Ho saputo che Santoro è passato dal 12 al 5 per cento degli ascolti, che è sempre un risultato di spicco in un sistema di trasmissione alternativo, ma insomma siamo in discesa. La ragione è ovvia. Il talk show di contropotere non ha più niente da dire. Niente più Berlusconi. Niente più censura & martirio e buone liquidazioni. Monti è impermeabile all’assalto discontinuista, e se gli dicono di non andare da Vespa per vendetta contro le poltrone bianche che hanno ospitato natiche berlusconiane, lui ci va e bolla il pollaio come chiacchiericcio provinciale, come ondata di eccitazione psicodrammatica. Cosa volete che gliene freghi, a un signor tecnico, dello stupidario televisivo di lotta e di governo. Allora Santoro, privato del glamour presunto del giornalismo d’attacco a base di intercettazioni, puttane e numeri da circo antimafia con il dottor Ingroia che sponsorizza il pataccaro Massimo Ciancimino, scarta e si affida totalmente al travaglismo, che è efficace e promette di esserlo ancora per un po’. Ma fino a un certo punto
Il travaglismo inganna e rende ridicoli i molti lettori e fan di sinistra che ci cascano, ma è integralmente di destra, non ha la verniciatura di lotta e di rappresentanza dell’Italia sana e socialmente sofferente da sempre incollata in modo attaccaticcio sui vascelli dell’informazione di regime “de sinistra”. Di Montanelli, che era persona complessa e interessante, e che aveva un’esperienza diretta della politica e dell’anticomunismo, del potere e dei giri del denaro frequentati con goduria e lussuria da commedia umana, Travaglio mantiene solo l’aspetto minore, il qualunquismo, il vizio d’origine e di struttura dei tribuni che sgomitano per il potere e il quattrino a spese della credulità dei loro padroni lettori (e con l’ausilio di verbali e imbeccate questurine). Devo dire che spesso è efficace, perché in tutte le sue incarnazioni il potere italiano fa un po’ ridere, come si vede dai suoi divertenti editorialini su Passera, sui nuovi garanti della rispettabilità italiana in Europa, e sulla tendenza di fondo a cambiare tutto purché nulla cambi. Il camaleontismo italiano nasce dal fatto che trasformisticamente si passa di regime in regime, invece che cambiare governo secondo progetti di alternativa e seguendo la decisione del corpo elettorale. E in questa persistenza del regime, comunque sia, lo stile Travaglio ci sguazza, perché gli consente di suggerire ogni giorno al branco ideologico suo tributario che Berlusconi è sempre vivo, sempre caimano, sempre minaccioso, e tutto quello che di porco e maledetto combina il potere, sia facendo la volontà della Merkel sia non disfacendo l’Italia avida e goduriosa e sporcacciona della cartolina qualunquista, alla fine è colpa di Berlusconi.
Però che i Monti e compagnia si facciano impiccare a questi tableaux vivants, a questo gioco di ombre cinesi, è tutto da dimostrare. Berlusconi ci cascava, nel gioco dei suoi arcinemici, anche perché gli conveniva e ci vinceva le elezioni, questi qui invece sanno che a loro conviene disprezzare la masnada psicodrammatica, e tirare avanti con il paludamento dei tecnici e della loro autorevolezza. E senza lotte alla baionetta con un governo che magari dà bastonate e non risolve i problemi di prospettiva, ma fa tutto con un certo aplomb, sarà difficile mantenere anche quel cinque per cento, per me onorevolissimo risultato su circuito alternativo, ma per loro, dipendenti tossici dello share of voice e del marketing, un disastro senza consolazione.
Giuliano Ferrara
Il Foglio 11/12/2011
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