giovedì 28 luglio 2011

Quello che non torna nella difesa di Bersani

pierluigibersaniI politici inglesi di un certo peso tengono con accuratezza un’agenda dei loro incontri e contatti, corredata di date e motivi del colloquio. Spesso la citano per scagionarsi da accuse. Non deve essere questo lo stile di lavoro di Pier Luigi Bersani, il quale, per giustificarsi di aver introdotto nel 2004 l’imprenditore Gavio al compagno di partito Penati, allora presidente della Provincia di Milano, ha detto: «Il ministro delle attività produttive conosce tutti i principali imprenditori italiani. Li conosce, non li sceglie».

La risposta sarebbe corretta se l’avesse data Antonio Marzano. Perché - come è noto - era lui il ministro delle attività produttive nel 2004, quando il centrodestra stava al governo e Bersani all’europarlamento. Non per essere pignoli. Ma siccome da quel contatto scaturì poi una lunga storia finita con Penati che pagò 238 milioni di euro le azioni di Gavio dell’autostrada Serravalle, e con Gavio che contribuì alla cordata Unipol, Bersani capirà che ogni imprecisione danneggia gravemente la sua linea di difesa.
La verità è che con Gavio ci parlò da esponente dei Ds che si faceva intermediario presso un altro esponente dei Ds. Un affare di partito, insomma. E Bersani non deve, per la sua storia e per la sua responsabilità, confondersi con tutti quei politici che rispondono sdegnati ai sospetti lasciando cadere qua e là qualche data o qualche cifra inesatta, sperando che nessuno se ne accorga. D’altronde c’è un’aggravante. Perché se Bersani avesse ammesso, come sul Corriere gli abbiamo chiesto, che l’affare Serravalle fu politicamente improprio e sbagliato, allora gli si potrebbe perdonare il lapsus. Ma siccome non l’ha fatto, viene il dubbio che non sia un lapsus.

C’è una seconda questione di date che mi turba. Fonti vicine al segretario del Pd hanno detto ieri ai giornali che Tedesco fu candidato al Senato quando il leader era Veltroni: dunque altra gestione. Vero. Ma Tedesco non fu eletto. Fu poi nel 2009 che gli si regalò il laticlavio con un’operazione politica di cui sapeva benissimo Bersani, non foss’altro perché i giornali la raccontarono nei dettagli.
A sorpresa il Pd decise di non candidare più al Parlamento europeo Umberto Ranieri, che vi era talmente predestinato da essere stato nominato da tempo responsabile del partito per il programma elettorale, e candidò invece De Castro, all’epoca felicemente senatore. Fece così posto a Palazzo Madama per Tedesco, dimessosi da assessore della Sanità pugliese proprio perché indagato, che era il primo dei non eletti. Anche qui un’aggravante. il Pd lo fece non solo per proteggere Tedesco, ma anche per sfruttarne il consistente pacchetto di voti: perché l’uomo aveva minacciato di ritirare il suo appoggio ad Emiliano, candidato sindaco a Bari nelle contemporanee elezioni comunali, se non fosse stato promosso al Senato. Ma i pm, che sanno essere più furbi del Pd e che finché era assessore e dunque senza scudi non lo arrestarono, ne chiesero l’arresto una volta eletto.

A riprova che l’ipocrisia in politica prima o poi si paga. Sarebbe preferibile un Bersani che a testa alta avesse difeso il diritto di qualche suo senatore di negare un arresto ormai inutile, a un Bersani che finge di dimenticare come e perché Tedesco fu mandato in parlamento. In altre parole: è nel 2004 e nel 2009 che Bersani fece o avallò scelte politiche sbagliate. Se vuole essere credibile nel 2011 sulla questione morale deve cominciare con il riconoscerlo.

Antonio Polito
Il Corriere della Sera

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