venerdì 30 luglio 2010

E’ necessario - anche in Provincia di Ravenna - chiarire con celerità chi si riconosce nel documento votato dalla Presidenza del Popolo della Libertà

2406423372_13aa03489c_b E’ evidente che chi si riconosce nelle posizioni di Gianfranco Fini e dei parlamentari del già costituito Gruppo Futuro e Libertà per l’Italia è incompatibile con il Popolo della Libertà.

Arrivare alla chiarezza dei rapporti e dei ruoli è un passaggio fondamentale, questa verifica va fatta da subito anche a Ravenna sia negli organismi provinciali sia nei gruppi consiliari a tutti i livelli.

Mi rivolgo quindi a tutti i sostenitori e simpatizzanti del Presidente Berlusconi, siano essi provenienti da Forza Italia siano essi provenienti da Alleanza nazionale, che condividono l’assunto che si milita nello stesso partito quando si avverte il vincolo della comune appartenenza e della solidarietà fra i consociati, e che stanno nel Popolo della Liberta’ riconoscendosi nei principi del popolarismo europeo che al primo posto mettono la persona e la sua dignità, affinché serrino le fila del partito, li invito inoltre a considerare questa fase di chiarificazione politica come un momento costruttivo dello stesso che come tutti i momenti chiarificatori porta in dote una rinnovata fase politica, tesa innanzitutto alla realizzazione e al rispetto del programma di Governo presentato in occasione delle elezioni politiche del 2008 che sarà alla base anche del programma per le prossime consultazioni elettorali in Comune e Provincia di Ravenna.

A tal proposito rimarco come sia stato più che opportuno prima di tutto eleggere il coordinatore provincia di Ravenna Gianguido Bazzoni in Consiglio regionale e alla luce dei recentissimi eventi quanto fatto con intelligenza e preveggenza dal Vice Coordinatore comunale Vicario di Ravenna Alberto Ancarani che ha ritenuto di dar voce al disagio derivante dalla ormai palese esistenza di un partito nel partito capeggiato dal Presidente Gianfranco Fini.

Rodolfo Ridolfi
Consigliere  del Ministro Brunetta
Componente del Coordinamento Regionale de Il Popolo della Libertà Emilia-Romagna

mercoledì 28 luglio 2010

La corte costituzionale ha respinto i ricorsi delle regioni contro il nucleare

3489160264_fa57654e04 La Corte Costituzionale ha reso note le motivazioni della sentenza con cui ha respinto i ricorsi delle regioni contro la legge delega sul nucleare (legge 99/09). Secondo la Consulta, la delega conferita al Governo per disciplinare il processo che porta alla realizzazione di nuove centrali nucleari è conforme alla Costituzione perché non lede direttamente la sfera di competenze delle amministrazioni regionali.

La sentenza ricorda che “le procedure di cooperazione o di concertazione possono rilevare ai fini dello scrutinio di legittimità di atti legislativi, solo in quanto l’osservanza delle stesse sia imposta, direttamente o indirettamente, dalla Costituzione, il che nella specie non si verifica”.
Le regioni lamentavano la mancata previsione di strumenti di leale collaborazione, ovvero l’intesa regionale, cui deve essere subordinata la chiamata in sussidiarietà per l’esercizio accentrato delle funzioni amministrative da parte dello Stato in una materia di competenza legislativa concorrente come quella relativa alla produzione di energia. È tuttavia da rimarcare che l’intesa regionale, se non è espressamente prevista dalla delega, non è nemmeno preclusa dalla stessa.

Fatta salva la delega e la struttura portante della normativa in materia di energia nucleare, l’unico elemento che rischia di cedere sotto il peso di una futura pronuncia della Consulta riguarda il potere sostitutivo del Governo in caso di mancata intesa regionale. La delega ha previsto la possibilità per lo Stato di ricorrervi in caso di mancata intesa degli enti locali. Le Regioni vi si oppongono nella misura in cui il potere sostitutivo può essere esercitato anche nei confronti dell’intesa regionale.

Sulle modalità di superamento della mancata intesa regionale previste dal decreto legislativo 31/10 si scontreranno quindi le tesi delle regioni ricorrenti e quelle difese dall’avvocatura dello Stato. Per la localizzazione degli impianti, in caso di mancato rilascio dell’intesa, si prevede la costituzione di un comitato interistituzionale e, se i lavori di questo non si concludono con un accordo, si procede con una delibera del Consiglio dei Ministri in composizione allargata al presidente della Regione. La localizzazione di tutti gli impianti viene poi ratificata dall’intesa della Conferenza unificata.

Nel successivo iter di autorizzazione dell’impianto (momento separato dalla sua localizzazione), il potere sostitutivo del Governo è, invece, previsto solo per la mancata intesa di un ente locale. Su queste disposizioni si attende ora il giudizio della Corte Costituzionale, che dovrà dire se sono sufficienti o meno le garanzie di autonomia così riconosciute alla regioni. Ma la sentenza depositata la scorsa settimana dà indicazioni sull’orientamento della Corte Costituzionale in materia di energia nucleare utili per pronosticare l’esito degli altri ricorsi che vedranno le regioni sul banco degli imputati, anziché lo stato. Nelle motivazioni, infatti, la Corte afferma che non può essere in discussione “la scelta operata dal legislatore nazionale di rilancio della fonte nucleare, la quale esprime con ogni evidenza un principio fondamentale della produzione dell’energia”.

Per quanto sia quasi lapalissiana l’appartenenza delle norme che consentono la produzione di energia nucleare al rango dei principi fondamentali che lo Stato è chiamato a fissare nell’ambito delle materie a competenza concorrente, è significativo che la Corte si esprima al riguardo, quando si attende un suo giudizio sulle interdizioni poste per legge da alcune regioni alla realizzazione di centrali nel proprio territorio. Insomma, un’anticipazione del probabile esito dei ricorsi presentati contro le leggi regionali che, di fatto, si pongono in contrasto con quello che ora possiamo chiamare senza tema un principio fissato dallo Stato in una materia concorrente, ossia la libera produzione di energia da fonte nucleare.

giovedì 22 luglio 2010

Addio alla dacia sul fiume

dacia UN PEZZO di storia della sinistra ravennate rischia di essere raso al suolo. Chi ha militato nel Pci di Ravenna conosce bene il capanno da pesca di Porto Fuori, sulla riva sinistra dei Fiumi Uniti, tradizionale punto di ritrovo – fin dagli anni Sessanta – per l’apparato di partito e i militanti. Un luogo dove, tra una grigliata di carne e una di pesce, si discutevano le linee guide della politica locale, e magari si incontravano, in un clima conviviale, i leader nazionali, da Pajetta e Berlinguer a D’Alema e Bersani. Ma la costruzione — secondo il Comune, e anche secondo una sentenza del Tar — è abusiva: sorge infatti su un’area demaniale vincolata, e non ha mai ottenuto la licenza edilizia.

Oggi a risultare proprietaria della ‘dacia’ sui Fiumi Uniti è la Federazione provinciale dei Democratici di sinistra (sì, esiste ancora, e gestisce proprietà immobiliari), che l’ha ereditata dalla Immobiliare Crocevia srl, una delle ‘casseforti’ del partito. Le vicissitudini amministrative e giudiziarie iniziano a metà degli anni Ottanta. Il capanno era stato costruito prima del 1967, quando non era ancora previsto il rilascio della licenza edilizia da parte del Comune: solo dal 1978, infatti — per effetto di una legge regionale — l’amministrazione comunale è l’autorità preposta alla tutela del vincolo ambientale.

Nel 1986 (il sindaco è Giordano Angelini), la società proprietaria, «per avere maggiore sicurezza sulla condizione giuridica dell’immobile», presenta al Comune una richiesta di sanatoria, che resta ferma in qualche ufficio per nove anni: è il 1995 quando l’amministrazione, allora guidata da Pier Paolo D’Attorre, respinge l’istanza, su indicazione della Commissione edilizia. Crocevia ricorre al Tar, che nell’aprile dell’anno scorso (14 anni dopo) le dà torto. Lo scorso maggio il Partito democratico della sinistra — che nel frattempo ha acquisito il capanno — ricorre in appello al Consiglio di Stato, e il Comune, con una delibera della quale è relatore l’assessore Matteo Casadio, si costituisce come resistente. «Se anche il secondo grado ci darà ragione – spiega Casadio – il capanno dovrà essere rimosso».

(in foto una dacia sul Volga, di quella sui Fiumi Uniti non avevamo la foto)

Letture per l’estate: “La Coop non sei tu” di Mario Frau

coop Privilegi fiscali, rapporti politici blindati, monopoli commerciali: solo un ex importante manager delle coop poteva radiografare contraddizioni e chiaroscuri del sistema cooperativo in Italia. Ne esce con l’emblematico saggio “La Coop non sei tu”, uno scenario inquietante tracciato da Mario Frau, ex Direttore allo sviluppo del gruppo Novacoop e membro della Direzione nazionale del’Associazione Nazionale Cooperative di Consumo dal 1987 al 1996.

E’ un libro coraggioso scritto da dentro per Editori Riuniti un editore che da sempre ha avuto un’impronta di sinistra. Motivi per trovare riletture efficaci di svolte e momenti cruciali come l’assalto di Unipol a Bnl con Gianni Consorte e racconti inediti di come la coop sembra aver ormai imboccato una strada di perdita di valori e riferimenti culturali che ne avevano caratterizzato gli esordi trasformandolo “nel più grande colosso italiano della grande distribuzione sempre più proteso alla frenetica espansione territoriale e alla ricerca sfrenata del profitto. Insomma parafrasando il sindacalista Bruno Trentin “le coop hanno perso l’anima” ma mai il portafoglio.

mercoledì 21 luglio 2010

A Roma Errani sembrava avere a cuore solo i lavoratori ma appena tornato a Bologna aumenta la tariffa dei biglietti ferroviari per i pendolari del 5,5%. E questo è solo l’inizio di una pioggia di aumenti indiscriminati di tariffe e servizi: diranno che non se ne può fare a meno, ma non è vero

pict009 Federconsumatori contesta il rincaro del 5,5% stabilito dalla Regione a partire dall'1 agosto prossimo, giustificato in viale Aldo Moro come adeguamento alle "tariffe obiettivo" del progetto "Mi Muovo" che, a regime, darà agli utenti la possibilità di utilizzare un biglietto unico per tutti i mezzi pubblici. I consumatori chiedono che la Regione Emilia-Romagna sospenda i "pessimi" aumenti ferroviari. Perché per ora sui treni "si muovono soltanto le tariffe". Al punto che con l'ultimo ritocco l'Emilia-Romagna si troverà con il primato dei biglietti e degli abbonamenti mensili più cari di tutto il Centro-Nord.

"Un aumento che interviene 'a freddo' e su aspettative ben diverse degli utenti- lamenta in una nota l'associazione dei consumatori- ora sospesi tra servizi spesso inefficienti e il rischio del loro taglio". Un aumento "che premia immeritatamente le imprese ferroviarie: denaro fresco in cambio di un generico invito a compiere progressi sul progetto 'Mi Muovo', senza individuare una data di attivazione".
Oltre tutto, secondo Federconsumatori si tratta di rincari che consegneranno all'Emilia-Romagna il "primato assoluto delle tariffe più care del Centro-Nord per non abbonati o abbonati mensili". Infatti, dall'1 agosto, l'importo salirà a 2,5 euro per un biglietto di seconda classe per la fascia tra i 21 ed i 30 chilometri e arriverà a 46 euro per l'abbonamento mensile. Numeri ben al di là dei prezzi praticati dalle altre Regioni centro-settentrionali (con l'eccezione del Piemonte, dove il mensile costa 46,50 euro, compensati, però, dai 2,20 euro della corsa semplice). A conti fatti, per i circa 70.000 utenti giornalieri sulle tratte emiliano-romagnole, l'aumento diventa del 20% negli ultimi due anni. Un vero e proprio "accanimento vessatorio", sintetizza Federconsumatori.
L'associazione va anche oltre. "La Regione ha ritenuto doveroso applicare l'adeguamento delle tariffe, ma da almeno due anni non ritiene altrettanto doveroso intervenire sui gestori (Trenitalia e Fer) per pretendere il rispetto dei parametri previsti dal Contratto di servizio". Parametri "regolarmente violati per quanto riguarda ritardi, guasti, soppressioni, tempi di percorrenza, pulizia". Una "indecenza consentita da un contratto troppo generico e con penali non adeguate".
Per questo Federconsumatori, che stigmatizza anche la mancata consultazione sull'aumento delle tariffe, rinnova alla Regione "la richiesta di un rinnovo urgente e non formale del contratto, imperniato su nuovi parametri più stringenti per i gestori ferroviari".

Il PDL di Brisighella chiede alla Provincia maggiori attenzioni per le terme

farolfi

martedì 20 luglio 2010

La manovra diventa legge: la differenza tra chi fa chiacchiere e chi governa

4669334163_368216b9ee_b · Stop contratti e blocco stipendi PA - Stop al rinnovo dei contratti, agli aumenti degli stipendi degli statali e al turn-over. Limitazioni per i contratti a termine. Fanno eccezione poliziotti, vigili del fuoco ed enti di ricerca. La misura si giustifica con il fatto che il settore pubblico ha avuto negli ultimi anni miglioramenti largamente superiori a quello privato, e pertanto gli si chiede semplicemente di “restare fermo un giro”. Peraltro, nessuno perderà un centesimo di stipendio.

· Professori e magistrati - Bloccati gli automatismi di stipendio per il personale non contrattualizzato, tra cui i professori universitari. Per i diplomatici proroga dei trattamenti in servizio. Per le toghe il taglio tocca le indennità. Sì a 61,3 milioni per assunzioni di giovani magistrati.

· Tagli ai ministeri e auto blu - La sforbiciata e' del 10%. Arriva anche un giro di vite sulle auto blu.

· Costi politica - Riduzioni di spesa per Palazzo Chigi. Taglio del 10% alle buste paghe dei ministri e sottosegretari che non siano membri del Parlamento. Sforbiciata anche per la politica locale ed economie in vista per gli organi costituzionali. I comuni con meno di 5.000 abitanti e le comunità montane minori dovranno gestire assieme una serie di funzioni amministrative.

· Tagli a partiti - Si riducono i rimborsi elettorali.

· Manager Pubblica Amministrazione - La quota di stipendio che supera i 90.000 è ridotta del 5%, quella che supera i 150mila il 10%.

· Pensioni – Nessuna riduzione delle pensioni, né di quelle in corso né di quelle future. Nessun sacrificio, ma una vera riforma strutturale che produrrà risparmi senza toccare le tasche ed i soldi di nessuno. In particolare, nella pubblica amministrazione le donne andranno in pensione di vecchiaia, come gli uomini, a 65 anni dal 2012: una misura perequativa chiesta dall’Europa, alla quale l’Italia doveva obbligatoriamente adeguarsi per evitare una salatissima sanzione. Ma la vera innovazione è che dal 2015 età anagrafica di pensionamento verrà collegata all'aspettativa di vita. Non saranno toccati i diritti di chi ha 40 anni di versamenti. Previste le cosiddette “finestre mobili”, che ritardano di pochi mesi la possibilità di lasciare il lavoro.

· Più controlli sugli invalidi - Torna al 74% la soglia per gli assegni di invalidità. Salgono a 250 mila le verifiche Inps. Si tratta di sanare un malcostume, quello delle invalidità facili, che ha prodotto un’impennata di pensioni, ad opera soprattutto delle regioni ed in particolare delle amministrazioni di sinistra.

· Per le regioni austerità autogestita - La sforbiciata resta di 8,5 miliardi in due anni, ma sarà la Conferenza Stato-regioni a decidere come ripartirli seguendo criteri di “virtuosità”. Vale a dire che le amministrazioni, pur gravate da debiti ereditati, che dimostrano credibili piani di rientro e sobrietà amministrativa potranno evitare ai cittadini le sovrattasse di legge. Riduzione di sprechi anche a Comuni (4 miliardi) e Province (800 milioni).

· Comuni nella lotta all’evasione - Ai comuni viene però concessa una straordinaria opportunità: quelli che collaboreranno con lo Stato contro l’evasione fiscale e la piaga del sommerso tratterranno il 33% dei tributi statali incassati. Si tratta di una norma moralizzatrice e responsabilizzatrice, che anticipa il federalismo.

· Roma capitale - Oltre ai 300 milioni del Tesoro, 200 milioni arrivano tramite un aumento delle tasse di imbarco e dalla possibilità di un incremento dell'addizionale comunale all'Irpef. A queste risorse si sommano 50 milioni per i comuni commissariati. Roma ha maggiore flessibilità sul patto di stabilità interno e può introdurre una tassa di soggiorno per i turisti, così come esiste in tutte le metropoli del mondo, Parigi e New York in testa.

· Tasse agevolate per l’Abruzzo - Proroga della sospensione delle tasse per le imprese fino al 20 dicembre. I cittadini avranno 10 anni – il doppio di quanto previsto - per la restituzione dei tributi. Il pagamento scatterà dal 2011.

· Case fantasma – Ancora per i comuni: entro il 31 dicembre 2010 chi ha un fabbricato non censito dovrà denunciarlo e farlo accatastare. Inoltre sarà garantito ai comuni l’accesso alle banche dati dell’Agenzia del Territorio. Rigore ed equità ma anche minori problemi per i cittadini: nelle compravendite immobiliari per assicurare la conformità delle planimetrie basta un attestato di un tecnico.

· Redditometro – Si adottano nuovi e più pratici indicatori per risalire dal tenore di vita al reddito guadagnato. Niente vessazioni inutili, solo il principio che non si spende più di quanto si guadagna o si possiede. Contro l’evasione si introduce il tetto a 5.000 euro per i pagamenti in contanti. Obbligo di fattura telematica oltre i 3.000.

· Sviluppo: libertà d’impresa – La manovra non è solo rigore ma anche sviluppo. D'ora in poi basterà una segnalazione per avviare un'attività. Si inverte così la prassi secondo la quale prima viene la burocrazia: i controlli si faranno solo ex-post. Dalle nuove regole sono esclusi i documenti relativi all'immigrazione e al patrimonio culturale e paesaggistico.

· Irpef - Slitta il versamento dell'acconto dell'imposta per il 2011 e per il 2012. Previsto un alleggerimento della pressione tributaria di 2,9 miliardi.

· Assicurazioni - Resta la tassa sulle assicurazioni, un settore cha ha goduto di mote agevolazioni. Il governo attende un incremento di gettito di 264 milioni l'anno.

· Forze dell'ordine, fondi e feste “salve” – Il governo mantiene gli impegni per la sicurezza e per chi vi opera. Arrivano 160 milioni in due anni. Salve dai tagli le feste nazionali. Per i giovani, prevista una mini-naja volontaria di 3 settimane, sotto forma di stage.

· Scuola - Il 30% dei risparmi potranno essere destinati agli scatti di anzianità e di carriera dei professori. Resta il tetto dei 20 alunni previsto per le classi con alunni disabili.

· Farmaci - I tagli saranno spalmati su tutta la filiera, e non solo sulle farmacie. Dal 2011 il prezzo degli medicinali equivalenti è adeguato alla media Ue.

· Quote latte - Proroga al 31 dicembre il pagamento della rata delle multe dei nostri produttori.

· Fondazioni bancarie - Non dovranno effettuare svalutazioni patrimoniali per eventuali titoli tossici.

· Certificati verdi - Il Gestore nazionale dei servizi energetici (Gse) dovrà riacquistare quelli in scadenza, ma la spesa andrà ridotta del 30%. Si evitano così misure penalizzanti nei confronti

dell’industria, evitando al tempo stesso che si lucri sull’ambiente.

Taglia-enti – Al ministro della Cultura Bondi è stata affidata la delega per la riduzione del contributo pubblico ad una serie di enti e fondazioni che possono reggersi con il sostegno privato. Alcuni però, che sono un duplicato dell’esistente, vengono soppressi, e le loro funzioni accorpate con quelli di istituzioni analoghe o di ministeri. Tra gli altri l'Ente teatrale italiano, la cui unica attività era di gestire pochissimi teatri; quello per la Montagna; l'Isae, che viene accorpato con l’Istat

Le fabbriche che non produco niente

pict003 Nel centrosinistra amano le fabbriche che non producono niente.
Prodi aveva messo in piedi quella del programma ed è stato un disastro.
Vendola la fabbrica l'ha intitolata a se stesso e subito ha partorito la grande idea: in caso di crisi di governo si va a votare.
Peccato che prima di lui lo abbia già detto con chiarezza Berlusconi. Non c'è che dire, all'opposizione non difetta la fantasia.

Ci sono strane convergenze in giro. Fra chi sogna di mettere all'angolo Berlusconi e un centrosinistra che brucia leader a ripetizione, la confusione è grande, in una gara pirotecnica che cresce in proporzione al buio delle idee.

Tutti trascurano un particolare fondamentale: dove andare a prendere i voti.
Al contrario, Berlusconi questo lo sa fin troppo bene.
Fossimo in Vendola ci preoccuperemmo molto, ora che lo sponsorizza De Benedetti. L'ingegnere aveva già steso la sua ala protettiva su D'Alema, Prodi e Veltroni, che oggi sono tre esemplari da museo della politica.

Esselunga continua la sua battaglia contro il politburo di Modena che favorisce la Coop e blocca un concorrente molto competitivo. E’ una dura contesa commerciale ma anche politica perché, lo sanno tutti, la Coop “sostiene” il PD

pict001 Dieci anni di ricorsi e pub­bliche denunce per finire, se an­drà male, con quasi 45mila metri quadrati di terreno edificabile, ma non per usi commerciali. Una beffa se il proprietario del lot­to si chiama Esselunga, che co­me è noto non vende villette a schiera. La questione va avanti da dieci anni ed è uno dei peggio­ri crucci di Bernardo Caprotti, fondatore della storica catena di supermarket con un lunghissi­mo conto in sospeso con le Coop rosse (cui ha dedicato un best-seller, Falce e carrello ). Su alcuni giornali di ieri si potevano legge­re due pagine comprate apposita­mente da Esselunga per raccon­tare il caso «Modena, via Canalet­to », un caso lampante, secondo la società lombarda, di violazio­ne della libera concorrenza e di ingerenza politica.

La vicenda parte nel 2000, quando Esselunga si aggiudica per 24 miliardi di lire un terreno vicino al centro di Modena, sulla base di un Programma di riquali­ficazione urbana approvato dal Comune l’anno prima e che avrebbe consentito la costruzio­ne di un supermercato in una por­zione limitata dell’area acquisita dal gruppo di Caprotti. Però sia­mo a Modena, nel cuore dell’Emi­lia rossa, ed Esselunga gioca fuo­ri casa, perché lì il distributore più forte si chiama Coop Estense, un competitor con delle ottime frecce nascoste nella faretra. Ba­sta meno di un anno per accorger­sene. Perché nel febbraio 2001, la Coop estense partecipa ad un’asta giudiziale che mette in vendita la parte rimanente del­l’area, in tutto nemmeno 9mila metri quadrati. Però fondamen­tali, perché la norma fissa al 75% la quota di proprietà sufficiente ad essere padroni della destina­zione del terreno, e con i suoi 44mila e passa metri quadri, Esse­lunga ne controlla circa il 72%.

Al­l’asta si presentano dei delegati di Esselunga da una parte e Ma­rio Zucchelli, presidente di Coop Estense, dall’altra. Il quale rilan­cia a suon di miliardi fino ad ag­giudicarsi il piccolo lotto per la spaventosa cifra di 23 miliardi, cinque volte al metro quadro più di quanto pagato da Esselunga in precedenza. Un esborso enor­me, però sufficiente a rimettere in gioco tutto.Il senso dell’opera­zione verrà così descritto dalla Gazzetta di Modena del giorno dopo: «La Coop estense ha paga­to quell’area quattro volte il valo­re di stima pur di impedire l’aper­tura di un concorrente “scomo­do” come Esselunga».

In effetti da quel momento ini­zia un valzer di incontri con i tec­nici del Comune, con assessori e sindaco, per capire come risolve­re la matassa e a quale dei due contendenti assegnare l’«esclusi­va » del nuovo supermarket. Si ar­riva così al 2008 e l’assessore al­l’Urbanistica Daniele Sitta (Pd, già esponente del Pci dal 1968 e già alto funzionario di società del­la galassia cooperativa) «propo­ne ancora una volta ai rappresen­tanti di Esselunga di insediarsi in altro luogo e cedere a Coop Esten­se il proprio lotto in via Canalet­to. Altrimenti il Comune avrebbe cambiato le «destinazioni d’uso» cancellando «l’uso commercia­le ».

Un’eventualità sciagurata per Esselunga, ribadita però dal sindaco di Modena Giorgio Pighi l’anno scorso, e nuovamente da Sitta pochi giorni fa («è arrivato il momento di “sfilare” a quello spiazzo il futuro centro commer­ciale e di programmarne la co­struzione altrove»). Una normale “guerra” tra ope­ratori che si contendono, anche ferocemente, una promessa di business? Non sembrerebbe, per­ché l’area acquistata a carissimo prezzo da Coop Estense pare del tutto inadatta alla costruzione di un ipermercato (un pezzo di ter­ra che dà sulla ferrovia...). E che dunque, secondo Esselunga, rive­la chiaramente «l’intendimento originario», cioè «l’eliminazione dell’unico supermercato possibi­le in via Canaletto, quello di Esse­lunga ».

Accuse già tradotte in un ricorso al Tar, da cui la società lombarda è uscita sconfitta, e che adesso è al vaglio del Consiglio di Stato. Il sindaco di Modena re­spinge ogni accusa e annuncia querele. Esselunga Spa fa sapere però che «non accetterà questa condotta» e farà di tutto per op­porsi facendone un caso naziona­le. Per far vincere, contro falce e carrello, «concorrenza e libertà».

lunedì 19 luglio 2010

Nei prossimi mesi i piccoli comuni sotto i 5 mila abitanti saranno obbligati a radicali trasformazioni. Possibili ricadute anche per la nostra Unione

194956261_ae21acacaf_b Entro settembre i comuni con meno di 5mila abitanti dovranno gestire in forma associata, tramite unioni o convenzioni, la gran parte delle proprie funzioni. La soglia minima di abitanti e di comuni delle gestioni associate sarà fissata con un Dpcm e, per le materie di propria competenza, con legge regionale. Questi comuni dovranno inoltre dare vita, entro la fine di novembre, a consorzi per la gestione associata dei consigli tributari. Nei prossimi mesi, quindi, la struttura e le competenze dei piccoli comuni saranno investiti da un ciclone che cambierà completamente la faccia e la struttura di quasi 6mila municipi.

La prima scelta che ognuno dei piccoli comuni, tranne Campione d'Italia e i comuni unici in un'isola, si troverà dinanzi nei prossimi mesi è quella del modello di gestione associata. Il legislatore offre le due alternative della unione e della convenzione mentre non viene consentita, almeno in forma esplicita, la possibilità della gestione associata tramite la comunità montana, che ai sensi dell'articolo 27 del Tuel è un'unione di comuni. In tale ambito, e fermo restando che si dovrà comunque raggiungere il numero di abitanti o di municipi minimo che sarà previsto dalla legge regionale e dal Dpcm, i comuni dovranno decidere se la gestione associata si occuperà di tutte le materie o se vi saranno più ambiti a secondo delle funzioni. Il legislatore consente entrambe le opzioni, in quanto pone solo il divieto di gestione in forma singola di funzioni fondamentali svolte in forma associata e quello di gestire la stessa funzione in più di una forma associata. Le leggi regionali potranno dettare ulteriori specificazioni.

sabato 17 luglio 2010

Il punto sull’azione del Governo: gli impegni e i risultati. I cittadini possono stare tranquilli e guardare serenamente al futuro

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Non lo facciamo spesso, ma è questo il momento per fare il punto politico dell’azione del governo per misurare con i fatti e non con le chiacchiere l’azione riformatrice che sta trasformando l’Italia alle radici.

· La manovra da 25 miliardi di euro approvata ieri in Senato è, come ha sottolineato Giulio Tremonti, “la manovra di Silvio Berlusconi” e “la prima che viene votata dai paesi forti dell’Europa”. Francia e Germania infatti l’hanno finora annunciata, ma non ancora sottoposta nella sua completezza al Parlamento.
· Questa operazione pone il Paese al sicuro dalla speculazione e fornisce una serie di certezze a cittadini, imprese, lavoratori ed enti locali. Si cominciano ad eliminare gli sprechi e non si sottrae un euro in tasse dalle tasche della gente.
· La manovra contiene il germe di alcune delle cose che il governo farà nei prossimi mesi. Per esempio, per le imprese sarà molto più semplice avviare un’attività, e per chiunque un’azienda, attraverso un semplice certificato (Scia) che inverte l’onere della prova: sarà la burocrazia a verificare, a posteriori, se tutto è in regola, e non l’imprenditore o il cittadino a produrre chili di carte bollate.
· Tra poco arriverà una svolta ancora più importante: si inizierà a discutere della riforma costituzionale che prenderà il nome di “legge Berlusconi” a favore della libertà d’azienda. La Costituzione tutela sì la libertà d’impresa, ma la sottopone a un vincolo di “utilità sociale”. Un anacronismo che non è soltanto formale, perché è all’origine della pretesa della burocrazia di imporre lacci e laccioli a chi vuole intraprendere, con danni per gli investimenti e per il lavoro.
· Anche il federalismo è in pratica avviato dalla manovra. La discrezionalità lasciata alle regioni virtuose di stabilire i tagli (e le sovrattasse) per sanare eventuali debiti pregressi è la prima applicazione del principio di responsabilità degli amministratori locali, che è appunto alla base del federalismo. Alcune regioni, quelle non viziate dal pregiudizio politico della sinistra, lo hanno capito, e hanno compreso le opportunità offerte di una collaborazione con il governo, sia per ridurre gli sprechi (specie nella sanità), sia per non gravare di sovrattasse i cittadini.
· Non solo. Ai comuni verrà dato un bonus sui controlli per stanare l’evasione fiscale ed il lavoro nero. Una percentuale di quanto andrà allo Stato, perché i sindaci sono coloro che hanno un rapporto più stretto con gli elettori. Si passa dall’oppressione fiscale al controllo condiviso e alla conoscenza diretta; una svolta. Ed una boccata di ossigeno permanente per le casse comunali.
· Entro l’estate si approverà la legge sulle intercettazioni telefoniche. Che a differenza di tutto il can can propagandistico montato dalla sinistra e da una parte della stampa preoccupata più per gli incassi che per i principi, non ridurrà la libertà di nessuno, ma anzi la aumenterà.
· Su questo punto, c’è una recente indagine europea che dimostra se mai ce ne fosse bisogno come l’Italia sia il solo paese in cui esiste la possibilità totale e incontrollata di pubblicare atti di processi e intercettazioni prima della celebrazione del processo stesso. Cioè a indagini in corso. Non è così in Gran Bretagna (dove non si possono neppure fotografare gli imputati in aula), né in Francia, né in Germania. Paesi tra l’altro in cui si fanno molte meno intercettazioni che in Italia. Per non parlare, oltre Atlantico, degli Usa. E spesso – come in Francia e Gran Bretagna – i pm o l’ordinamento giudiziario dipendono dall’esecutivo.
· Questa battaglia di civiltà non è nell’interesse di una parte politica, tanto meno del centrodestra. La stessa legge l’aveva tentata il governo Prodi, bloccato dai veti dell’estrema sinistra e della magistratura.
· Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dei criteri di composizione dell’Agenzia nucleare si apre di fatto la fase attuativa del ritorno all’atomo civile in Italia, per ridurre la dipendenza energetica del Paese, i costi della bolletta per cittadini e imprese, migliorare la qualità dell’aria.
· Non solo. Il governo ha vinto di fronte alla Corte Costituzionale la causa su chi, tra Stato e regioni, debba avere la parola ultima sull’installazione delle centrali.
· Su questo fronte, oltre 450 aziende italiane si sono dette pronte ad entrare nella filiera produttiva per la costruzione delle centrali e delle infrastrutture collegate. Si tratta di non meno di 20 mila posti di lavoro da qui al 2020, molti dei quali rimarranno stabili nel tempo e saranno di personale altamente qualificato.
· Anche le grandi opere, non toccate dalla manovra (come invece è accaduto altrove) entreranno in una nuova fase realizzativa. Molto è stato già fatto, almeno a livello di impostazione. Ora si passa all’apertura dei cantieri.
· Su questo terreno, la scoperta (sai che novità!) che molti fondi nazionali ed europei giacciono inutilizzati è un incentivo a fare meglio, soprattutto da parte delle Regioni. La grande operazione di chiarezza e moralità sull’uso dei fondi messa in campo dal governo è solo il punto di partenza.
· Questo ciclo di riforme occuperà, come abbiamo detto, i prossimi mesi. Nulla più dei fatti concreti riesce a spazzare via speculazioni, veleni, politica di cabotaggio, tentazioni correntizie. Nulla più dei fatti interessa di più ai cittadini. L’Italia, che già è uscita dalla crisi meglio e prima di altri, ne trarrà un ulteriore beneficio. La manovra ha messo il Paese in sicurezza, le riforme saranno una molla che lo farà scattare in alto.

Il ministro Gelmini sta vincendo la sua impossibile battaglia riformista per ricostruire il sistema scolastico nazionale. Comincia ad ammetterlo anche il Corriere e gli elogi, adesso, arrivano da molte parti. Intanto la sinistra moltiplica gli appelli alla mobilitazione per “salvare la scuola”: non sapendo fare altro, si mette di retroguardia a fomentare e a rastrellare il mugugno, come sempre.

 gelmini

venerdì 16 luglio 2010

“Quando in Fiat ammazzavano chi lavorava”. Una cronaca vera e cruda di Giampaolo Pansa che racconta quello che accadeva alla fine degli anni ‘70 a beneficio di chi ha la memoria troppo corta o non vuole ricordare

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Tra il ’79 e l’80 Mirafiori diventò uno stabilimento ingovernabile. Vi accadeva di tutto, tranne quello che si dovrebbe fare in una fabbrica
Leggo le cronache di quanto accade alla Fiat di Melfi e di quel che potrebbe accadere alla Fiat di Pomigliano d’Arco, poi mi faccio una domanda. Qualcuno si ricorda di ciò che avveniva alla Fiat verso la fine degli anni Settanta? Il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, certamente sì. Lui è nato nel 1950 e ha iniziato la carriera in Cgil nel 1974, nella casa editrice del sindacato e poi nell’ufficio economico. E nel 1979, un anno cruciale per la Fiat come vedremo fra un istante, divenne segretario generale aggiunto dei poligrafici. Se la memoria non m’inganna, era un giovane intelligente, colto, che leggeva molto. Mi pare fosse socialista e amico di Walter Tobagi. Dunque, il mio racconto non è per Epifani. Bensì per i tanti che praticano la dimenticanza.
Un biennio di anarchia e di estremismo rosso
Il biennio decisivo per la Fiat ebbe inizio con il 1979. Mirafiori, il cuore produttivo dell’azienda, era diventato uno stabilimento ingovernabile. Una gigantesca fabbrica dominata dall’anarchia e dall’estremismo rosso. Allora lavoravo a “Repubblica” ed Eugenio Scalfari mi chiese di andare a Torino per raccontare quanto stava accadendo. C’ero gia stato più volte, ma soltanto per scrivere delle Brigate rosse che, due anni prima, nel novembre 1977, avevano assassinato Carlo Casalegno.
Eravamo nell’ottobre 1979 e il giorno 8 la Fiat aveva licenziato sessantuno operai, considerati tra i più violenti. In città tirava un’aria pessima, soprattutto per l’offensiva del terrorismo.
Diciassette giorni prima, il 21 settembre, le Br avevano ucciso sotto casa l’ingegner Carlo Ghiglieno, responsabile della pianificazione del gruppo auto. Infine non si contavano i piccoli capi Fiat gambizzati o minacciati. Decisi di raccontare l’inferno di Mirafiori raccogliendo la testimonianza di tre protagonisti: un capo squadra, uno dei licenziati e un operaio iscritto al Pci. Il primo racconto fu devastante, almeno per i lettori di “Repubblica”. Gli rivelò un mondo che non conoscevano. Quello di una grande azienda italiana sottratta alla legge e in mano a bande di teppisti interni, in grado di fare quel che volevano. Il mio testimone stava nei gradini bassi della piramide gerarchica Fiat. Lui me la descrisse così: l’operaio, l’intermedio, il capo squadra, il capo reparto, il capo officina e su su fino al direttore. In quell’anno, guadagnava 600 mila lire al mese. E aveva alle spalle vent’anni di lavoro in Fiat. Mi disse: «In Fiat ho imparato tutto, la Fiat è stata la mia prima famiglia. Oggi per me non è più niente. Oggi sto a Mirafiori dalle nove alle undici ore al giorno. E ogni giorno mi domando: a fare che cosa?». Per cominciare, quel caposquadra mi spiegò con chiarezza semplice com’era l’universo degli operai Fiat: «Su cento operai di Mirafiori, trenta non vogliono saperne né di

Il nuovo Consorzio di Bonifica della Romagna aumenta la tassazione sugli agricoltori ma il Consiglio Provinciale di Ravenna non vede non sente non parla

scimmie "Apprendo che martedì 13 il Consiglio provinciale ha rigettato un ordine del giorno, presentato dalla consigliera Giovanna Benelli, che invitava il presidente Giangrandi e la giunta ad intervenire presso il neonato Consorzio di bonifica della Romagna (che abbraccia le provincie di Rimini, Forlì-Cesena e parte di Ravenna) affinché rivedesse un aumento della tassazione sproporzionato ed ingiustificato, che andava a colpire pesantemente gli agricoltori ed i fabbricati rurali".

Lo dichiara il consigliere regionale e coordinatore provinciale del Pdl Gianguido Bazzoni. "L'aumento superiore al 10% è stato effettuato da questo unico Consorzio in tutta la regione e colpisce particolarmente la nostra provincia per effetto di una riarticolazione dei parametri, molto superiori a quelli di Forlì e a Rimini. L'agricoltura ravennate, che già si trova alle prese con una crisi, non solo congiunturale, non riesce a sopportare questo ulteriore balzello ed è necessario che la Regione e la Provincia se ne rendano conto al più presto e pongano rimedio, visto anche che il Consiglio di amministrazione del Consorzio è provvisorio ed è stato nominato direttamente dalla Regione”.
“Vorrei stigmatizzare – aggiunge Bazzoni – il comportamento della maggioranza di sinistra del Consiglio provinciale, che non ha esitato per ragioni politico-partitiche a rifiutare un intervento su una questione così importante, nonostante la richiesta di interessamento fosse stata inviata da tutte le organizzazioni agricole alle istituzioni ed ai rappresentanti politici della provincia. In questo caso l’ordine del giorno presentato dalla consigliera Benelli era stata l’unica iniziativa assunta, assieme al mio impegno di interessare gli organi regionali”.
“Faccio un appello al Consiglio provinciale, al presidente della Provincia Giangrandi e ai miei colleghi consiglieri regionali Fiammenghi e Mazzotti, affinché vogliano dimostrare sul problema delle tasse di bonifica in buona parte della provincia di Ravenna un’attenzione che finora non si è minimamente percepita”.

giovedì 15 luglio 2010

Tanto rumore per nulla

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In questi giorni, il Comune di Casola Valsenio ha emesso trionfalistici comunicati e ha convocato una pubblica assemblea, sulla riconversione del piano di produzione calore di Senio Energia che non servirà più sedici strutture pubbliche, ma si limiterà a sostituire la vecchia caldaia a gasolio della scuola elementare con una a cippato.
Poiché alla fin fine si parla di un insuccesso operativo e poiché prevenire è meglio che curare, l’operazione mediatica sembra avere lo scopo di stoppare sul nascere i dubbi e le critiche che un così vistoso ridimensionamento del core business di Senio Energia - inventata e costruita attorno al cippato - provocherà nell’opinione pubblica.

E’ sotto gli occhi di tutti l’avvio difficoltoso della Esco casolana che è alle prese con le procedure e i costi di primo avvio e che per ora sta accumulando debiti soprattutto perché si riducono i finanziamenti pubblici che fino ad ora l’hanno alimentata e sostenuta.

La chiusura del progetto “cippato” ha due cause e una conseguenza. La prima causa è la riduzione del finanziamento pubblico sulla quale c’è poco da aggiungere se non che il processo sembra irreversibile. La seconda deriva da una progettazione, a dir poco, dilettantesca: prima si individua l’area della palestra, poi, riconoscendo che la scelta è infelicissima, si passa alla Buratta, ma si deve ridisegnare il tutto sia in termini tecnici che economici facendo lievitare le spese. Poi ci si accorge che il cippato presenta problemi di vario genere poco gestibili attraverso il fai da te. Alla fine si arriva alla decisione di lasciar perdere, ma per non perdere del tutto la faccia, si decide di utilizzare i soldi pubblici già in cassa per intervenire con questa tecnologia sulla scuola elementare.
L’intervento che ci viene illustrato quindi è il prodotto di una gestione politico amministrativa inadeguata, non un brillante risultato da sbandierare.
La conseguenza per la nostra società a capitale pubblico è che ora deve ridefinire  i propri obiettivi di medio e di lungo sapendo che d’ora in poi dovrà contare più sulle idee d’impresa che sul foraggiamento regionale e che dovrà fare in fretta perché il mercato comincia ad essere occupato da società, anche locali, che, probabilmente godono delle stesse entrature politiche ma hanno operatività molto migliori (Hera, Cofra ecc).

A Solarolo la faccenda dell’energia verde è andata così. A Casola speriamo vada meglio, ma per ora l’azienda pubblica produce solo debiti

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Ma ci faccia il piacere, signora Ponzi….

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Ma è proprio vero che il senso del ridicolo non scalfisce neppure per un attimo l’esigua capacità di percezione della realtà di alcuni nostri politici. E dire che ne avrebbero così bisogno!

La notizia della richiesta di un  tete a tete della nostra Presidente dell’Unione, nonché sindaco di Riolo Terme, Emma Ponzi, con Berlusconi è davvero divertente e immaginiamo che l’incontro rivesta una importanza essenziale per rivedere le politiche economiche del governo e per ripensare alle strategie di rientro della spesa incontrollabile di Comuni Province Regioni.
Pare proprio che il PD abbia pensato che non fosse sufficiente l’intervento debole e un poco efficace di Errani (regioni), Chiamparino (comuni), Castiglione (province), Borghi (comunità montane), ma occorresse quello ben più importante e decisivo di Ponzi (Riolo, Brisighella, Casola).

E se, tanto per cominciare, la presidente ci mettesse di suo la spesa di autista, benzina, autostrada, ristorante, albergo per questa scampagnata a Roma?

mercoledì 14 luglio 2010

L’impossibile collaborazione con una sinistra antinazionale legata solo dall’odio per Berlusconi

LA%20STAGIONE%20DELL%20ODIO L'idea che questa sinistra, la sinistra che abbiamo in Italia, possa in qualche modo avvicinarsi ai percorsi virtuosi e costruttivi delle altre opposizioni in Europa è purtroppo un'idea che confligge con la realtà.
Per due motivi: da un lato, la matrice comunista e per niente socialdemocratica della sinistra nostrana; dall'altro lato, la vecchia pregiudiziale anti-berlusconiana sulla quale ora e sempre si reggono le Sante Alleanze elettorali dell'opposizione.
Ecco perché non ci possiamo aspettare sconti da sinistra e neanche un'azione in qualche misura più costruttiva.
Lo dimostra l'atteggiamento cieco e feroce nei confronti della manovra che si propone di tenere in equilibrio il bilancio pubblico e quindi le basi sulle quali innestare la ripresa economica.
Nessuna apertura, nessuno spiraglio. Neanche di fronte alla pronuncia favorevole dei ministri dell'Ecofin riuniti a Bruxelles la sinistra pensa minimamente ad assumere un comportamento responsabile nei confronti di una manovra dalla quale dipende il futuro del Paese. L'interesse di parte prevale. Come sempre, quando si tratta di questa sinistra che sconta le due radici dalle quali discende: l'ideologia antinazionale del marxismo leninismo e il collante del no assoluto a Berlusconi, l'unico che riesce a legare assieme anime così diverse tra loro.

lunedì 12 luglio 2010

Finalmente Errani ha la sua torre ma pagata con 100 milioni degli emiliano romagnoli

Nemmeno per il Burj Khalifa, il grattacielo di Dubai alto 828 metri, c’è voluto così tanto tempo. Eppure a Bologna per tirare su la terza torre, progettata da Kenzo Tange (in foto) un sacco di anni fa, è dal 2000 che si aspetta col naso rivolto al cielo. E se il grattacielo più alto del mondo è costato un capitale e alla fine a pagarlo ci ha pensato il presidente degli Emirati, nonché emiro di Abu Dhabi, a sganciare la grana, molta di più di quanta ne era stata preventivata, per la torre sono stati, come sempre, gli emiliano romagnoli.

La storia di questo travaglio che, se Dio vuole sta per vedere finalmente la luce, inizia nel 2000 quando la Regione, con apposito bando di gara, affida la realizzazione dei lavori alla ditta Baldassini che straccia tutti con un ribasso del preventivo del 26,5%. Fosse vero sarebbe la manna dal cielo. Ma al cielo la Baldassini non arriva mai: l’impegno è di far svettare la torre in 4 anni e il cantiere apre il 10 ottobre del 2000. Già a pochi mesi dall’inizio dei lavori iniziano i primi casini (economici e va da sé) e la ditta chiede aggiustamenti di ogni sorta. A 3 anni dall’apertura del cantiere della svettante torre non svetta che il 25%. Un moncone orrendo e inquietante destinato a rimanere tale: il costo a questo punto è di 12 milioni di euro (contro i 32,4 previsti inizialmente dalla Baldassini). A lasciare perplessi, per non dire altro, è che il dirigente della Regione incaricato di seguire tutto l’iter della costruzione non manda negli spogliatoi la ditta. Anzi con un documento apposito, sollecitato da una comunicazione riservata e mai resa nota del direttore dei lavori, si prevedono pagamenti più ravvicinati per non mettere in difficoltà l’azienda. Che in difficoltà non ci finisce ma poi finisce col fare causa alla Regione.

Morale nel 2004 i lavori si interrompono e della torre resta sempre il famoso moncone. Immutato per i tre anni successivi, il moncone è un monito dell’inefficienza della Regione più efficiente. Bisogna metterci una pezza e la pezza ha un colore solo, in Emilia Romagna, il rosso. Ad aggiudicarsi la prosecuzione dei lavori è infatti un’associazione temporanea di impresa tra tutte le maggiori cooperative della zona. L’impegno assunto è quello di ultimare la torre ma non solo. Vai a capire perché nell’associazione tra imprese figurano anche coop che con l’edilizia non c’entrano niente, si occupano infatti di servizi o manutenzione. Non ci vuole poi molto a scoprire che assieme ai lavori per la torre chi ha vinto l’appalto ha vinto anche 25 anni di servizi in esclusiva. Alé. E poi ci sono i soldi che, visto che a cacciarli fuori sono i cittadini, sarebbe anche giusto che sapessero come sono stati spesi e quanto alla fine sarà costato ‘sto mini colosso.

Solo per la realizzazione 51milioni e mezzo di euro alle coop (in cui rientra anche il canone di locazione che la Regione pagherà alle cooperative) a cui si aggiungono i12pagati alla Baldassini (e siamo a 63). Considerato poi che in quella torre devono finire degli uffici della Regione, e che gli uffici al momento sono in altri locali, è ovvio che l’amministrazione ha pagato degli affitti in questi anni. Affitti che dal 2005 ad oggi ammontano a 30 milioni di euro: 500mila al mese. Totale 93 milioni, dieci anni di lavori e 25 di servizi alle coop.

A rendere noti i dati, dopo averci lavorato a testa bassa per mesi, è stato Alberto Vecchi, consigliere regionale e vice coordinatore per l’Emilia Romagna del PdL. Da tempo Vecchi a colpi di interpellanze e interrogazioni sta col fiato sul collo di Vasco Errani e dei suoi per la questione della torre che non c’è. Oggi ha fatto i conti e quello che è emerso è raccapricciante, soprattutto se si fa un velocissimo raffronto: la torre della Regione è praticamente un lillipuziano se confrontata a quella di Dubai. I lavori in Arabia sono durati 5 anni e costati 1miliardo e mezzo, a Bologna durano da 10 anni e tra una spesa e l’altra sono costati 93milioni.

Poi dice che gli arabi hanno la flemma del deserto...

sabato 10 luglio 2010

Quando l’istituzione si identifica con il partito siamo su terreni infidi e pericolosi

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Il Comune di Ravenna raccoglie le firme contro la legge sulle intercettazioni e pubblica manifesti a sostegno della campagna anti “Legge Bavaglio” usando il logo del Comune.

La crescita economica europea nel trimestre è dello 0,2%: in Italia dello 0,4%

pict008 I numeri, a volte, sono più eloquenti di mille discorsi. Ed i numeri offerti da Eurostat (l’ufficio statistico dell’Unione europea) e Ocse hanno un valore politico; soprattutto per l’opposizione.

L’Eurostat annuncia che nel primo trimestre di quest’anno la crescita economica dei 16 Paesi dell’area euro è stata pari allo 0,2%. In Italia è stata dello 0,4%. In altri termini, la rapidità di ripresa italiana è stata doppia rispetto alla media europea. Non solo. Ma è stata migliore anche della Francia (cresciuta dello 0,1%), della Germania (0,2%), della Gran Bretagna (0,3%).

In tutte le economie occidentali i governi non intervengono direttamente nella crescita del Pil di un Paese. Tantomeno può farlo l’Italia con il terzo debito pubblico del mondo. I governi, però, possono creare o meno le condizioni per la ripresa. E quello italiano, meglio di altri (a giudicare i dati Eurostat) è intervenuto per consentire alle imprese di agganciare al volo i primi sintomi di ripresa internazionale; agevolato in questo anche da una deprezzamento dell’euro, che ha favorito le esportazioni delle nostre aziende.

Ma la svalutazione della moneta rispetto al dollaro avrebbe consentito margini di crescita inferiore, se non fosse stato per i diversi provvedimenti anticrisi che hanno favorito processi di ristrutturazione industriale, capaci di preparare al meglio le imprese alla ripresa della domanda interna ed internazionale.

Altra prova di come il governo italiano abbia registrato risultati soddisfacenti sul fronte economico viene dai numeri dell’Ocse sulla disoccupazione. L’organismo che raggruppa le nazioni più industrializzate rileva che nel 2009 la disoccupazione in Italia è stata del 7,8%; in aumento rispetto al dato del 2008 del 6,7%, ma ben al di sotto della media Ocse dell’8,3%. Un dato, quello italiano, che la stessa organizzazione con sede a Parigi giudica “inaspettatamente basso”, soprattutto se messo a confronto con quello spagnolo o irlandese.

Ma se l’Italia registra risultati del genere non è un caso. Fin dall’inizio della crisi il governo Berlusconi ha avuto un unico obbiettivo: non lasciare indietro nessuno. A partire da chi perdeva il posto di lavoro. Ed ogni intervento è stato finalizzato al difendere i lavoratori e le imprese; così da attenuate l’impatto della crisi sui bilanci delle famiglie. Ed i risultati sono oggi certificati da organismi che non possono essere certo essere accusati di partigianeria, come l’Eurostat (per il Pil) e l’Ocse (per la disoccupazione).

giovedì 8 luglio 2010

Il federalismo è l’ultima spiaggia

gallery_4280_880_23698 Il federalismo fiscale non è un pallino della Lega: è una necessità imposta dalla riforma costituzionale varata alla fine degli Anni 90 dal centrosinistra (la cosiddetta riforma Bassanini), che ha introdotto nella Costituzione il principio di sussidiarietà e ridisegnato i poteri del governo centrale e delle amministrazioni periferiche. E’ la più importante ristrutturazione istituzionale dal dopoguerra in poi, una svolta di ammodernamento positiva benché approvata con soli 4 voti di maggioranza (se Berlusconi facesse una cosa del genere oggi verrebbe giù il Paese, altro che terremoti).
Dunque, la stessa Bassanini prelude al federalismo fiscale, inteso come capacità delle regioni di governare anche le proprie risorse, fatto salvo il principio di solidarietà nazionale. La riforma ha dato alle regioni i poteri ma non i soldi, che arrivavano da Roma senza controllo: una sorta di rimborso a pie’ di lista. Le regioni presentavano il conto e l’amministrazione centrale saldava. Si è creata una spirale per cui le regioni virtuose hanno contenuto i costi, assunto poco personale, sviluppato le competenze con responsabilità; altre regioni hanno invece sperperato lo sperperabile, tant’è che ogni anno i governi (l’hanno fatto sia Prodi sia Berlusconi) devono commissariare qualche gestione sanitaria (tutte localizzate nel Centro-Sud) per tappare i buchi di bilancio.

Il federalismo fiscale imporrà invece alle regioni un principio di responsabilità: non si potrà più decidere (con leggi regionali) spese e investimenti che poi Roma salderà (con i soldi di tutti). Verranno introdotti i criteri del “costo standard” per le prestazioni sanitarie (anziché del costo storico) e il principio del “fallimento politico“: gli amministratori incapaci non potranno ricandidarsi. Non si tratta di una rivolta del Nord contro il Sud, ma di un intervento per riportare sotto controllo la spesa pubblica che si è enormemente dilatata con il progressivo trasferimento dei poteri alle periferie: un passaggio previsto dalla Costituzione (e non una richiesta leghista).

Le polemiche sulla Padania sembrano pretestuose.  Oggi la Padania non esiste come nazione, perché il 30 per cento degli elettori del Nord che votano Lega lo fanno per il programma economico (meno trasferimenti al Sud), istituzionale (meno burocrazia centrale), di ordine pubblico, e per la capillare presenza del Carroccio sul territorio. La Padania è un contenitore simbolico che unifica queste istanze.
Tuttavia sta emergendo drammaticamente il nodo dell’incapacità di risolvere i problemi del Sud. Nessuno, nei 150 anni di unità nazionale, è stato in grado di porvi rimedio. Per questo non è della Padania che ci si deve occupare ma del Mezzogiorno. Se non si creano in fretta le condizioni per uno sviluppo autonomo del Sud saranno guai. Ma qui ci si scontra con l’abulia delle classi dirigenti meridionali. Nelle regioni più disastrate non è in atto alcun piano di bonifica radicale delle istituzioni, niente che lasci intravedere una reale disponibilità a mutare comportamenti e abitudini. Nessuno crede che i servizi pubblici al Sud cesseranno, a breve, di essere scadenti e molto più costosi che in Lombardia o in Emilia; che tante scuole e università del Sud smetteranno di distruggere capitale umano anziché crearlo o che le amministrazioni locali, con la loro inefficienza,  cesseranno di frenare lo sviluppo.
Questi sono i temi da affrontare concretamente, per i quali il federalismo fiscale è probabilmente l’ultima spiaggia.

mercoledì 7 luglio 2010

Senio Energia comincia a mostrare tutti i limiti e i difetti delle aziende pubbliche confermando, purtroppo, molti dei nostri dubbi. Stefano Bertozzi, capo gruppo PDL nell’Unione dei Comuni, esamina il bilancio della società e ne scopre delle belle.

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Alla faccia della buona notizia

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Che si parli della circonvallazione di Castelbolognese non è di per sé una notizia. Sono ben più di vent’anni che si auspica l’avvento della circonvallazione e al punto in cui siamo non c’è più alcuna speranza per molti di noi di vedere realizzata quest’opera che, nel bene e nel male avrà una ricaduta per la valle del Senio.

No, la notizia è un’altra e cioè che dopo lustri e lustri la circonvallazione è entrata nelle priorità regionali. Ma come?! Ci avevano sempre detto che la difficoltà per la realizzazione dell’opera stava a Roma, che solo la mancanza di risorse statali impediva all’ANAS la progettazione e la realizzazione. Ci avevano fatto intendere che la viabilità castellana era un problema troppo piccolo per entrare negli interessi romani e troppo grosso per trovare soluzioni locali e che tutte le commissioni di studio e gli ordini del giorno si erano arenati su queste secche.
Adesso scopriamo che l’opera non era stata neppure inserita tra le priorità dalla Regione Emilia Romagna e che dunque l’ANAS non aveva nessuna indicazione di priorità da far valere rispetto ai restanti territori regionali.
E tutto questo lo sappiamo ora, dopo vent’anni. Complimenti

Per favore, qualcuno dica a Bersani che…

238413499_628ba8487e_b Anche Confesercenti sta con il Governo
Un’Italia moderna, innovativa e competitiva che crea lavoro e sviluppo, un paese ambizioso, giusto e solidale, che sugli sprechi, però, sappia accanirsi con intransigenza teutonica.
Sono queste, sintetizzando, le richieste che ieri il presidente della Confesercenti, Mario Venturi, ha espresso nella sua relazione all’assemblea annuale in completa sintonia con il Governo.  Aiuto allo sviluppo e tolleranza zero nei confronti delle appendici inutili dello Stato.
La ricetta per il rilancio del paese passa attraverso cinque punti:
1. taglio netto della spesa pubblica;
2. riduzione della pressione fiscale;
3. rilancio delle infrastrutture;
4. investimenti per una maggiore autonomia energetica
5. sviluppo del Mezzogiorno.
Accanto a queste proposte Venturi riconosce l’ineludibilità della manovra, fondamentale per arginare “la metastasi della spesa pubblica” cominciando a potare dalla rappresentanza politica, troppa e troppo costosa, dai 1020 istituti inutili, dai 110 enti superflui e dalle Provincie.
Su queste ultime Venturi ha progetti da soluzione finale: fuori tutte in cinque anni, 20 provincie all’anno. “Noi continueremo a denunciare la loro inutilità», ha affermato, «insisteremo sul superamento di questi enti e sui tempi necessari per farlo”.

Anche il Governatore della Banca d’Italia, Draghi, sta con il Governo
Il governatore della Banca d’Italia, ieri, ha in in qualche modo sostenuto la manovra sui conti pubblici che trovandosi in uno dei momenti più delicati del percorso parlamentare incassa un sostegno di rilievo. Ieri, infatti, sono filtrati apprezzamenti non rituali. Di sicuro il governatore è convinto che la manovra andava fatta date le recenti turbolenze dei mercati.
Il giudizio di Draghi si fonderà su quanto viene richiesto a livello internazionale a tutti i governi alle prese con gli effetti della crisi finanziaria. Il pensiero del governatore è sostanzialmente orientato a sostenere misure favorevoli alla crescita.  Misure, secondo Draghi, che si fanno riducendo la spesa corrente e non aumentando la pressione fiscale. A distanza di un mesetto, insomma, il numero uno di Bankitalia è tornato a promuovere l’intervento di correzione dei conti elaborato dal governo di Silvio Berlusconi. A fine maggio era stato chiaro: bisogna guardare oltre e intervenire, se necessario, con tempestività dopo il 2012. Come dire che il difficile compito di Tremonti e Berlusconi non si esaurisce di certo con il pacchetto da 24,9 miliardi di euro che il Senato si appresta a licenziare.In ogni caso Draghi continua a ribadire che la manovra varata dall’esecutivo, con l’anticipo delle misure correttive per il prossimo biennio e i tagli alla spesa corrente, inevitabile viste le pessime condizioni di salute delle piazze finanziarie. Nelle nuove condizioni di mercato era inevitabile agire». E questo anche se «le restrizioni di bilancio incidono sulle prospettive di ripresa a breve dell’economia italiana». Per Draghi «la sfida dell’Italia, per superare la crisi, è«coniugare la disciplina di bilancio con il ritorno alla crescita». Obiettivi assai ambiziosi. Come quello del governo che non senza difficoltà sta cercando di condurre in porto la manovra.

martedì 6 luglio 2010

Nella bocciofila del PD, oltre il senso del ridicolo

abbiocco  In questa caldo inizio di Luglio, nella bocciofila del Pd si susseguono i deliri di una classe dirigente sconfitta dagli elettori che cerca di resistere abbarbicata ai suoi antichi rituali e alle consuete litanie

Comincia il segretario Pierluigi Bersani:
Non si può lasciare il Paese in questa situazione. Se la maggioranza non ce la fa, se non ce la fanno, bisogna pensare a qualche altra ipotesi”.
Lo segue a ruota il vicesegretario Enrico Letta:
“La maggioranza non c'è. Ora la parola al capo dello Stato”.
Prova a buttare l’esca sulle intercettazioni Dario Franceschini:
Potremo votare a favore di quegli emendamenti presentati dai deputati finiani che tendono a migliore il testo”.

Davvero straordinari!  Tre sconfitti dagli elettori che si propongono come guida del ribaltone di palazzo.
Tutti ricordiamo come questi tre siano stati cacciati dal governo del Paese non da inciuci di palazzo ma da un chiaro ed esplicito risultato elettorale, confermato, oltre che a livello nazionale, anche a livello locale, dove il PD ha perso tutte (tutte!) le elezioni in questi due anni, perfino del paese natale di Bersani, Bettola (titolava in quei giorni il Corriere della Sera:  “Tre voti su quattro, 75 per cento. Il centrodestra ha stracciato l’Unione nel paese natale del ministro Pier Luigi Bersani: Bettola, nel piacentino”).
Così come tutti ricordiamo il grande lavoro di Enrico Letta per creare (non per eliminare) le tre nuove provincie di Monza e Brianza, Fermo, Barletta-Andria-Trani. Si, perché fu lui a garantire i fondi nel decreto Milleproroghe approvato all’inizio del 2007 dal Governo Prodi, di cui era sottosegretario di Stato, per queste tre nuove provincie.
E tutti non possiamo dimenticare la straordinaria campagna elettorale di Franceschini, che ha portato il Partito Democratico ai minimi storici, e poi ha portato i suoi colleghi a cacciarlo con infamia dalla guida del partito dopo soli pochi mesi di segretariato.
E adesso, cercando di fare dimenticare la lunga sequenza di errori politici che ha caratterizzato il loro declino elettorale, si propongono come alternativa a una maggioranza solida nei numeri voluta dagli italiani, con un consenso nei cittadini come pochi altri governi in carica hanno e con una azione di governo che tutto il mondo giudica efficace e da prendere ad esempio.
Per rendersene conto basta leggere il Financial Times degli ultimi mesi, dove si dice che “i tagli vanno bene” e che “il Paese è uscito relativamente incolume dalla crisi finanziaria globale e la sua posizione fiscale non è così fragile come sembra anche in parte per la buona gestione del debito pubblico.”
E dove si da ragione a Berlusconi anche per quanto riguarda i magistrati, come dice Christopher Caldweill nel suo articolo “L'Italia fa bene a frenare i magistrati" dove prima si chiede se "le accuse contro Berlusconi derivano da una ricerca disinteressata della giustizia o dal desiderio di una parte dell'elite italiana di rovesciare una scelta popolare che non gradiscono?

Ma vogliamo parlare delle loro strampalate proposte di Governo? Altro che Grecia: fa ancora venire i brividi la proposta, applaudita dal Partito Democratico, fatta da Epifani per uscire dalla crisi lo scorso maggio al XVI congresso della Cgil a Rimini: assumiamo in tre anni 400.000 nuovi dipendenti nella Pubblica Amministrazione!
E la grande kermesse del Palalottomatica di metà giugno? Avevano promesso una “contro manovra” attentamente studiata dalla Consulta economica del partito, ma alla fine hanno fatto vedere solo Corrado Guzzanti che imita il ministro dell’Economia. Il tutto condito da fischi e commenti della platea contro Berlusconi.
Le proposte? Eccole:
Cerchiamo di avere più fiducia nelle nostre forze, siamo un bel partito”, dice Bersani alla platea, “dobbiamo solo essere più forti delle nostre debolezze perché la gente ha bisogno di noi”. Il Pd “deve raggiungere i cittadini, portare le proprie idee”, perché “saremo di fronte a dei mesi difficili”.
Ma dai! Per fortuna, c’è un programma:
Dobbiamo prenderci un impegno, ovunque operiamo: ci rimanesse un solo euro, ci rimanesse il fiato per una sola iniziativa, dobbiamo andare dai più deboli e dai più esposti”.
A dirgli che cosa, però non lo dice.
Oltre il senso del ridicolo.

lunedì 5 luglio 2010

La sinistra di Faenza, dopo che la precedente Giunta ha sperperato tutto quello che si poteva, è delusa da questa appena eletta che ha una visione ben più sobria e seria della amministrazione del pubblico denaro. Come volevasi dimostrare

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Gli uomini pubblici come li vogliamo

italia-cavour[1] Dall’archivio di Cavour è spuntata una lettera all’alleato Urbano Rattazzi in cui, fra il serio e il faceto, il Conte denuncia il suo imbarazzo per aver ricevuto in dono una trota pescata in acque demaniali, quindi di proprietà pubblica. Va detto che gli scrupoli di quel grand’uomo abbracciavano pesci anche assai più grossi: quando il banchiere Rothschild gli propose una speculazione finanziaria sui titoli di certe ferrovie, Cavour lo ringraziò come amico, ma lo diffidò come presidente del Consiglio dal fargli proposte che contenessero un così lampante conflitto di interessi

Il senso dello Stato di Camillo Benso (per il resto politico spregiudicatissimo, come devono essere, purtroppo, i politici) mi è tornato alla mente nel leggere l’ultimo sperpero della casta contemporanea: l’incredibile storia del consigliere dipietrista Attilio Di Mattia, il quale risiede a Vienna, ma ogni anno riceve 130 mila euro di rimborsi spese per partecipare alle riunioni del Consiglio provinciale di Pescara, di cui è membro.

Già sembra allucinante che a chi vive a Vienna sia consentito di far politica a Pescara. Non so cosa ne pensi Di Pietro. Ma immagino cosa ne avrebbe pensato Cavour, che pur essendo nobile, le parolacce le diceva, benché rigorosamente in dialetto. Per onestà devo riconoscere che negli anni non è cambiata soltanto la stoffa morale dei politici, ma anche la nostra. Mio padre, dipendente pubblico, mi impediva di usare le biro del suo ufficio perché, sosteneva, erano di proprietà dello Stato. Oggi per una frase del genere lo chiuderebbero in manicomio.

Massimo Gramellini

Le grida di dolore del Presidente Errani sono un po’ esagerate: anche in Emilia Romagna la spesa pubblica si può ridurre e razionalizzare

dromedario1[1] La premessa è doverosa: l’Emilia-Romagna è una delle regioni più virtuose d’Italia assieme alla Lombardia e al Veneto. Criticarla in modo indiscriminato sarebbe ingiusto, tanto più sapendo che fine fa il denaro pubblico in Sicilia, in Calabria, in Campania.
Eppure anche a Bologna, scavando tra le pieghe dei bilanci si scoprono spese anomale, talvolta esorbitanti, incarichi ingiustificati, finanziamenti assurdi; tanti e tali da far apparire perlomeno sproporzionate le grida di dolore del presidente della Regione Vasco Errani di fronte ai tagli imposti dal governo. Sia chiaro: dover rinunciare a 731 milioni di euro non è facile. Ma è sopportabile, anche perché in passato la regione non è stata sempre irreprensibile. Tra un cantiere e l’altro ha sprecato una bel gruzzoletto di milioni.

I bolognesi conoscono bene la vicenda della «Terza Torre». È il tormentone cittadino. Trattasi della terza sede della Regione, la cui costruzione fu approvata nell’ottobre del 1993. Costo? Sette miliardi di vecchie lire. Siamo arrivati a luglio del 2010 e il palazzo non è ancora pronto. Devono ultimare i parcheggi, nel frattempo il conto è più che quadruplicato a 28,5 miliardi di vecchie lire, pari a quasi 15 milioni di euro.
Uno spreco, che ne ha generato uno ancor più grande. Quello degli affitti. Non essendo utilizzabile la Terza Torre, la Regione è stata costretta a rinnovare la permanenza nelle sedi provvisorie in altre parti della città. Con un costo per pigioni, nel 2009, risultato pari a 50 milioni di euro, 30 in più rispetto all’anno precedente.

Il tormentone dei cittadini di Ferrara si chiama Cona, il nuovo ospedale. Nuovo si fa per dire. È in costruzione da vent’anni e verrà ultimato, forse, nel 2010. Vent’anni, un’eternità per una struttura sanitaria, che rischia di nascere già vecchia. Al costo di 285 milioni di euro. Cose che capitano quando c’è di mezzo la Sanità.
L’Asl di Forlì è sotto indagine per un buco di 60 milioni di euro, quella di Modena per 15, mentre il Pdl chiede chiarimenti sul Laboratorio unico di Area Vasta Romagna, che sarebbe dovuto costare 42 milioni di euro e che invece nel richiederebbe 55, ben 13 in più.
Sempre a carico della regione. Errani ha annunciato proprio pochi giorni fa la riduzione del 10% della propria indennità e di quella dei suoi assessori; inoltre si è impegnato a sforbiciare del 20% le spese per consulenze, missioni, incarichi. Un gesto corretto ed encomiabile. Ma potrebbe essere più sostanzioso, se la Regione si decidesse a diserbare la boscaglia dei finanziamenti talvolta micro e talvolta macro a enti, associazioni o per finalità perlomeno discutibili.

L’Emilia-Romagna, ad esempio, spende due milioni di euro per «trasmissione d’informazioni»; devolve 3,1 milioni all’Ervet ovvero l’Ente per la valorizzazione economica del territorio; dona quasi 10 milioni all’Agenzia regionale prevenzione e ambiente (Arpa), pur avendo una direzione generale che già si occupa di tutela del territorio. E sembra avere un debole per l’immobiliare. Affitta, e compra tanto:  edifici e strutture per 32 milioni di euro, come ha rilevato in un’interrogazione il capogruppo della Lega Mauro Manfredini. Anche l’assemblea legislativa, di solito attenta, si concede qualche stravaganza. Come i 200mila euro per il servizio facchinaggio e gli 1,3 milioni per alimentare il fondo per migliorare l’efficienza dei servizi, che ben si abbinano ai 20mila euro stanziati dalla giunta per finanziare l’acquisto di dromedari da latte per le popolazioni del Sahara, ai 70mila a favore di una Cooperativa agricola a Cuba e ai 300mila euro per educare la popolazione alla pace.

La Regione, che spende 5 milioni all’anno per rinnovare il parco auto, continua a sostenere la Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo e l’Osservatorio per l’educazione stradale e la sicurezza, nonché altri fantasiosi enti.  Ognuno col suo obolo, naturalmente, con conseguenti finanziamenti.  Sommateli agli sprechi nel campo della sanità, agli edifici eternamente in costruzione, alle operazioni immobiliari, si giunge a un totale di oltre 500 milioni in spese inutili o per lo meno dubbie.
Conti ipotetici, si dirà. Vero. Ma indicativi. Sottraeteli a 731 milioni di euro “scippati” dal governo. E il costo della stangata si riduce a poco più di 200 milioni. Tanti, ma non abbastanza per affamare una regione grande ed efficiente come l’Emilia-Romagna.
Talmente efficiente che, se volesse, potrebbe tagliare il superfluo per salvare l’essenziale.

giovedì 1 luglio 2010

Raoul Casadei epurato da Errani, Presidente dell’Emilia Romagna, solo perché ha dichiarato di votare PDL. L’ennesimo esempio di ostracismo politico

Raoul_Casadei[1]  Delle due l’una. O la sinistra si è imborghesita a tal punto da snobbare il liscio made in Romagna,già colonna sonora di tante feste dell’Unità. Oppure non ha perdonato al re del liscio, Raoul Casadei, di aver fatto outing dichiarando qualche tempo di aver votato Berlusconi. «Anche se alla regione», precisa lui, «ho votato Vasco Errani che è un uomo che stimo ma da cui adesso mi aspetto qualche spiegazione».

Nel prossimo weekend sulla riviera romagnola va in scena la Notte Rosa, organizzata dalla regione, con oltre 300 eventi a base di musica, balli e divertimento. Tra gli ospiti molti cantautori vicini alla sinistra: da Edoardo Bennato a Samuele Bersani, da Andrea Mingardi a Povia. Ma nella terra del limbo e delle balere manca proprio lui: Raoul Casadei con la sua orchestra che da 82 anni porta in giro per l’Italia e non solo la musica popolare romagnola.

«La Notte Rosa è solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso », spiega Casadei, «da anni in realtà non vengo più invitato a nessun evento. Un ostracismo che secondo me ha ragioni politiche, perché ho detto di aver votato Berlusconi». Davvero lontani i tempi in cui i militanti comunisti danzavano insieme sulle note di «Romagna Mia».«Pensi che una volta a una festa dell’Unità avevano preparato un manifesto dove c’era il mio corpo con la chitarra e il volto di Berlinguer», ricorda il re del liscio, «ora invece mi puniscono forse perché sono un uomo libero che dice quello che vota mentre in genere gli artisti preferiscono stare tutti a sinistra perché lì c’è da mangiare».

Se non è ostracismo politico, conclude Casadei, allora «a sinistra hanno la puzza sotto il naso, snobbano la tradizione e si vergognano della nostra storia».

Cosa succede nel PD di Riolo Terme? Si dimettono il segretario e il Capo Gruppo Consiliare

riolo