Lo stridio dei freni si sentiva fin nei corridoi di palazzo Chigi, venerdì 20 gennaio, durante il Consiglio dei ministri no stop. Otto ore di discussione tra furori liberisti e il realismo di chi, preoccupato dalle fughe in avanti, messo sotto pressione da lobby forse meno rumorose ma ben più radicate dei tassisti o dei camionisti, ammoniva che il meglio è il contrario del bene. Alcuni hanno rappresentato Antonio Catricalà, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, per sei anni predicatore disarmato dal pulpito dell'Antitrust, come campione delle liberalizzazioni. Mentre Corrado Passera, ministro dello Sviluppo, titolare del decreto, avrebbe assunto una posizione sistemica, con sfumature stataliste. Dagherrotipo troppo sfocato. Viene evocata la partecipazione di Intesa in Ntv, la società dell'alta velocità di Luca Montezemolo e Diego Della Valle: per non incappare in nessun conflitto d'interesse, nemmeno retroattivo, l'ex banchiere adesso sposa la cautela. Ipotesi maliziosa tanto quanto la dietrologia secondo la quale non conviene svalutare le Fs in attesa di accorparle dentro Cassa depositi e prestiti (Cdp) insieme a una buona fetta delle partecipazioni statali.
Certo Mario Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie, tira un sospiro di sollievo. Con lui Massimo Sarmi, perché non si farà nulla nei servizi postali, o Franco Bernabè, la cui rete telefonica non è nemmeno menzionata. Se la sono cavata i Benetton e i Gavio: la scala mobile delle tariffe non viene toccata, ogni anno sale per due terzi del costo della vita stimato dall'Istat. Il price cap (che lega il prezzo in rapporto all'efficienza del servizio e agli investimenti) resta un'ipotesi e a fare da argine ci pensa il presidente dell'Aiscat, l'associazione dei concessionari, Fabrizio Palenzona. I Moratti, i Garrone e gli altri petrolieri hanno difeso con successo la loro posizione: potranno rifornirsi a piacimento dal migliore offerente solo i benzinai proprietari dell'impianto. E qui i numeri ballano - le associazioni di categoria parlano di mille al massimo su 25 mila, il governo di 10 mila. Persino i tassisti hanno ottenuto una pausa di riflessione.
Dunque, l'unica a rimetterci è l'Eni, costretta a vendere Snam? Paolo Scaroni non si è messo di traverso e ha fatto bene, ma ci vogliono sei mesi per partorire un decreto che stabilisca tempi e modi del break up. Carlo Scarpa, docente di politica industriale a Brescia, sostiene che «è un termine ordinatorio non tassativo, quindi è di fatto un rinvio». Comunque vada, sarà ceduta l'intera società, cioè il ciclo integrato che va dallo stoccaggio alle bollette riscosse. casa per casa. Bisogna vedere se nuovi operatori potranno accedere, e in quali condizioni, a monte e a valle della rete. Poi occorre studiare le condizioni di mercato e capire chi saranno i nuovi azionisti. Cdp farà da baluardo, come è successo con Terna separata nel 1999 quando al ministero dell'Industria c'era Pier Luigi Bersani, messa in vendita nel 2004 da Antonio Marzano e controllata per il 29% dalla Cdp.
Il principio aureo della concorrenza per il quale si battono i liberisti di ogni ordine, grado e preferenza politica, dai bocconiani «di sinistra» come Francesco Giavazzi e Alberto Atesina ai ragazzi dell'Istituto Bruno Leoni guidati da Alberto Mingardi, che ogni anno pubblicano il loro indice della libertà economica, si basa sulla netta distinzione tra chi produce e chi distribuisce, con il fine di aumentare la competizione, migliorare l'efficienza e abbassare i prezzi. In Italia è sul tappeto rosso della politica dal 1994 quando al governo c'era Carlo Azeglio Ciampi. E ci resterà ancora a lungo.
Una cosa è scrivere eleganti formule sui libri di testo, tutt'altro è affrontare la realtà, vischiosa, infida, con i suoi potenti blocchi d'interesse. Chi controlla le reti controlla tutto. Il monopolio naturale dà un vantaggio incomparabile. Anche quando, come avviene nei telefoni e come accadrà sui binari, si è costretti ad aprire le infrastrutture ai concorrenti. Non solo in Italia. Gli spiriti liberalizzatori della Ue, ai quali Mario Monti ha dato un importante contributo come commissario alla Concorrenza, ripiegano stanchi di fronte a una crisi che impone altre priorità e alla pressione degli interessi costituiti. Prendiamo il gas. A Bruxelles il principale fornitore del continente, il colosso russo Gazprom, ha premuto per scongiurare la separazione delle reti. Preferisce stringere accordi tra monopolisti, senza contrattare in continuazione il prezzo, e magari offrire sconti in cambio di un ingresso come distributore sui mercati più ghiotti. L'esigenza di mantenere il controllo si fa più pressante ora che arriva un'offerta di gas non convenzionale da aree geografiche diverse rispetto a Russia e Nord Africa.
Un altro punto interrogativo riguarda le Authority. Sono già 13 e il governo aveva annunciato lo sfoltimento. Invece, ne nascerà un'altra per mettere sotto controllo i mezzi di locomozione pubblici esclusi gli aerei. Nel frattempo, l'Autorità che si occupa di elettricità, gas e acqua; estende il suo raggio d'azione a ogni tipo di rete, telefonia a parte. Con il pericolo che una soluzione nata come temporanea diventi permanente. Senza contare l'aggravio di compiti diversi: le bollette hanno poco in comune con i biglietti ferroviari e niente con il costo di un taxi. E che guaio mettersi a discutere con i Comuni se aumentare le licenze o come compensare i conducenti. Così, anche un organismo che ha funzionato bene, a giudizio di tutti, sia sotto Alessandro Ortis sia ora con Guido Bortoni, può diventare un carrozzone ingestibile.
Da Economy, 26 gennaio 2012
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