Aspettiamo il decreto sulle libertà economiche, la concorrenza, la mobilità sociale. Le bozze sono traditrici. Nel dettaglio della norma scritta in un modo o nell’altro si nascondono spesso fregature. Le bozze annunciano, ma solo i decreti mantengono. Una considerazione preventiva di metodo e di cultura politica però è possibile fin da ora. Se Monti e i suoi stamane faranno sul serio, chapeau. Non si possono irridere le ragioni delle categorie colpite da una restrizione del potere corporativo, e dei grandi poteri paramonopolistici pubblici messi in difficoltà: farmacisti, conducenti di taxi, benzinai, professionisti, colossi dell’energia e delle assicurazioni e del trasporto, tutti hanno le loro ragioni. Ma la ragione delle ragioni di un decreto di rottura, se mai ci sarà, è quella che ispirò la (mancata) riforma dell’articolo 41 della Costituzione, la leva che Tremonti e Berlusconi promisero di usare, senza procedere oltre, per far saltare il mercato chiuso, l’immobilismo, l’isolamento dell’economia italiana dalla logica europea, occidentale e globalizzata dei mercati aperti (e le più modeste ma pratiche lenzuolate di Bersani andavano nella stessa direzione). La crescita dell’economia italiana è insufficiente secondo ogni possibile standard, e assommata alla crisi del debito ha una natura esplosiva, critica. Bisogna rimettere in moto qualcosa con dei cambiamenti non indolori.
Sono chiacchiere, direte. In uno spirito litigioso e nichilista, alla fine, si può sempre dimostrare che qualche interesse viene salvato, che l’apertura è condizionata dalla natura e dagli scopi di questo governo e del blocco bancario che lo sostiene, che si è forti con i deboli e deboli con i forti. Ma c’è il sospetto politico che siamo alla vigilia di un big bang, di un tentativo di dare un nuovo inizio a una vecchia storia che si è consumata. Le condizioni politiche sono quelle note. Il paese è in amministrazione controllata. La democrazia e il sistema politico di comando e di opposizione che non hanno prodotto le riforme necessarie sono stati sospesi di qui al 2013 almeno. Non è detto che i curatori fallimentari di questa fase aperta dalla resa politica dei partiti ce la facciano, ma nel caso non si può tifare che per il successo.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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