sabato 22 gennaio 2011

Berlusconi non deve alcun atto di contrizione. Nemmeno al Papa, che non glielo chiede, come fingono i bardi di una finta crociata moralizzatrice. Cerchi però le parole per spiegare il suo disagio fin troppo umano

Berlusconi non deve a sé stesso, ai suoi amici e nemici, al suo paese, e nemmeno al cardinal Bertone o al Papa, alcun atto di contrizione. E’, come ha detto Bossi nel suo buonsenso, un uomo barbaramente assediato e braccato, e lo è in forme inaudite, che non hanno niente a che vedere con la funzione liberale degli organi di controllo legale e di contropotere di un sistema civile moderno. Né hanno titolo ad erigersi in bardi di una crociata moralizzatrice del Vaticano, in direttori spirituali del presidente del Consiglio, magari a nome e per mandato dei vescovi, i laicisti pseudolibertini che hanno sempre predicato non già una legittima separazione di religione e politica, ma una grottesca scissione tra l’ethos razionale di una cultura cristiana e i criteri di vita pubblici e privati del nostro tempo.

Il Papa, che è un grande intellettuale e un padre naturale, severo e comprensivo, ha spiegato ieri con eloquenza in nome di che cosa le istituzioni devono ritrovare un’anima, un ethos. La chiesa non chiede di cancellare la nuova dimensione della soggettività, così forte e presente in una mentalità moderna alla cui radice sta l’idea cristiana, suffragata dal pensiero teologico del Vaticano II, della libertà di coscienza. C’è progresso, ha detto, nella maggiore tutela della sfera individuale e privata che nel passato era considerata subordinata alla morale istituzionale più arcigna. Questo il senso quasi letterale delle sue parole, lette frettolosamente e strumentalmente come una banale censura dei comportamenti umani e pubblici del presidente del Consiglio; lette quasi fossero una risposta alla domanda faziosa rivoltagli dai predicatori di decenza che lo hanno sempre avversato, lui e le sue battaglie contro il relativismo etico e l’indifferenza morale delle classi dirigenti di fronte alle grandi questioni della vita e dell’esistenza.

Ma il Papa ha anche aggiunto, appunto, che se non si riconosca una base oggettiva alla quale è legato l’ethos personale e comunitario, una base che per il Papa si fonda innanzitutto nell’amore di Dio per l’uomo, e per il teologo e filosofo Ratzinger ha un fondamento filosofico nell’uso intelligente della ragione umana, allora si prospetta una deriva di insincerità e di tristezza nei modi di vita. Noi miserabili berlusconiani liberali e frondisti, tendenza Ratzinger, abbiamo notoriamente e clamorosamente perduto, anche in una orgogliosa e pazza contesa elettorale e civile, la battaglia per tenere insieme, nel nuovo mondo politico emerso dal disastro della crisi Repubblicana degli anni Novanta, l’elemento della libertà umana e quello della responsabilità. Amore, sesso, matrimonio, famiglia e vita, categorie da leggere senza manie bacchettone ma con un vero sentimento di buonumore e di gioia morale, sono stati per noi segnacoli in vessillo di un atteggiamento anche politico che, per l’essenziale, è stato rigettato e confuso con una bizzarra crociata fuori tempo. Da Berlusconi, certamente, e da quegli ipocriti che adesso pretendono di fargli la lezione, su uno sfondo di accanimento giudiziario e di assedio inquisitoriale, e di chiamarlo in causa per i suoi lati deboli al cospetto di ogni tribunale possibile, e perfino del tribunale morale della Santa Sede, destinataria di surreali appelli all’ingerenza da parte di cattolicucci piagnoni e di finti dongiovanni superlaicisti.

In nome di questa posizione semplice, criticabile ma seriamente argomentata e vissuta senza alterigia ormai da anni, pensiamo che Berlusconi dovrebbe spiegarsi, anche un poco a sé stesso, in una laica confessione di fragilità, riconducendo il suo carattere, che è notoriamente mite e positivo, allegro e benevolente, a suo modo cristiano e semplice anche nel suo disordine vitale, alla misura di parole schiette, diverse dalla sceneggiatura legale da soap opera alla quale le circostanze e la scelta di vivere in mezzo agli avvocati sembrano spingerlo o costringerlo.

In breve. Berlusconi farebbe bene a cercare e trovare le parole giuste per dire non solo la sua rabbia e la sua insofferenza verso gli assedianti e le loro motivazioni spesso fanatiche, intrattabili, ma anche il suo disagio fin troppo umano, la sua consapevolezza di un limite varcato nella crisi di un matrimonio e nel combattimento difficile contro la vita che si consuma nel tempo, contro le tentazioni di una colossale ricchezza, e nel bel mezzo di una attività pubblica che incombe su un uomo tanto privato per formazione e natura. Nella storia molti uomini di stato, incappati in vicende personali sghembe e in comportamenti malmostosi e inestetici, hanno saputo creare intorno a sé un clima di comprensione e di sincerità porgendo le scuse alla comunità in cui vivono e agiscono, con tutta la libertà privata, in rappresentanza di tutti.

Non invoco un atto confessionale, ma di modestia personale, di consapevolezza civile, di intelligente riconoscimento della realtà. Ci sono telefonate in Questura che si potevano non fare, eccessi di ostentazione e di ritualismo del piacere che potevano essere evitati, e una rete di relazioni improntate in qualche caso a uno stile troppo facile che poteva non essere tessuta intorno alle sue residenze, alla sua vita personale, alle sue amicizie, al suo lavoro. Non c’è contraddizione tra la ripulsa verso modi legali incivili e un discorso di verità e di personale responsabilità su passaggi di vita emersi nella poltiglia del guardonismo indecente. C’è coerenza. Il miglior Berlusconi è quello che, nonostante la dismisura e l’asimmetria del suo rapporto con sé stesso e con gli altri, sa riconoscere con sottile autoironia, al di là dell’umiltà che non gli manca, anche i tratti vagamente folli del proprio carattere.

Giuliano Ferrara – Il Foglio – 22/1/2011

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