venerdì 6 agosto 2010

Mentre nel PDL l’uscita di Fini rende ancor più forte e lineare l’offerta politica della liberaldemocrazia italiana, nel PD i nodi stanno per venire al pettine

oisterwijk sculptuur 2009 La crisi della sinistra italiana si aggrava di giorno in giorno ed è vicina ormai ad una implosione definitiva o ad una svolta.
In particolare le contraddizioni si addensano all’interno del Pd, il partito che avrebbe dovuto diventare il partito a vocazione maggioritaria secondo le intenzioni di Veltroni o comunque essere il principale partito riformista e di governo dell’opposizione, al pari di tutte le socialdemocrazie europee nel quadro di un sistema bipolare.
L’aver sempre rinviato una limpida scelta riformista, rincorrendo tutte le posizioni estremiste e perfino giustizialiste, ha portato il Pd al capolinea della sua storia.

Il chiarimento fra le sue componenti interne, infatti, non è più rinviabile. Da una parte l’elettorato di sinistra è sempre più attratto dalle posizioni di Di Pietro e di Vendola e in caso di primarie, è molto probabile che gran parte degli elettori del Pd sceglierebbe Vendola piuttosto che un altro leader, che comunque non è neppure alle viste (vedi sondaggio di Repubblica). Dall’altra parte, la componente cattolico democratica vive questa situazione con sempre maggiore imbarazzo e sofferenza, al punto da essere attratta dal partito di Casini, al quale già si sono avvicinati ex Pd della Margherita come Lusetti e Rutelli.

A questo punto, il Pd, soprattutto in vista delle elezioni anticipate, dovrà scegliere se mantenere il rapporto con Di Pietro e con Vendola oppure fare una scelta chiara a favore dell’alleanza con l’Udc di Casini e l’Api di Rutelli, separando le proprie responsabilità da quelle sempre più radicali di Di Pietro e postcomuniste della galassia vendoliana.
Non avere sciolto questo nodo per tempo e doverlo fare ora, a ridosso di una prolungata campagna elettorale pone il partito di fronte a un dilemma distruttivo.

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