Può la lettura di una struggente quanto lucida lettera di Abramo Lincoln ad una vedova che nella Guerra civile americana aveva perso cinque figli, rivalutare l’opera di un Presidente? Non lo sappiamo. Di certo, però, ieri a New York, nella liberal New York, è accaduto qualcosa di impensabile: la folla commossa che pregava e piangeva i propri familiari morti in quella folle mattina di dieci anni fa, ha applaudito l’intervento di George W Bush. Un applauso sincero, spontaneo. Un applauso ancor più rumoroso perché seguito al silenzio agghiacciante che ha accompagnato le parole del Presidente attuale, Barack Obama. Sì, nella moderna e cosmopolita Big Apple, gli applausi sono stati tutti per il cow-boy texano. Per l’uomo accusato da più parti di aver trascinato gli Stati Uniti in due laceranti guerre a migliaia di chilometri da casa.
Era la prima volta che Bush parlava pubblicamente, dopo oltre due anni di voluto silenzio. Lo ha fatto con garbo e delicatezza, facendo risuonare tra le vasche del Memoriale perpetuo alle vittime della follia integralista le parole di Lincoln. Niente di suo, nessun commento diretto, nessuna parola roboante o retorica. Solo l’asciutta lettura di una lettera ad una madre disperata, ma fiera di essere americana. Ecco l’orgoglio, il senso di appartenenza ad una Nazione che altro non è che un insieme di Nazioni, popoli e identità. Bush l’ha capito, e si è comportato di conseguenza.
Barack Obama, invece, non entusiasma più. E’ una pila scarica, e lo si vede ad ogni occasione utile. Non riesce più a far breccia nel cuore degli americani, non sembra più in grado di far sognare il Paese. Prova ne è che lo slogan con il quale tenterà il bis alla Casa Bianca sarà centrato sulla parola “Hope”. Tutt’altra cosa rispetto all’ottimistico e formidabile “Yes, we can” del 2008.
L’avevamo detto, l’avevamo scritto: prima o poi la storia rivaluterà George Bush. Il tempo è galantuomo, sana le ferite, fa comprendere meglio (a patto che non si sia ossessionati o vittime di preconcetti di stampo ideologico o politico) quel che è stato. L’ex Presidente non fece altro che rispondere ad una dichiarazione di guerra subdola e vigliacca, ad una ferita enorme e non rimarginabile al cuore pulsante dell’America.
Bush ribadì con fermezza, nei fatti, che nessuno può permettersi di colpire i valori e i simboli degli Stati Uniti. Che nessuno potrà mai illudersi di spegnere il faro di libertà, fiducia ed ottimismo che l’America ha sempre rappresentato e che continuerà a rappresentare.
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