avanti, ma per il resto il sistema delle imprese ha vissuto di immobilismo sociale e di assistenza e inciuci. Molti costi sociali, invece di pagarli i padroni, come avviene adesso con una riforma Ddl che ha elementi di generosa e giusta tutela del lavoro, invece di essere parte di una crisi di sistema che il sistema deve risolvere con gli investimenti (modello americano, modello tedesco di cogestione sindacale), furono addossati al debito pubblico. Una cappa di piombo di protezione sociale e di stato assistenziale privò di qualsiasi senso l’economia produttiva, fece di noi sudditi impauriti, nanificò le imprese, e portò nel tempo l’Italia, per un periodo anche con l’aiuto dell’egualitarismo salariale della scala mobile, a una situazione insostenibile e fallimentare che si è pienamente disvelata con l’euro e la globalizzazione economica.
Ora un governo tecnocratico, dopo che i governi Berlusconi e Prodi e D’Alema fallirono nel compito, ha varato una riforma della “giusta causa”, con i saggi complimenti di Giorgio Napolitano, anche lui un comunista che ebbe molti dubbi sul “moralismo storico” di Berlinguer, sostituto del materialismo storico di Carlo Marx, e ovviamente della Banca centrale di Francoforte. Il paese è subito ripiombato nell’ipocrisia, ci si dimentica che i consulenti del lavoro sono stati ammazzati come cani, si fa la rima Fornero/cimitero, si alzano nuove barricate, ci si aggrappa alla losca idea di un nuovo compromesso che mandi tutto in vacca. In nome di un po’ di senso storico, e in segno di riconoscimento a questi borghesi di sinistra e di centro che hanno fatto la cosa giusta al posto di una sinistra mai diventata riformista, pubblichiamo lo storico comunicato sul disegno di legge di riforma, firmato da Monti e Fornero, accostandolo a quel vecchio titolo dell’Avanti – DA OGGI OGNUNO E’ PIU’ LIBERO – che fece storia mentre noi facevamo ideologia, e non delle migliori.
Leggi Il governo approva la cosa giusta sull’art. 18 senza esautorare l’Aula - Leggi Il Cdm approva la riforma del lavoro. Eccola
FOGLIO QUOTIDIANO
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