Guardo il documento in tv del giovane anti Tav che insulta il giovane carabiniere a freddo, e lo provoca, e insiste, e gli ride in faccia, so che per quel rappresentante dello Stato che si sforza di rimanere impassibile non ci sarà una parola di elogio, che dico, di comprensione; ricordo il ministro comunista Oliviero Diliberto che organizza festosa accoglienza all’aeroporto di Fiumicino per Silvia Baraldini, terrorista italiana in carcere americano, scambiata senza rimorsi per la verità sulla tragedia del Cermis e da allora incaricata di progetto comunale dal sindaco Walter Veltroni, ma anche insignita di una ventina di cittadinanze onorarie, da Palermo a Bologna fino a Eboli e Venaria, Nord e Sud per una volta uniti nella celebrazione dell’eroina. Questo è il Paese che Leonardo Sciascia definiva “senza memoria e senza verità”. Peggio, solo certa memoria, solo certa verità, ed è per questa ragione che la riconciliazione diventa così difficile.
Non c’è solo la noncuranza, l’indifferenza, il disprezzo per le vittime e la sofferenza delle loro famiglie; non c’è solo l’ignoranza, il fastidio, la negazione dello Stato e della guerra civile che l’Italia ha dovuto sostenere in quegli anni tremendi. Dietro la facilità e l’incoscienza con la quale pubbliche istituzioni concedono incarichi ufficiali e consulenze importanti ad ex terroristi, dietro le scelte brutte sporche e cattive del sindaco di Milano Giuliano Pisapia, c’è la menzogna italiana su quel periodo, le sue ragioni, i suoi mandanti, c’è tutta intera l’ideologia del “sono compagni che sbagliano”, e c’è, intatta purtroppo, la transizione pure tutta italiana della fede e della cultura comunista al post comunismo senza che siano cambiate le certezze di fondo, senza che un solo vero ragionamento sugli errori, le bugie, le nequizie di quel progetto e di quel sogno sia mai stato fatto.
Sarà per questo che Pier Luigi Bersani si sbaglia e dice Pc parlando oggi del Pd, sarà per questo che circolano ancora i fogliacci dell’Anpi che negano le foibe, sarà infine per questo che non siamo credibili mai, né quando chiediamo indietro al Brasile il terrorista e assassino Cesare Battisti, e perfino quando non riusciamo a riprenderci i nostri due marò prigionieri ingiustamente in India.
Non è vero che si tratta di una dimenticanza, di una miopia, bipartisan, ché i terroristi neri hanno conosciuto una sorte ben più dura, nessuna campagna stampa, niente manifestazioni, e quelli che sono di nuovo nella società dei liberi si sono sottoposti e si sottopongono al necessario martirio quotidiano del ravvedimento e della vita nascosta, sapendo che una cosa è aver scontato la pena secondo le leggi e aver diritto a una vita normale, al lavoro, a una casa, agli affetti, altra è andarsene in giro ostentando rivendicazione, un certo orgoglio, e aspirare alla notorietà, a scrivere libri, a lavorare alla Rai, a prendersi senza vergogna cittadinanze onorarie concesse da consigli comunali e sindaci infami, perfino ad essere eletti nel Parlamento del nostro Paese.
Non è storia solo di oggi, è storia vecchia e impenitente. Nel 2006 sedeva in Parlamento Sergio D’Elia, già componente del gruppo terroristico Prima Linea, e Susanna Ronconi era chiamata dal ministro Ferrero a far parte della consulta nazionale sulle tossicodipendenze, e Giovanni Senzani, implicato nel sequestro Moro, già lavorava al centro documentazione della Regione Toscana, chiamato “Cultura della Legalità Democratica”. La Ronconi dichiarava: «Sicuramente non abbiamo vinto noi. La lotta armata di sinistra ha mandato in carcere cinquemila persone. Siamo stati sconfitti politicamente. Ma né lo Stato né le forze politiche parlamentari hanno vinto perché esistono ancora troppe ingiustizie sociali. E io trovo la società di oggi molto più ingiusta di quella degli anni Settanta». Pisapia ripete un copione ben noto, è comunista, sono compagni che hanno sbagliato. E i milanesi che lo hanno eletto sindaco che cosa pensano?
di Maria Giovanna Maglie
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