Sono molto grato al Presidente Napolitano per la visita nella nostra città e per l’impegno che Egli profonde nella celebrazione dei 150 anni dell’unità d’Italia che ricorrono quest’anno e che rappresentano un punto fermo per tutti noi. Vorrei però stigmatizzare l’uso che il Comune di Ravenna, retto dalla sinistra, ha voluto fare della presenza del Capo dello Stato, per coinvolgerlo in commemorazioni di parte, come quella di Boldrini, che nulla aveva a che fare con il Risorgimento e l’Unità d’Italia. Il comandante Boldrini (Bulow) è una figura che ancora oggi divide: osannato dai comunisti e dai loro eredi, ma temuto e discusso da gran parte della popolazione delle nostre terre come emblema del terrore rosso che per anni investì il ravennate dopo la fine della guerra.
Non mi riferisco solamente alla strage di Codevigo, al Ponte della Bastia o alle tante uccisioni di persone ed intere famiglie che sono andate avanti per mesi ed anni e di cui non si è riusciti neppure a tenere un conto esatto. Penso anche alla pratica dell’omicidio politico per chiudere la bocca all’avversario, come quello del dirigente repubblicano Marino Pascoli, avvenuto proprio il 4 gennaio del 1948 e di cui il Vicesindaco Mingozzi non ha ritenuto di dire nulla né in occasione del giorno dell’anniversario, né quattro giorni dopo in occasione della visita del Presidente Napolitano.
Marino Pascoli, i cui assassini hanno girato liberi fra noi per decenni, così come quelli dei Conti Manzoni e di tanti altri, venne ucciso perché aveva scritto alcuni giorni prima sulla “Voce” organo dei repubblicani, un forte pezzo che dissacrava il mito dei partigiani, in linea con le posizioni politiche che lui ed il suo partito portavano avanti da sempre e che trovavano un larghissimo seguito nei ravennati. I punti salienti recitavano così:
“Prima di tutto dobbiamo distinguere i partigiani veri dai partigiani falsi. I partigiani veri sono coloro che hanno corso sul serio dei rischi, che hanno combattuto con fede per la liberazione d’Italia e questi, a dir il vero, sono pochi. I partigiani falsi che purtroppo sono la maggioranza, sono coloro che hanno fatto i teppisti mascherati, i collezionisti di omicidi e che andarono in giro con il mitra quando non vi era più pericolo, a fare gli eroi. Questa gente anche se è riuscita a munirsi di un brevetto o di un certificato, anche se oggi milita indebitamente nelle file dei partigiani, non bisogna avere nessuna esitazione a chiamarla teppa. Teppa da reato comune, macchiata di sangue, prepotenza e ricatti... Attenzione partigiani veri, partigiani onesti, partigiani italiani e rimasti italiani, a non seguire coloro che vogliono vendere l’Italia allo straniero, altrimenti il vostro sacrificio sarebbe stato vano… . L’organizzazione militare delle Brigate Garibaldine venne creata più tardi, a rivoluzione d’aprile conclusa. Quando, contati i partigiani, rimpolpate le formazioni, aumentati gli effettivi, organizzate le forze comuniste e muniti i comandi di timbri e carta intestata, si procedette alla falsa smobilitazione delle forze comuniste; si svolgeva invece un’opera diametralmente opposta, quella cioè di inquadrare ed organizzare per l’avvenire questa forza per un eventuale colpo di Stato…”
Da qui si capisce chiaramente perché Pascoli doveva essere ucciso: se fosse passata la verità di queste parole, tutta la narrazione successiva del mito della resistenza e dei patrioti si sarebbe sfaldata, anche perché la gente conosceva bene la verità, in molti casi vissuta sulla propria pelle.
Ma tant’è che, a distanza di più di 60 anni, Boldrini viene commemorato in pompa magna e Marino Pascoli non risulta neppure nell’elenco dei partigiani, perché non munito di “brevetto”. Del resto, alla stessa stregua, lo storico repubblicano Sauro Mattarelli nella sua prolusione ha omesso di citare tra i grandi politici italiani un certo Alcide De Gasperi. Tanta altra gente, e non solo il Comune di Ravenna, si dovrebbe vergognare.
Gianguido Bazzoni
Coordinatore provinciale Pdl - Consigliere regionale
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