venerdì 20 novembre 2009

Servizi locali: e adesso le regole

È dunque legge il decreto salva infrazioni per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della corte di giustizia europea. Il provvedimento contiene, fra le altre, la riforma dei servizi pubblici locali, tra cui la gestione dell'acqua e la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.
Nella gestione di tre servizi, ovvero acqua, rifiuti e trasporti locali il decreto segna una svolta sostanziale. L’aspetto fondamentale è che si cerca di rendere molto difficili gli affidamenti diretti di un comune a una impresa interamente pubblica. Se si vogliono fare affidamenti diretti, ci deve essere, con almeno il 40 per cento, un socio privato industriale (non solo finanziario) con compiti di gestione. Se no, si va in gara.

CONTRO LE INEFFICIENZE
La ratio è evidente. Accanto a tante imprese pubbliche efficienti, ce ne sono tante che gettano via denaro pubblico. Si noti che i privati, motivati dai profitti, a parità di efficienza verosimilmente chiederanno prezzi più alti delle imprese pubbliche. E allora le imprese pubbliche efficienti resteranno a galla, anche perché se sono veramente tali vinceranno le gare. Quelle che sono così inefficienti da perdere le gare perfino contro i privati - che dai prezzi devono ricavare margini di profitto - nessuno le rimpiangerà.
Per dare un’idea, nel 2005 risultavano in perdita circa un terzo delle imprese locali del settore igiene urbana e il 40 per cento nel settore idrico. E il trasporto pubblico locale va anche peggio.
Nella più ottimistica interpretazione, siamo di fronte a deficit pubblici che le amministrazioni locali nascondono nelle loro imprese per non farli risultare dai bilanci comunali. Ma temiamo che in molti casi ci sia di ben peggio. A queste situazioni occorre dare una risposta, anche per lasciare spazio a imprese vere; magari pubbliche, perché no, ma vere.
Una delle norme introdotte dice che se si vuole evitare la gara, c'è bisogno di almeno il 40 per cento di capitale privato. Diversi studi sull’Italia (ma non solo) ci dicono che le imprese a capitale misto sono più efficienti di quelle totalmente pubbliche. Ma è evidente che l’arrivo “forzato” del privato non è in sé una panacea; tante volte le imprese miste sono migliori di quelle pubbliche proprio perché sono state vendute al privato le imprese più appetibili (quelle scadenti, nessuno se le compra). Oltre tutto, costringere a vendere non promette bene quanto a gettito pubblico e si può dubitare che molte amministrazioni vorranno andare su questa strada, se non per eludere la norma con qualche socio privato di comodo. Ma, come si diceva, se non ci riescono non è la fine del mondo: è solo la messa a gara del servizio.

NON C’È UNA PRIVATIZZAZIONE DEL SERVIZIO IDRICO
È triste che qualcuno chiami tutto questo “la privatizzazione dell’acqua”. È cattiva informazione, ai limiti della mala fede. Quello che si vuole è la messa a gara dei servizi. Se uno poi vuole mantenere la proprietà pubblica delle imprese lo può fare, ma queste devono dimostrare sul campo di valere almeno quanto quelle private. Si noti bene: le imprese pubbliche “brave” non avranno problemi, e in Italia per fortuna ne abbiamo diverse.
Il timore di qualcuno è che la presenza dei privati aumenti i prezzi, in particolare dell’acqua.
No, a questa obiezione la risposta è semplice: se non si vogliono i privati allora si faccia una gara, e se l’impresa interamente pubblica farà veramente prezzi più bassi, allora il privato non passerà. Avremo una gestione privata solo se sarà il privato ad avere prezzi più bassi, ma allora il problema non esiste.
Resta poi un'altra questione, che prescinde dalla proprietà pubblica o privata. Ovvero, il fatto che il settore idrico ha bisogno di investimenti immensi (decine di miliardi di euro già oggi previsti) e che i costi dovranno essere coperti da prezzi più alti.
Ma questo resterà vero anche se il gestore è pubblico, ed è cosa nota da almeno quindici anni: la legge Galli è del 1994, quando al governo c’era Carlo Azeglio Ciampi; il provvedimento per l’adeguamento dei prezzi data al 1996, firmato da Antonio Di Pietro nel primo governo Prodi.

I PROBLEMI APERTI
Il provvedimento lascia aperti un paio di problemi. Il primo, risolvibile con un regolamento apposito, è come saranno fatte le gare. Il secondo è invece assai più serio, ovvero chi regola questi settori. Si spinge per una maggiore presenza privata in alcuni servizi che però non hanno una regolazione degna di questo nome.
Ad esempio, nell’acqua già oggi questo è un problema che sta per esplodere. Da un lato, il regolatore non può essere (come è oggi) un organo politico locale, troppo sottoposto a pressioni elettorali spicciole: inutile obbligare alla privatizzazione se non si creano le condizioni per tutelare gli investitori.
Dall’altro, i livelli di qualità rischiano di essere sacrificati se i comuni non hanno organi capaci di svolgere il monitoraggio. Problema, questo, ancora più acuto per il settore dei rifiuti. Per questo pensiamo che l’istituzione di organi di regolazione per questi servizi non possa attendere.

Nessun commento:

Posta un commento